In uno dei suoi libri più belli, cioè Marco e Mattio, lo scrittore Sebastiano Vassalli ci racconta un interessante episodio: un frate, per salvare alcune valli venete dalla carestia, offre agli abitanti delle patate, fino a quel momento sconosciute a tutti (siamo nella seconda metà del 1700), chiedendo loro di sotterrarle. Diffidenti, i villici lo disprezzano e lo deridono; e quando il prete riesce infine a far piantare le preziose verdure essi le distruggono o le dissotterrano la notte stessa, per mangiarle crude. Perché non sanno, non credono e non possono aspettare.
L’episodio ha basi storiche: l’introduzione della patata in Italia – e in parte anche in Europa – ha infatti avuto numerosi problemi, dettati proprio dall’estrema diffidenza della popolazione, che ha iniziato ad accettarne la presenza solo nel 1800.
Cosa lega tutto questo a Mezza fetta di limone, la prima graphic novel del talentuoso Mattia Labadessa? Lo scoprirete più avanti, se avrete la bontà di continuare a leggere questa recensione.
Mezza fetta di limone è un lavoro valido su più fronti: in parte come racconto, in parte come tempi narrativi e creazione di atmosfere, ma soprattutto come stile grafico. Per cui, considerando che rappresenta la prima prova del suo autore nel racconto lungo e sebbene ci siano ancora alcuni elementi di dubbia origine o non proprio convincenti, si può comunque dire senza timore che si tratta di un buon risultato, che suscita curiosità e aspettative positive.
Labadessa, infatti, pur non abbandonando lo stile e certi temi che lo hanno reso “famoso” (e perché avrebbe dovuto, del resto?) non sembra cadere nel tranello di ripetere pedissequamente le gag e i leitmotiv più conosciuti dai suoi lettori; ma ha cercato di evolvere le sue idee, i suoi racconti, le sue filosofie e i suoi ritratti di vita in un insieme coerente e più complesso, una storia “vera” a tratti seria e a tratti ancora ammiccante, realistica negli intenti ma narrata con un largo uso di espedienti surreali, artistici, ricchi di inventiva e capaci di “rompere” la pagina in mille modi.
Se parliamo di tecnica e di disegno, infatti, tutto si può dire di Mezza fetta di limone tranne che sia un “film per vignette”, come altri lavori contemporanei che sembrano trovare la loro dimensione semplicemente riproducendo su carta i modi e i tempi del cinema. Qui invece ci muoviamo nel campo opposto, quello che cerca di sfruttare le infinite possibilità che il fumetto e la pagina disegnata offrono donandoci una narrazione piena di spunti, di variazioni, di sorprese, di idee visivamente interessanti.
Vediamo così i personaggi trasformarsi, le metafore prendere vita e forma, la realtà mutare, il tempo dilatarsi, le visioni diventare reali come se uscissero direttamente dalla testa di chi le crea. I balloon vengono aboliti a favore di parole incise direttamente sull’immagine senza che la lettura ne risenta; ed esistono addirittura momenti in cui le regole base del fumetto vengono scardinate a favore di una logica narrativa tutta personale, della quale è difficile capire le origini e le motivazioni, sospesa tra genialità o improvvisazione.
Tra questi è significativa la scena in cui uno dei personaggi fa volare via una coccinella: la “logica”del fumetto vorrebbe che il colpo inferto all’insetto gli facesse attraversare le singole vignette in un passaggio da sinistra a destra, nella direzione in cui noi intendiamo sia la lettura sia gli spostamenti temporali in una pagina.
Labadessa invece – coscientemente o meno – ribalta tale spostamento offrendoci una coccinella che vola da destra verso sinistra; ma mentre si ritrae all’interno della pagina… nello stesso tempo riesce a comunicarci il suo avanzare. Un’idea piccola ma interessante, forse nata dal caso (se Labadessa fosse un fan dei manga direi che si tratta solo di un errore dato dall’abitudine di vedere fumetti con le pagine ribaltate), ma che in mancanza di certezze sulla sua origine contribuisce a rendere Mezza fetta di limone un lavoro da sfogliare con attenzione, sperando di trovarci dentro solo del genio.
La tecnica narrativa appena citata, e la capacità di creare atmosfere rarefatte con il minimo sforzo (minimo ma efficace al punto che credo pochi lettori si accorgeranno che molte vignette sono copie le une delle altre, e si ripetono quasi identiche in numerose scene) potrebbero indurci a paragonare Labadessa ad alcuni grandi nomi del fumetto moderno. Ma così non sarà, almeno per ora: sia per la diversità di approccio alla materia sia perché da un autore così giovane è lecito attendersi ulteriori conferme prima di lanciarsi in lodi esagerate. Per ora si può dire dunque che certe scelte di Labadessa sembrano il frutto di una “sana incoscienza”, una mancanza di basi che comunque non toglie troppo valore al suo nuovo lavoro, ed è ovviata da un multiforme talento che forse aspetta solo di essere completo.
Volendo fare un riassunto del volume, si può dire che Mezza fetta di limone parla di tre giovani,tra i quali un probabile alter ego del protagonista, e di una loro serata qualsiasi. Serata che si suppone identica a molte altre, in un “eterno ritorno” Nietzschiano che è uno degli elementi cardine del racconto insieme a un pessimismo assoluto dalle origini simili. I tre giovani si incontrano, mangiano la solita pizza, vanno negli stessi locali, compiono le stesse azioni di sempre, bloccati forse volontariamente e forse no in un’immobilità che circonda le loro vite e le rende impermeabili a tutto, distanti, vaghe al punto che niente sembra riuscire a scuoterle, neppure la morte.
Temi interessanti, non nuovi, vagamente adolescenziali ma non errati, proposti con una semplicità priva di fronzoli che centra i propri obiettivi senza risultare quasi mai imperfetta o artefatta. “Quasi”, però, perché in alcuni momenti invece il dubbio si fa più vivo, e si ha l’impressione che alcuni dialoghi e temi siano inseriti in un soprassalto di consapevolezza, come se l’autore avvertisse improvvisamente la necessità o l’ansia di accontentare le aspettative del suo pubblico.
Allo stesso modo certi incisi, certe deviazioni dal racconto principale, certe scene, paiono a volte semplici riempitivi, un tentativo di inserire le brevi gag nelle quali Labadessa è esperto camuffandole da racconto; o solo un modo di prendere tempo e riempire gli spazi di una storia forse ancora troppo semplice e troppo poco strutturata per reggere il numero di pagine necessario a renderla un vero e proprio volume a fumetti.
E altri dubbi, in effetti, compaiono quando si cerca di andare più a fondo nel racconto, che se esaminato con accuratezza mostra alcune imperfezioni nella sua tessitura. Questo perché, paradossalmente e prevedibilmente, il miglior pregio dell’autore sembra essere nello stesso tempo il suo difetto.
Sto parlando della giovane età, che se dalla parte dello stile gli permette di ignorare i vincoli che a volte alcuni autori si autoimpongono affidandosi a narrazioni e disegni troppo canonici, da quella dei contenuti lo condanna per il momento a raccontare una quotidianità fin troppo semplice, a volte quasi adolescenziale nel proprio negativismo assolutista, nel disagio riguardo il senso dell’esistenza, nella preghiera di un cambiamento come fonte di nuova vita accoppiata alla denuncia dell’insensibilità e dell’inutilità della vita stessa,nella sua mitizzazione dell’esistenza e dei suoi rovelli. Troppo, troppo “giovanile”per poter essere davvero fondata ed efficace.
E qui veniamo all’episodio delle patate.
Nel fumetto, a un certo punto i tre protagonisti si ritrovano davanti a un piatto di patatine fritte. Per uno di loro, le patatine sono l’emblema di quanto gli umani siano straordinari, dato che “un bel giorno abbiamo deciso di coltivare questo strano tubero, raccoglierlo, pelarlo, friggerlo e mangiarlo (…) lo abbiamo rielaborato in mille modi, con procedimenti complessi, solo per gustare qualcosa di buono, di nuovo.” Fortunatamente, per riequilibrare in parte lo slancio emotivo (molti personaggi di Labadessa lo fanno, quasi come se il suo autore stesse cercando più o meno consciamente di auto-moderare i propri sussulti poetici), ecco che un altro protagonista ribatte che la patatina fritta, come molte altre invenzioni, è qualcosa che abbiamo creato “perché non avevamo un cazzo da fare”.
In realtà, come molti sanno (o possono cercare in rete), la vera storia della patata è ben diversa, affatto epica, affatto “cazzona”, ma costruita in decenni e decenni – in secoli! – di continue vittorie e sconfitte del buon senso, di opportunità sociali, di necessità o di sotterfugi. E dunque, così come non può farsi coinvolgere da questa mitizzazione del tubero priva di fondamento, il lettore smaliziato non può accettare neppure le altre filosofie di Labadessa dando loro l’importanza e la profondità che il suo autore vorrebbe imporre. Insomma, il castello di carte e ragionamenti, per quanto valido nel descrivere la quotidianità dei propri eroi, cade sotto il peso della sua stessa giovinezza.
Ma stiamo parlando di un peccato veniale, che non inficia più di tanto la resa del lavoro e che per una larga fetta dei fans di Labadessa non la inficerà affatto, in quanto tale castello rappresenta perfettamente il loro vivere e il loro sentire. Si può dire dunque che Mezza fetta di limone è il tipico lavoro perfetto per il pubblico al quale si rivolge; mentre “l’altro pubblico”, quello più maturo e smaliziato, potrebbe rimanere dubbioso, e se ha curiosità nei confronti dell’autore dovrà aspettare che passi ancora qualche anno per trovare forse un’opera che lo rappresenti e che sia priva di difetti.
Mezza fetta di limone è un’opera (quasi) prima che nonostante qualche elemento incerto rimane per buona parte convincente, personale, promettente, visivamente ricca e ben confezionata. Un volume che di certo riscuoterà l’entusiasmo dei fans dell’artista, un fumetto che pur con qualche inciampo sa raccontare, a tratti riesce a stupire, dimostra un interessante uso del media fumetto, è poetico dove serve e fantasioso, e in definitiva rappresenta un valido esordio che si spera sia solo il primo di altri lavori di pari livello.
A questo punto, il principale “rischio” di Mattia Labadessa sarebbe quello di smettere di crescere come artista per diventare autoreferenziale; sebbene un’eventualità del genere renderebbe felice il pubblico più conservatore e quegli editori che preferiscono immutabilità di stile e temi per avere dei successi facili da vendere, noi speriamo vivamente che ciò non succeda, e che questo talento in evoluzione possa diventare ancora più solido.
Abbiamo parlato di:
Mezza fetta di limone
Mattia Labadessa
Shockdom, 2017
192 pagine, brossurato, colori – 19,00€
ISBN: 9788893360746