Edmund e William Torpor sono due fratelli decisamente strani. Orfani di padre, vivono con la madre, donna all’antica ma che dipinge quadri tutt’altro che banali. E banali non sono i passatempi con cui i ragazzi si dilettano: i due infatti costruiscono macchine sonore utilizzando carcasse di animali.
Una passione che suscita qualche perplessità nella madre e una decisa avversione da parte dei concittadini dei due, gli abitanti di un imprecisato paesino del New England.
Obliquamente autobiografico, The Squirrel Machine, pubblicato nel 2009 da Fantagraphics, può essere definito un romanzo di formazione, deformazione o trasformazione. La scelta spetta al lettore, a cui l’autore, Hans Rickheit, lascia volutamente pochi punti di riferimento e nessuna chiave interpretativa univoca. Che vi si voglia vedere un racconto sulla difficoltà di divenire adulti o una riflessione sul valore assoluto dell’arte (non che le due interpretazioni si escludano a vicenda, anzi), The squirrel machine conduce il lettore lungo un sentiero del tutto originale, lo stesso che percorrono i due fratelli per boschi sinistri o per le stanze segrete della loro casa, inverosimilmente immense e piene di macchinari astrusi e bizzarri.
Attraverso sequenze più o meno lunghe, e non di rado mute, l’autore prende per mano il lettore stregandolo con un tratto preciso fatto di linee dritte e neri spessi, utilizzati per rappresentare situazioni irreali, creature mostruose che sembrano partorite dall’inconscio o pratiche raccapriccianti.
La messa in scena rigorosa e schematica restituisce un’idea di innaturale fissità, frutto probabilmente anche di un’inchiostrazione meticolosa che imbriglia sfondi e oggetti in contorni ben definiti, sulla quale si stagliano, quasi non vi appartengano del tutto, i personaggi, i cui volti sono tratteggiati con linee ben più sottili e incerte.
È evidente come uno degli scopi dell’autore, sicuramente raggiunto, sia appagare l’occhio del lettore/spettatore ma allo stesso tempo divertirsi ad assecondare il proprio gusto per l’accumulazione: le vignette (mai caotiche) sono ricche di dettagli e tratteggi che irretiscono e confondono il lettore, cui spetta l’onere di decidere cosa abbia un significato particolare e cosa invece sia semplicemente – ma di semplice nelle tavole di Rickheit c’è davvero poco – un raffinato orpello.
L’opulenza delle vignette, la cura ossessiva per il dettaglio, anche minimo, costringono a soffermarsi sulle pagine per aver il tempo di esplorare la mole di informazioni che l’autore ha riversato sulle pagine, facendo correre lo sguardo su bulloni, valvole e cadaveri di animali.
Costretto a navigare a vista, il lettore decide da sé a cosa attribuire valenza simbolica (e quindi importanza) e cosa derubricare a fronzolo (non inutile, sia chiaro), trasformando il dubbio nel compagno di una lettura che invita all’interpretazione personale.
Perché tutto o quasi è imprevedibile, ma non basta questo a definire The squirrel machine un fumetto raro per potenza evocativa e capacità di rimanere impresso nella mente del lettore, pur in assenza di un trama convenzionale o lineare. Quello che colpisce è la capacità di coniugare ironia e pathos, orrore e fascinazione, crudeltà e poesia, nella creatività debordante che Rickheit sfoggia tavola dopo tavola.
“Raramente un artista viene compreso dai suoi contemporanei”, così Edmund cerca di difendere, davanti alla propria madre, il senso delle grottesche invenzioni cui da vita assieme al fratello William. Un’affermazione che non può che suonare ironica in bocca a un ragazzo, ma che, di contro, sembra chiarire perfettamente la posizione dell’autore rispetto agli intenti del proprio lavoro: una minuziosa e visivamente affascinante rappresentazione di avventure, reali e immaginarie, prettamente infantili.
Legittimate in quanto tali, raccontate senza alcuna necessità di realismo, coerenza o verosimiglianza.
Sfornate di getto, per quanto uno stile così dettagliato possa consentirlo, seguono un intimo flusso di suggestioni in continuo evolversi, piuttosto che una trama pianificata a cui fare riferimento.
Assecondando magari l’ispirazione del momento, restituiscono al lettore le proprie fantasie prive di filtri, o i propri ricordi arricchiti dal potere dell’immaginazione.
In un’interessante intervista pubblicata sul sito di Panorama, Rickheit racconta di aver compiuto nell’infanzia scorribande simili a quelle di William ed Edmund, anche se “In realtà quei palazzi non erano così interessanti e nei miei fumetti metto le cose che mi sarebbe piaciuto trovare all’epoca.“
La fanciullezza protagonista del fumetto non è educata, né nostalgica e conciliatoria: William ed Edmund sono personaggi con cui immedesimarsi è semplicemente impossibile. Perché i loro volti sono perennemente impassibili, assorbiti come sono dalle loro esplorazioni e invenzioni. Enigmatici per vocazione, collocano il lettore nella scomoda situazione di non essere mai del tutto sicuro di quanto succederà di lì a poche pagine, e tantomeno delle motivazioni e delle finalità che animano i due ragazzi.
Uno straniamento che l’autore ottiene anche grazie ad alcune sottili “dissonanze”, come la scarsissima presenza di onomatopee: infatti, gli enormi macchinari che la casa nasconde e a cui i due accedono attraverso una serie di passaggi segreti paiono non produrre alcun suono.
Lo stesso fatto che i due si dedichino alla realizzazione di macchine sonore, il cui prodotto ovviamente resta sconosciuto al lettore, costituisce un ulteriore elemento di inquietudine e impone una distanza tra lettore e vicenda. Eppure il suono è elemento ricorrente del libro e protagonista di una sequenza davvero memorabile di seduzione.
Arrivati alla fine di questa funambolica giostra steampunk ci si accorge che quello che l’autore ha volutamente lasciato fuori dal palcoscenico sono i sentimenti, e alle già numerose chiavi di lettura si aggiunge quella che potrebbe fare di The squirrel machine, un racconto sull’importanza dell’educazione sentimentale e sui rischi connessi a una sua mancanza. Mostrando cosa succederebbe se il cesto dei giochi, in cui sono gettate indistintamente cose, persone, oggetti e animali, si trasformasse nel calderone della strega delle fiabe.
Abbiamo parlato di:
The Squirrel machine
Hans Rickheit
Traduzione di Valerio Stivé
Eris, aprile 2017
192 pagine, brossurato, colori – 16,00 €
ISBN: 9788898644360