La carriera negli Stati Uniti di David Rubín è in rapida ascesa. Impegnato attualmente per Dark Horse Comics su Ether, Black Hammer e Sherlock Frankenstein – gli ultimi due entrambi scritti da Jeff Lemire –, e per Image Comics, sul secondo volume di Rumble scritto da John Arcudi, l’artista spagnolo sembra essere finalmente giunto, come dimostra l’incipit de L’eroe, a ciò che sognava fin da bambino: i supereroi.
Questa sembra essere solo la punta dell’iceberg di un autore che si sta dimostrando sempre più poliedrico nell’affrontare i generi più disparati e da questo punto di vista L’eroe è un’opera seminale per la poetica e lo stile di Rubín. Da un lato in essa manifesta e fonde due tra le sue passioni forse più viscerali, la mitologia e il genere supereroistico; dall’altro la mastodontica opera è un perfetto compendio per potere seguire l’evoluzione stilistica del suo autore, e la sua crescita sia da un punto di vista grafico e narrativo.
La riproposizione de L’eroe da parte di Tunué, in un unico cartonato integrale che raccoglie i due volumi nei quali si sviluppa la storia, è lo spunto per un’analisi più approfondita di questa fatica di Rubin, giusto per rimanere in tema.
Decostruzione del mito
Rubín dipinge su carta le leggendarie gesta del semidio Eracle (o Ercole, che dir si voglia), ribaltando però completamente la vicenda rispetto a quanto narrato dal mito. Le dodici fatiche avvengono prima dell’assassinio della moglie e dei figli da parte dell’eroe sotto l’effetto dell’incantesimo di Era (moglie di Zeus che odia Eracle in quanto frutto dell’amore di suo marito per un’altra donna), e non sono la pena da scontare per riaverli.
Nonostante ciò, il racconto mitologico adattato nel fumetto mantiene la stessa forza ed efficacia dell’originale, anzi Rubín si dimostra capace di smontare il mito e di riassemblare le sue componenti in un diverso ordine senza perderne il significato, bensì arricchendo la storia di nuove riflessioni.
Rubín sostiene che i primi temerari difensori di un equilibrio tendente al bene siano stati gli eroi greci. Così facendo rovescia i termini di un concetto che da tale affermazione esce rafforzato, cioè quello che vede i supereroi quali protagonisti di una moderna mitologia occidentale.
A questo l’autore aggiunge poi un tocco di postmodernità e una spruzzata di cultura pop: Eracle è mostrato armato di katana e spesso in pose da samurai, e inoltre compaiono action figure di Superman, Batman e altri personaggi della DC Comics come giochi per bambini, citazioni dei Peanuts, commistioni fantascientifiche tra il Prometeo scienziato e Atlante che regge il mondo attraverso un apparecchio concettualmente vicino al cyberpunk, enormi computer attraverso i quali Era segue le gesta di Eracle e interviene dall’Olimpo, l’iPod sempre nelle orecchie dell’eroe e svariati altri elementi in bilico tra l’immaginario collettivo e la cultura di massa degli anni 2000.
Tutti i punti appena citati contribuiscono a riplasmare il mito, senza però liberarlo dalla sua forza catartica originaria. Gli aggiungono anzi elementi derivati da una poetica supereroistica che si adattano perfettamente all’alone mitologico della narrazione: l’abnegazione e l’altruismo dell’eroe e il suo schierarsi a difesa di deboli e oppressi. Ma anche le conseguenze di una possibile degenerazione dell’ideale superomistico – e qui siamo dalle parti del decostruttivismo operato da Alan Moore e Frank Miller negli anni Ottanta – che trasforma l’eroe in ciò che ha sempre combattuto.
Rubín opera anche sulla collocazione temporale della storia: la Grecia mitologica resta assolutamente riconoscibile quale sfondo delle gesta di Eracle, ma al contempo essa si trasfigura in un mondo a noi contemporaneo, fatto di auto, moto, computer, televisione e merchandising.
Il ruolo dell’eroe
Fin da subito, con Era che dalla sua dimora atemporale osserva da decine di schermi ogni momento di vita di Eracle, al lettore viene presentato un mondo dove il protagonista è posto al centro dell’attenzione: prima della matrigna, poi della città e infine del mondo intero.
I media infatti, nel continuo postmodernismo di Rubín, sono pedine fondamentali nella definizione del ruolo dell’eroe presentato spesso e volentieri come salvatore e trasformato in prodotto pubblicitario. Allo stesso modo, la caduta di Eracle – seppur temporanea in vista della scontata rivincita – è amplificata dal circo mediatico, come sovente avviene nella realtà, in una trasfigurazione repentina da modello a mostro che si riflette nella stessa visione che il protagonista ha di sé.
La visione dell’autore è mediata attraverso una presa di coscienza dello stesso protagonista: è un uomo come tutti gli altri, con i suoi dilemmi morali e le sue paranoie, capace però di imprese straordinarie.
Quindi quasi obbligatoriamente si autoimpone, con il susseguirsi delle prove, una visione della sua persona più seria e adatta ai difficili compiti che gli vengono assegnati, immagine di se stesso che viene poi riflessa verso chiunque. L’eroe viene prima svilito e poi trasformato in simbolo universale.
Due volumi, due narrazioni
Come si diceva in apertura, L’eroe è un’opera che permette di analizzare l’evoluzione e la crescita artistica di Rubín nel suo divenire. Da un punto di vista di gestione della narrazione, la prima differenza che balza agli occhi è che i due volumi che compongono l’opera sono strutturati in maniera diversa.
Nel primo, ambientato completamente durante la gioventù e la prima maturità dell’eroe, troviamo una scansione dei capitoli impostata allo stesso modo degli albi seriali di una testata supereroistica. Se da un lato è evidente l’omaggio dell’autore al fumetto statunitense di cui è lettore appassionato, dall’altro questa impostazione conferisce ritmo e velocità al susseguirsi delle fatiche a cui va incontro Eracle, narrate in sequenza.
In questo primo tomo l’azione la fa da padrone , mentre lo spazio all’approfondimento e all’introspezione resta più in disparte, seppure Rubín non lo sacrifichi completamente.
In effetti, a fine lettura di questa prima parte, il lettore può restare un po‘ interdetto – soprattutto se non abituato ai meccanismi narrativi del fumetto supereroico – e tacciare la storia di ripetitività, nella reiterazione di un modello narrativo sempre uguale (Euristeo indica a Eracle la prova da superare, Eracle passa all’azione, pare sul punto di capitolare e poi trionfa).
Alla luce della lettura del secondo volume, tuttavia, il giudizio deve essere rivalutato e messo nella prospettiva che evidentemente Rubín aveva bene in mente fin dal principio per quanto riguarda la struttura della storia da raccontare. Certamente, l’approccio più seriale della prima parte gli permetteva da un lato un racconto veloce e dinamico delle fatiche dell’eroe e dall’altro una gestione più semplice della sceneggiatura.
Nel secondo volume l’autore diminuisce il ritmo, amplia l’estensione dei capitoli e, di pari passo con l’aumentare dell’età e della maturità del protagonista, mette in scena drammi e tragedie.
L’attenzione si sposta dall’azione verso l’approfondimento psicologico. Eracle assume un aspetto più umano soprattutto nelle sue debolezze e nelle sue manchevolezze: l’uomo maturo che assiste disperato al dramma che piomba addosso alla sua seconda moglie Deianira, l’incapacità di intervenire e il comportamento tenuto dopo l’incidente, ci offrono l’immagine di un eroe incapace di sollevarsi dalla meschinità di un uomo normale.
Tutto questo per arrivare al finale catartico della storia, nel quale Rubín si prende tutto lo spazio necessario per un racconto che dilata ritmo e spazio per mettere in scena tanto l’epicità quanto la tragedia.
I disegni tra classicismo e innovazione
L’altra progressione evidente, confrontando il principio e la fine dell’opera attraverso le oltre 500 pagine in cui si sviluppa, è la crescita e maturazione di Rubin dal punto di vista grafico.
Usando fin dall’inizio il suo ormai conosciuto stile ultra-pop, cartoonesco e fuori dagli schemi, l’autore riesce ad applicare i paradigmi grafici supereroistici alla mitologia greca, lanciando il lettore in un trip visivo coloratissimo e dinamico. Oltre alle influenze più evidenti, come quella di Jack Kirby – citato testualmente anche nel prologo – e Frank Miller, sono altrettanto chiari i vari riferimenti alla pittura, tra cui quella di Pablo Picasso, come nella raffigurazione dei cavalli, che traggono ispirazione da quelli di Guernica.
Il comparto grafico diventa sempre più esplosivo con l’avanzare della narrazione fino ad arrivare all’ultima fatica, dove il colore rosso degli Inferi e del sangue è il culmine cromatico di una violenza e una forza esteriore e interiore che permea in modo esplicito tutta l’opera.
Di pari passo con l’accumularsi delle pagine, cresce la perizia con cui Rubín costruisce il layout delle tavole, sempre diverso, sempre dettato da un dinamismo e da una costruzione estremi, ma sempre al servizio della narrazione, mai esercizio stilistico fine a se stesso.
È impressionante la capacità progettuale dell’artista riferita alla composizione delle tavole. La griglia che genera la sequenzialità delle vignette viene esplosa completamente e rimontata in geometrie imprevedibili, talvolta fino a fondersi con immagini a tutta pagina sulle quali è necessario soffermare lo sguardo per più tempo, fino ad accorgersi che al loro interno contengono uno sviluppo narrativo molto più ampio di quanto possa a prima vista apparire.
Lo stesso uso delle onomatopee diventa elemento strutturale e compositivo per Rubín, al pari del marcato spazio bianco tra le vignette. Entrambi sono elementi che dettano ritmo, direzione e senso del racconto.
L’eterno ritorno dell’uguale
Il prologo e l’epilogo de L’eroe si completano vicendevolmente e segnano quella ciclicità del tempo tipica delle civiltà antiche, manifestazione della continuità tra storia degli dèi e storia degli uomini: continuità garantita da Eracle, connubio di perfezione divina e imperfezione umana.
Tutto ciò al contempo può essere visto come una metafora del lavoro dell’Autore, che finito un libro guarda oltre e pensa già al prossimo che ancora deve ideare, fatto che Rubín mette bene in evidenza. Un tempo quindi destinato a ripetersi, dove ognuno si ritrova nei ruoli che ha sempre occupato e sempre occuperà: come ci saranno sempre eroi pronti a compiere imprese incredibili, continueranno a esserci artisti abili a narrarne le gesta.
L’eroe è dunque un lavoro stratificato, non esente da pecche, dalla forma esplosiva e conturbante, dai contenuti semplici e accessibili a tutti, ma che richiede un tempo di lettura e assimilazione adeguato. Contemporaneamente è un’opera dall’alta profondità concettuale, che tocca a le strutture intrinseche della narrazione, dell’arte e del fumetto come mezzo di comunicazione.
È una sorta di manifesto di ciò che David Rubín vorrebbe fare con il fumetto e, a ormai sette anni dalla sua uscita, possiamo dire che il suo autore ci sta pienamente riuscendo.
Abbiamo parlato di:
L’eroe – Edizione integrale
David Rubín
Traduzione di Cristiana D’Onofrio
Tunué – Collana Prospero’s Books, 2017
568 pagine, cartonato, colori – 44,90 €
ISBN: 9788867902422