Laura Zuccheri: il mio western da Ken Parker a Tex

Laura Zuccheri: il mio western da Ken Parker a Tex

È la prima disegnatrice a realizzare un Texone, quello del 2019 firmato alla sceneggiatura da Mauro Boselli. Ma Laura Zuccheri ha una lunga esperienza western alle spalle, fin dai suoi esordi con Ken Parker di Berardi e Milazzo. E anche gli anni su Julia si sono rivelati importanti per “Doc!”.

Laura Zuccheri nasce a Budrio, in provincia di Bologna, il 4 ottobre 1971 e, dopo la maturità scientifica, nel 1990 inizia a seguire un corso di grafica pubblicitaria a Bologna, che la impegna fino al 1991. L’anno successivo lavora per alcune agenzie di pubblicità e poi, nel novembre 1992, arriva l’incontro con Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo. Comincia a collaborare con Ken Parker Magazine, impegno che la occupa fino al 1995. Nel 1996, disegna con Pasquale Frisenda Hardware, una storia scritta da Maurizio Mantero per Zona X, quindi, nel 1997, inizia a lavorare per Julia, rimanendo sulle storie del personaggio fino al 2014.
Nel 2006 inizia la sua collaborazione con Sylviane Corgiat e con il mercato fumettistico d’oltralpe per il quale disegna i quattro volumi del fumetto fantastico-medievale
Épées de verre.
Nel 2013 le viene affidata la realizzazione della copertina del Color Tex #4, diventando così la prima illustratrice a cimentarsi con il ranger bonelliano. La prova evidentemente piace ai vertici della SBE che l’anno successivo le affidano i disegni di un Texone uscito a giugno 2019 con il titolo Doc!.
Proprio per parlare di questa esperienza abbiamo intervistato Laura Zuccheri.

Laura, benvenuta su Lo Spazio Bianco.
Sei la prima donna a disegnare un Texone, di per sé un piccolo-grande primato. Quando e come è nata questa avventura, quanto è durata e, ora che il viaggio è compiuto, guardandoti indietro quali sono le tue sensazioni?

Mi è stata data l’opportunità di fare il Texone, perché nel 2014 ero uscita dalla serie Julia: dopo quindici anni di collaborazione ero stanca. A quel tempo, come anche adesso, lavoravo per la Francia e quell’esperienza mi aveva impegnato molto, quindi non riuscivo più ad andare avanti e mi ero un po’ stufata di lavorare su una serie per così tanto tempo. Quindi sono semplicemente uscita da Julia e dopo quindici giorni Mauro Marcheselli (al tempo, direttore editoriale della SBE N.d.R.) mi telefonò e mi chiese se mi andasse di realizzare un Texone. Accettai di buon grado perché ho sempre avuto la passione per il genere western. La lavorazione è durata poco più di quattro anni, poiché essendo impegnata anche con la Francia non potevo accelerare i tempi, ed è finita un anno fa, anche se ci sono stati dei ritocchi e dei lavori di messa a punto dell’albo, mentre nel frattempo ho cominciato altre cose. Sono molto contenta e molto soddisfatta adesso che ho riletto il volume, però sono già proiettata e concentrata su altro, com’è giusto che sia.

I tuoi Tex e Carson sono graficamente classici, subito riconoscibili: che punti di riferimento hai deciso di scegliere per rappresentarli?
Ho sempre tenuto sotto gli occhi i Tex e Carson di Giovanni Ticci come punto di riferimento. Il problema nel disegnare Tex è che non ha un riferimento realistico negli attori, nella realtà in generale. Dovendo comunque restituire su carta l’anima, lo spirito del personaggio, dovevo guardare per forza ad altre interpretazioni e allo stesso tempo trovarne una mia, quindi è stato molto difficile e ritengo di doverci lavorare ancora un po’ per metterla a punto. Mi ci vorrà tempo, anche perché ci sono regole abbastanza ferree da rispettare e sono regole non scritte, che scopri lavorando. Non sono facili neanche le proporzioni dei personaggi che sembrano realistici, ma le cui proporzioni sono tutt’altro che reali. Ci sono tante cose da decodificare e capire.

Come in tutte le sceneggiature di Mauro Boselli, anche in Doc! i comprimari abbondano e ognuno è pienamente connotato caratterialmente. Come hai lavorato per rappresentare ciascun personaggio in modo da caratterizzarlo affinché si staccasse dallo sfondo della pagina, seppur per le magari poche vignette a lui dedicate?
Cerco sempre dei riferimenti nella realtà, attraverso film o persone esistenti, che mi danno la possibilità di entrare dentro alle caratteristiche della personalità di ogni personaggio. C’è un certo modo di concentrarsi su ognuno di loro: bisogna entrarci dentro totalmente, come fanno gli attori quando devono interpretare un ruolo, e rappresentarlo univocamente sia graficamente sia dal punto di vista della personalità. Questo vale anche per le comparse, è fondamentale che anche loro abbiano una base reale.

Da Julia e Giancarlo Berardi (e Maurizio Mantero) a Tex e Mauro Boselli: ci racconti che differenze ci sono nel lavorare sui due personaggi e con i due sceneggiatori?
La tecnica narrativa è la stessa, molto cinematografica e con un linguaggio tecnico ben preciso. Penso che Mantero, Berardi e Boselli siano gli unici nel mondo del fumetto ad avere questa tecnica che è assolutamente vicina a quella del cinema. Lo posso dire perché lavoro anche con altri sceneggiatori e la maggior parte di loro non hanno queste caratteristica. La base di Tex è cinematografica e lo era anche per Ken Parker, sebbene i due personaggi siano diversi: il primo è più un supereroe mentre il secondo è un essere umano che vive situazioni per certi versi più realistiche. Anche con Julia l’approccio è lo stesso, cambiano il genere narrativo e i personaggi, ma il metodo è comunque cinematografico. Poi ci sono disegnatori che interpretano la sceneggiatura in modo diverso, perché non tutti hanno la stessa sensibilità. Io guardo moltissimi film, per cui le inquadrature le assorbo in maniera “cinematografica”, ma è anche una mia scelta visiva, perché la sceneggiatura richiede anche questo.

Dal bonelliano al fumetto francese, come cambia il tuo approccio al segno e alla tavola, soprattutto visto che per il primo hai lavorato su due serie con canoni strutturali abbastanza ferrei come Julia e Tex?
Per quanto riguarda la Francia, se è richiesto il colore allora il tipo di inchiostratura è diverso: per come la interpreto io, dà più opportunità al colore di creare masse, ombre e luci. L’approccio in bianco e nero porta con sè già una dimensione volumetrica e quindi alcuni fanno delle campiture a colori piatti, mentre io ricerco più le masse e le luci attraverso il colore. Per quanto riguarda l’impostazione francese e quella bonelliana, ho dovuto fare un certo lavoro mentale per entrare in un altro modo di procedere: cerco sempre di usare inquadrature cinematografiche, ma la disposizione delle vignette è diversa. Rispetto alcune regole del fumetto francese, però ne inserisco anche alcune che vengono dalla scansione bonelliana, perché mi interessa che ci sia una fluidità narrativa, non semplicemente una composizione estetica come talvolta è richiesto in Francia. Non è sempre facile combinare le due cose, ma cerco di farlo.

Ringraziamo Laura Zuccheri per la sua disponibilità.

Intervista telefonica realizzata il 23 giugno 2019

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