Paolo Castaldi è nato nel 1982. Figlio di immigrati napoletani trapiantati a Milano, Paolo conserva nel corso della sua vita le radici partenopee, che anni dopo lo aiuteranno a scrivere e disegnare il suo più grande successo, “Maradona”, graphic novel pubblicata da Beccogiallo nel 2012. Castaldi è autore dalla spiccata sensibilità anche su tematiche sociali, che lo hanno portato a realizzare, sempre per Beccogiallo, libri come “Etenesh”(2011) e “KM Zero, nel 2014, che trattano rispettivamente di immigrazione ed economia solidale e sostenibile. Tra le due opere ricordiamo anche “Gian Maria Volontè”(2014) (testi di Gianluigi Pucciarelli, ed. Beccogiallo) e il suo esordio “Nuvole Rapide” (Edizioni Volier, 2009). Vive a Milano, dove lavora anche nel mercato pubblicitario.
Ciao Paolo, benvenuto sulle pagine de LoSpazioBianco. Presentati ai nostri lettori!
Le cose basiche. Vivo a Milano, milanese, con un po’ di sangue napulitano, classe 1982. Nasco disegnatore, divento autore di fumetto, e mi definisco visual artist per non precludermi nessuna possibilità. Lavoro contemporaneamente in diversi settori artistici, un po’ per necessità, un po’ per curiosità. Alcune illustrazioni, cartoon, moltissimi storyboard per tv e pubblicità, ogni tanto performance e live painting. E ovviamente i fumetti.
Tutte queste robe assieme compongono il mio stipendio, e ancora oggi, dopo quasi dieci anni, mi sembra una condizione di semi-libertà inverosimile, quasi ingiusta. Pur essendo di un ottimismo odioso, sono sempre sul “chi va là”, come se questa condizione prima o poi dovesse fisiologicamente esaurirsi, costringendomi a reinventarmi completamente. Quando vado a fare la spesa al martedì, che ne so, alle undici del mattino, mi sento un alieno.
Ci sono solo io e qualche pensionato, tanto che una mattina, la cassiera che mi vedeva sempre ad orari un po’ insoliti, mi ha chiesto con aria preoccupata se fossi disoccupato…
Come ti sei avvicinato al mondo delle nuvole parlanti?
Mi sono innamorato del fumetto a nove anni, leggendo L’Uomo Ragno e da allora non l’ho più abbandonato. Ci siamo conosciuti per bene, poi ci siamo fidanzati e infine ci siamo sposati.
Ho impostato ogni scelta della mia vita in quella direzione, Liceo Artistico, Scuola del fumetto per tre anni e poi ore ed ore passate nella mia cameretta a disegnare a discapito anche di qualche serata con gli amici. Ovviamente ho conosciuto anche il periodo “book alle fiere”, tavole spedite agli editori ecc…
A ventidue anni mi sono ritrovato in edicola, come disegnatore, su Strike!, rivista della Star Comics dal destino poco fortunato. Chiuse al sesto numero. Vendeva “solo” 30.000 copie… Ero autore di due storie sceneggiate da Adriano Barone.
Mi ricordo l’emozione di aprire la raccomandata con il contratto, il loghino Star in alto, nell’angolo, 70 euro a tavola. Mi sembrava assurdo, bellissimo! E mi sentivo fighissimo. Ade Capone in persona (anche lui sulla rivista assieme a mostri sacri come Philippe Francq e Jean Van Hamme che aprivano le prime sedici pagine con Largo Winch) mi fece i complimenti ad un Napoli Comicon del 2006, mentre Laura Scarpa pubblicò, più o meno nello stesso periodo, una mia storiella breve su Scuola di Fumetto, nella rubrica Esordiente del mese.
Probabilmente ero antipaticissimo come tutti quelli che fanno mezza cosa e si credono già dei grandi, già arrivati. Avevo il pass alle fiere, ed era come essere sul red carpet degli Oscar…
Sempre tra il 2005 ed il 2006 iniziai a collaborare con vari studi creativi come character designer e storyboarder. Qui ho imparato a rispettare le scadenze, a lavorare duro al fianco di grandissimi professionisti, come Bruno Bozzetto.
Una “scuola” utilissima che tutt’ora frequento, anche perché il divario economico tra fumetto e produzione video è ancora ampio, almeno in Italia. Uno storyboard per uno spot da 30” su cui lavoro un paio di giorni mi può far incassare la stessa cifra che un disegnatore pagato mediamente a tavola guadagna in una settimana pienissima sul tavolo da disegno… Questo doppia rotaia parallela, che comunque è circoscrivibile nella categoria “disegnatore di mestiere” mi permette di pagare il mutuo e nel contempo di fare i libri che voglio, senza dover per forza illustrare storie che non mi stimolano abbastanza o che semplicemente non mi interessa disegnare.
Il tuo esordio nel mondo del fumetto è il progetto Nuvole Rapide con Edizioni Volier. Puoi parlarcene?
Dopo le prime esperienze in tandem, volevo provare a realizzare una storia tutta mia, curando sia la sceneggiatura sia i disegni. Era la mia indole già dalla Scuola del Fumetto. Molti miei compagni bramavano di entrare in Bonelli o in Marvel, a me non fregava niente. Non ci ho neanche mai provato, né ho mai mandato prove ufficiali, per dire…Non per snobismo, è che leggevo altro, avevo altri miti, ero innamorato delle pubblicazioni Coconino, di Andrea Pazienza, di Pratt, di tutto quel fumetto che era definito “d’autore”, prima ancora di “graphic novel”. Il Marvel Universe lo seguivo di tanto in tanto, compravo le saghe, quelle estive, che erano meravigliose. Disegnavo qualche super-eroe per divertirmi o rilassarmi, e ogni tanto mi saltava in testa di mandare delle prove a matita agli editori statunitensi ma non ci ho mai creduto davvero…Finivo sempre per mollare tutto a metà per tornare alle mie storie.
Volevo raccontare. E disegnare come volevo io, senza adeguarmi a qualche cifra stilistica predeterminata.
Sperimentavo molti stili diversi, tempere, acquerelli, ecoline, caffè. Ho eliminato l’inchiostrazione dalle mie tavole proprio in quel periodo, Avevo letto Wolverine – Le origini di Kubert, solo grafite e colore digitale, senza inchiostrazione, e ne restai fulminato. Volevo che anche la mia matita restasse morbida, vibrante, con solo il colore a riempire il bianco del foglio. Inoltre questo espediente mi consentiva di eliminare un passaggio ed essere più veloce. Ho iniziato a buttar giù una sceneggiatura e la intitolai come una canzone dei Subsonica, Nuvole Rapide appunto.
Raccontavo quello che conoscevo meglio: me stesso, i miei amici, gli amori, le sbronze e la musica (suonavo in una band), pubblicando on-line, cinque tavole ogni dieci, quindici giorni, su blogspot. Non c’erano i social con cui sponsorizzarsi, si andava di passaparola…Il blog ha iniziato ad avere i suoi lettori fissi, che mi scrivevano commenti e mail.. Se ne accorse Salvatore Primiceri, che aveva appena fondato le Edizioni Volier e mi chiese di pubblicarlo in cartaceo, contratto, anticipo e tuttilresto.
Il primo volume, senza distribuzione, ha venduto in poco più di un anno 1200 copie. Al Lucca Comics del 2009 portammo duecento copie che andarono esaurite.
È partito tutto da lì, credo.
“Forse”, ho pensato, “questa cosa del fare storie a fumetti un po’ mi riesce, dai”.
Con Nuvole Rapide ho costruito il mio stile, il mio modo di concepire il linguaggio fumettistico. La regia, i tempi, la gabbia, anche se era strapieno di errori ed ingenuità…Tutto bagaglio che mi sono portato dietro nei libri BeccoGiallo, cercando di migliorare tavola dopo tavola.
Nel 2012 fai il tuo ingresso alla Beccogiallo con Etenesh, la drammatica storia di un’immigrata clandestina e del suo spaventoso viaggio per raggiungere l’Italia. Questo libro è da poco stato ristampato e ne sono stati ceduti i diritti anche in atri paesi, tra cui la Francia. Questo significa una nuova attenzione verso questa drammatica problematica. Da questo punto di vista, quanto ti fa male sapere che ogni giorni ci sono altre centinaia di Etenesh?
Etenesh è un fumetto che ha il tragico pregio di essere sempre attuale ed è quindi normale che desti interesse, anche dopo quattro anni dalla sua prima pubblicazione.
Certo, mi fa male sapere di altre Etenesh che, anche in questo momento, stanno lottando per un futuro migliore (questione da considerarsi legittima e sacrosanta) che non dovrebbero aver bisogno di terribili traversate nel deserto o in mare aperto. Ma quello che più mi fa incazzare è l’incredibile inutilità del mio lavoro o di quello di altri artisti, registi, giornalisti, che ogni giorno cercano di raccontare questa drammatica situazione e rimbalzano contro un muro sempre più alto e spesso di razzismo camuffato da disperazione quotidiana, la tipica frase che inizia con “non sono razzista ma…”. Già lì il mio cervello va in tilt e capisce che il finale potrà essere solo peggiore. Mi fa incazzare questo meccanismo che vede i penultimi prendersela con gli ultimi, anziché urlare contro chi li ha trasformati in mediocri, in perdenti. Ma io continuerò a raccontare la storia di Etenesh, la colorerò, la ripubblicherò, la porterò ancora nelle scuole. Gliela farò ingoiare a forza.
Perché non esiste “ognuno ha il suo parere” quando si tratta di altre vite umane, non esistono punti di vista diversi ed egualmente condivisibli. In alcune questioni primarie ed esistenziali c’è una parte, quella giusta, e un’altra, oggettivamente sbagliata.
Perché dovrei arrendermi e accettare passivamente la parte che sbaglia.
Il tuo più grande successo è sicuramente Maradona, graphic novel dedicata al pibe deoro e pubblicata nel 2013 sempre da Beccogiallo. Come nacque Maradona e quante soddisfazioni ti ha regalato?
Maradona nasce da una chiacchierata notturna tra me e Guido Ostanel, uno dei due editori. Etenesh era in libreria da qualche mese e si pensava, in maniera vacua, ad un titolo per il prossimo fumetto. La mia fede maradoniana, fino ad allora, l’avevo un po’ celata…Voglio dire, son veneti questi, chissà che penseranno di un fedifrago sotto processo per evasione. Guido però, dopo aver buttato giù un sorso di vino mi dice “E’ un po’ che vorremmo fare un libro su Maradona ma non abbiamo mai trovato un bel soggetto su cui lavorare…”
Mi sono letteralmente illuminato. Scatto sulla sedia.
“Vi prego, ve lo faccio io!”
Così è nato Maradona.
Dieci mesi dopo avevo in mano un malloppone di 140 tavole scritte e disegnate.
Di cuore e di pancia. Dentro c’era mia nonna, che a 86 anni segue i risultati del Napoli Calcio sul televideo, mio papà emigrante, da Salita Tarsia, pieno centro storico del capoluogo campano, a Milano. C’era il riscatto sociale di una città intera. L’ho scritto d’impeto, con fame, senza pensare ad un pubblico o alle recensioni, o al fatto che tutto quel lavoro poteva finire in mano a qualche giornalista del Corriere o di Repubblica, come poi è accaduto. L’ho scritto per me, senza ruffianate. Avevo la mente sgombra, una sensazione fantastica che ad oggi non si è mai più ripresentata con la stessa chiarezza, purtroppo.
Il suo segreto è tutto lì.
Ovviamente chi non ha un animo romantico troverà tutto questo stucchevole e banale, ma quel libro andava fatto così. E ai lettori è “arrivato”, ne ho avuto conferma quasi subito.
Chi pianse, chi semplicemente si commosse. Chi odiava Maradona, o il calcio, e ne parlava con toni entusiastici. Napoletani che venivano allo stand per stringermi la mano dicendomi “tu hai davvero capito cosa ha rappresentanto Diego Maradona per noi, grazie”.
Dopo pochi mesi avevo già fatto trenta presentazioni, alcune davvero indimenticabili. Ci sono tantissimi aneddoti legati a questo libro, ma ci vorrebbe davvero troppo spazio per elencarli tutti, o anche solo qualcuno…
Posso solo dire che le soddisfazioni che mi ha regalato sono state davvero enormi, prima di tutto dal punto di vista umano, e poi anche dal punto di vista professionale e di vendite.
Mi ha fatto fare un bel balzo in avanti.
Tra l’altro, è di quest’anno la pubblicazione di Maradona in Argentina. Ci puoi raccontare di come sei riuscito a far sbarcare il tuo libro a Buonos Aires e dintorni?
Merito di due persone in particolare. Riccardo Zanini di Diabolo Ediciones, che ha fortemente voluto pubblicare il libro in Spagna, Francia e Canada e Alessandra Malvestio, l’agente letteraria che mi segue da due anni e che fin da subito si era messa in testa di portare Maradona in giro per il mondo, vendendone i diritti in Olanda e in tutto il Sud america. Per ora.
Il 2014 è stato un anno molto movimentato per te, con Volontè, dedicato al famoso attore, e Km zero, un libro in cui fai un’analisi dell’economia ecosostenibile. Come sei riuscito a lavorare su due libri in contemporanea, e come sono stati accolti dal pubblico?
Dopo Maradona, per oltre un anno non ho scritto nulla. Facevo presentazioni, promuovevo il libro, quello sì, ma non riuscivo a buttare giù niente di nuovo.
Avevo le idee confuse e non riuscivo a capire quale doveva essere il prossimo passo. Lavorare con calma su una nuova storia?
Provare a distogliere un attimo l’attenzione dai graphic novel e provare per un po’ la strada del mainstream?
Vagavo, disorientato, da un’idea all’altra, da un progetto ad un altro, mollando sempre tutto a metà.
Gli editori allora mi proposero di lavorare ad una sceneggiatura, molto bella, su Gian Maria Volonté, scritta da un esordiente appena uscito dalla Bottega Finzioni di Carlo Lucarelli. Decisi di leggerla, dicendo che ci avrei pensato un po’. L’idea era quella di andare a mano sciolta sui testi di un altro così da ricaricare le batterie. Ero indeciso, mi sembrava un palliativo, una resa. Volonté era un personaggio sicuramente da raccontare ma io volevo impormi con autore unico e non disegnare sui testi altrui…Poi conobbi Gianluigi Pucciarelli, lo sceneggiatore, e mi coinvolse talmente che ci buttammo subito nella storia. La fatica mentale effettivamente fu parecchio inferiore e disegnai le novanta tavole di Volonté in tre mesi così da avere il libro pronto per Lucca. Nel periodo subito precedente invece conclusi Chilometri Zero, un reportage sull’Italia dell’economia solidale, che funziona davvero. Era un progetto “in caldo” già da un paio di anni, ma non riuscivo a trovare una chiave di lettura vincente. Non volevo fare un libro palloso o un saggio a fumetti sull’economia solidale. Volevo divertirmi, sperimentare, andare un po’ a braccio…Con BeccoGiallo e Biorekk, che ha sponsorizzato il progetto, siamo arrivati alla conclusione che il diario di viaggio era la formula più adeguata. Tavole, schizzi, foto, appunti, il tutto realizzato sui treni, nelle stazioni, in giro…Ho usato sette cifre stilistiche differenti, provando anche tecniche a me sconosciute, come il carboncino.
È stato molto divertente.
Anche se è catalogabile nella categoria fumetto, Chilometri Zero pesca il suo pubblico da tutt’altro bacino, quindi nelle fiere di settore vende davvero poco. A parte Fumettologica e Lo Spazio Bianco (qui, ndr: Fumettisti dall’Oblò #3 – “Chilometri Zero” di Paolo Castaldi tra consumo critico ed economia solidale) non ne ha parlato nessuno ma noi lo sapevamo. È un libro che sta vendendo bene tra gruppi di acquisto solidale e associazioni che si occupano di economia sostenibile. Abbiamo girato molto le scuole. Ha un bacino diverso da quello del fumetto più classico, molto sensibile, attento e anche numeroso.
Altro discorso per Volonté, un titolo un più ostico, poco “vendibile”. Sono passati sette mesi dall’uscita in libreria e ancora non ho dati certi. La mia sensazione è che sia partito un po’ piano, ma la vita di un libro è inaspettatamente lunga, se il libro è buono ovviamente!
Qual è, ad oggi, il tuo metodo di lavoro, quando ti approcci ad una storia e ad ogni singola tavola?
Quando sono nella fase embrionale di una storia, come in questo periodo, ci penso costantemente durante il giorno, anche mentre sto facendo altro, mentre sto cenando o mentre sto guidando l’auto ad esempio. È un’ossessione.
Ma non faccio nulla a livello pratico. Non scrivo, non prendo appunti, non schizzo nulla. Ci penso, metto in ordine le idee nella mia testa, mi immagino un inizio, una fine e tutto quello che ci sta nel mezzo.
Il mio metodo di lavoro è in continua evoluzione ed è diverso da libro a libro. Il linea di massima procedo prima con la stesura di una macro-sceneggiatura di tutta la storia che ricorda un po’ un testo teatrale. Pochissime indicazioni sull’ambiente in cui si svolge la scena o sull’azione che compie il personaggio e poi i dialoghi uno dietro l’altro, senza indicazioni di campi o suddivisione delle vignette. In quel momento la griglia ce l’ho già in testa e lì rimane fino a quando non inizio a disegnare.
Rileggo tutto e sistemo anche setto, otto, dieci volte. Dopo aver visto e rivisto i dialoghi, che sono l’elemento su cui più mi concentro, procedo con le tavole. Non faccio storyboard, non faccio schizzi, studio a malapena i personaggi. Durante la scrittura, disegno nella mia testa già tutto. Devo solo riportare su carta.
Parto direttamente con il definitivo, restando su un formato A4. Dopo aver fatto tutte le matite passo alla colorazione. Infine il lettering.
Se sono in vena riesco a fare anche due o tre tavole al giorno.
Sui tuoi contatti di social network, si sono intravisti dei tuoi lavori dedicati al mondo del pugilato. Puoi anticiparci qualcosa in più?
Si tratta di un progetto che sto portando avanti con Boris Battaglia, amico d’osteria di quelli migliori, anche lui appassionato, come me d’altronde, di boxe. Vedrà la luce ad ottobre, durante l’Overtime Festival di Macerata, una bellissima kermesse tra sport e cultura, che ho vissuto da ospite già un paio di anni fa. L’estate scorsa, dopo che pubblicai su facebook un’illustrazione di Mike Tyson realizzata per diletto, mi scrisse in chat Michele Spagnuolo, uno degli organizzatori: “Bello il disegno di Tyson! Che ne pensi di fare qualcosa ad hoc per Overtime sul pugilato!?”
E così abbiamo pensato ad una grande mostra esclusiva per il festival, che raccontasse dieci incontri di pugilato epici, dalla forte valenza sociale e politica.
Il titolo dovrebbe essere Quella volta che il ring divenne il mondo e sarà costituita da oltre quaranta pannelli con i testi di Boris e le mie tavole. Non stiamo lasciando nulla al caso, probabilmente ci sarà anche una componente audio-luminosa molto presente e studiata da alcuni studenti di Macerata, il tutto allestito nella sala di un bel palazzo del ‘500. Chiaramente, finito il festival, io e Boris avremo in mano del materiale pronto per essere impaginato e stampato, quindi l’idea è di farci poi un libro, magari un bel cartonato alla francese… (NDA successivamente all’uscita dell’intervista, Paolo ci ha comunicato che il libro uscirà per Beccogiallo)
Prossimi progetti di cui puoi parlarci?
Sto iniziando due nuovi libri. Uno è sempre per BeccoGiallo mentre l’altro è in gestazione da un po’ di tempo e solo ora sta prendendo forma concretamente. E’ una storia a cui tengo moltissimo quindi voglio
lavorarci per bene senza l’assillo della consegna. Doveva intitolarsi L’Opera ma poi ho cambiato radicalmente il soggetto, pur mantenendo i contenuti principali. Sarà un liberissima reinterpretazione di una favola di Andersen, Sneemanden, “uomo di neve” in danese. Non so ancora chi sarà l’editore. Vorrei pubblicarlo in Francia, tenendomi i diritti per l’Italia per poi proporlo personalmente a qualche editore che abbia voglia di prendersene cura per davvero, che ci creda, che lo spinga anche dopo mesi dall’uscita. Saranno altri due anni belli pieni, mi sa…
Extra-fumetto, continuerò a darmi da fare su vari fronti.
Inizierò presto la cover illustrata e tutto il progetto grafico del primo disco solista dell’amico Teo Manzo, giovane e talentuosissimo cantautore che si sta ritagliando un ruolo importante nel panorama milanese. Chi mi segue da un po’ lo conosce senz’altro, perché abbiamo collaborato altre volte in passato, come su EP – Volume 01, la mia unica opera autoprodotta, nel 2013.
Un altro bel progetto che sto portando avanti è il manifesto illustrato del nuovo tour di Vinicio Capossela.
Questo mercato è molto liquido quindi di giorno in giorno mi si propongono sempre nuove opportunità e sempre nuove collaborazioni. Alcune vanno a buon fine, altre ancora non portano a nulla. L’importante è esserci, ed avere dei titoli in libreria aiuta parecchio, soprattutto se riesci a farne uscire di buoni e con costanza.
Qualcuno si lamenta del fatto che solo il fumetto da edicola porta soldi veri agli autori mentre con la libreria si guadagna poco. E’ verissimo e di sicuro alcune cose andrebbero riviste, ma non si tiene mai conto di tutto l’indotto trasversale che si genera producendo titoli a fumetti che poi andranno su tutti gli scaffali d’Italia e magari anche all’estero.
Avere dei buoni lavori in libreria, di cui poi si parlerà sui mezzi stampa, online, tra i lettori, aiuta a far girare il nome dell’autore, accreditandolo automaticamente come professionista, come artista. E’ meglio di qualunque curriculum, meglio di qualunque laurea, se si vuol fare questo mestiere.
Molte commesse di illustrazione o di animazione mi sono arrivate non perché il cliente voleva semplicemente una buona illustrazione…Voleva una buona illustrazione dell’autore di Maradona. Per lui è un valore aggiunto, rende la sua copertina, la sua etichetta del vino se vogliamo, più prestigiosa.
Se funziona per me questo meccanisco, pensate per autori molto più quotati… Gipi sarebbe fisso su La Repubblica senza i suoi libri? Senza essere Gipi? O credete sia lì solo perché è bravo con gli acquerelli!? La Repubblica non voleva un bravo acquerellista e basta (che avrebbe potuto trovare con un esborso minore), voleva lui, voleva Gipi.
È immagine, è prestigio, appunto.
Mi piace intendere questo mestiere così, senza contorni netti.
Non mi interessa stare tutti i giorni, nello stesso studio, a fare la stessa cosa. L’arte visiva e sequenziale può essere applicata a milioni di cose. L’importante è avere sempre delle ore, tutti i giorni, da dedicare al fumetto. È un equilibrio che funziona, anche se a volte risulta molto stressante.
Intervista condotta via mail nel Maggio 2015, e pubblicata originariamente, in versione ridotta, su Mega 216 (Giugno 2015)