Emilia, edito a maggio da Maledizioni, è una raccolta di 12 racconti dedicata all’intimo rapporto nonna-nipote.
Già dal primo racconto (Pastiglie) capiamo di aver a che fare con una donna che sa il fatto suo, imponente e dal carattere spigoloso, per niente incline ad assecondare i cliché delle relazioni interpersonali troppo edulcorate dall’atmosfera natalizia (Amorevolmente) e che non si astiene dal criticare nessuno, nemmeno Dio, che a quanto pare non riesce a fare a meno di un intermediario per parlare all’uomo (Parlare in faccia).
Impossibile non commuoversi, però, nel sentire raccontare scherzosi aneddoti di gioventù che l’han fatta innamorare del marito defunto che le manca tanto (Un certo gas che faceva dei riccioli), riflettere pieni di gratitudine su quanta saggezza e pragmatismo ci siano in consigli di vita in apparenza tanto semplici (Tirare l’acqua spesso) o provare tenerezza per equivoci lessicali fra beni “mobili” e “immobili” (Dichiarare i redditi).
Con una sintesi visiva e concettuale particolare, raccontando attraverso la lingua emiliana parlata, Fabio Bonetti condivide con il lettore tanti piccoli spaccati di quotidianità in cui molto probabilmente possono ritrovarsi molti di coloro che hanno nonni che sono nati a cavallo della seconda guerra mondiale, e che per questo sono portatori di un bagaglio socioculturale unico.
Abbiamo intervistato Fabio, ecco cosa ci ha raccontato di sé e del suo libro.
Buon giorno Fabio e grazie di aver accettato di rispondere a qualche domanda. Come prima cosa ti chiederei di presentarti ai nostri lettori
Sono nato a Modena, vivo a Santarcangelo di Romagna da un po’, disegno, scrivo e organizzo concerti, ma so fare anche altre cose.
Come sei arrivato al mondo del fumetto? Ci sono state letture o autori che ti hanno ispirato? Quali fumetti leggi?
In passato non sono mai stato un grande lettore di fumetti, li seguivo a distanza. Ho iniziato a disegnarli nelle pause del mio lavoro di grafico e illustratore, e pian piano sono diventati il luogo nel quale riuscivo a muovermi liberamente. Hanno iniziato ad affascinarmi autori molto diversi tra loro come Brecht Evens, Bastien Vives, McManus, McCay, G. Seliktar e illustratori come Filiberto Mateldi per fare qualche nome. Anche se gli autori ai quali sono più legato sono in realtà scrittori: Raffaello Baldini, Cornia e Cavazzoni in testa a tutti.
Parliamo ora di Emilia, tuo esordio fumettistico, uscito quest’anno per MalEdizioni.
Il tuo stile di disegno e colorazione è molto forte: la scelta cromatica precisa (ottanio, rosso e bianco) e i personaggi indossano tutti una sorta di cuffietta. Come hai cominciato a colorare le tue produzioni in questo modo e a pensare i tuoi personaggi con quell’accessorio?
Volevo una colorazione che fosse in qualche modo estraniante, che aggiungesse alla storia un tono capace di spiazzare ulteriormente il lettore pur rimanendo scarna, essenziale e profondamente innaturale. Usare il colore per confondere ulteriormente le carte, proprio come le cuffiette.
Sempre rispetto alla tua scelta cromatica: preferisci parlare di bicromia, in cui il bianco fa da sfondo, o tricromia?
Parlerei di quadricromia, inserendo anche il nero del segno, che è un po’ quello che tiene insieme i rossi, i bianchi e l’ottanio, considerando il bianco come un colore, ecco.
Che valore ha per te la lingua emiliana parlata, parte integrante del racconto che lo situa in un luogo ben preciso. Pensi possa essere un limite per chi legge da lontano?
Mi ha sempre affascinato molto la lingua parlata, quella che usiamo tutti i giorni, con i suoi errori, le sue cadenze ed i suoi inceppamenti. Spesso nel parlato siamo in grado di fare delle acrobazie impensabili, di utilizzare forme prese in prestito dal dialetto e restituirle, in qualche modo, in una forma comprensibile a tutti… mi vien da dire che la lingua parlata sia un territorio comune, che segue regole grammaticali tutte sue e proprio per questo può accogliere tutti.
Da cosa deriva la scelta di parlare del rapporto nonna-nipote? di condividere con i lettori situazioni così private?
Sono molto legato ai miei nonni e ho passato molto tempo con loro per varie ragioni, trovando nelle loro storie situazioni in qualche modo universali. Mi ha sempre affascinato la capacità degli anziani di affrontare e raccontare le varie situazioni della vita, che sia un amore, una perdita o un’amicizia. Mi affascinava l’idea che il rapporto nonna-nipote del mio libro potesse essere in grado di superare i confini strettamente privati e diventare un racconto comune, che ogni lettore potesse tenere per se e indossarlo come meglio crede.
Che relazione si è instaurata fra la tua vita privata e la finzione letteraria? Tutti gli episodi che racconti si sono verificati veramente?
Molte storie del libro sono successe realmente, le ho semplicemente organizzate in un racconto, e forse proprio per questo a volte hanno un sapore così divertito, assurdo e surreale.
Quale pensi sia il vantaggio di narrare attraverso racconti brevi, invece che articolare il contenuto in un’unica storia?
Nel racconto breve bisogna fare necessariamente delle scelte: cosa ci sta e cosa no, arrivare al punto. Penso che i racconti contenuti in Emilia abbiano la capacità di raccontare una storia alludendo a ciò che nella storia non c’è scritto. È questo che mi interessava: suggerire un pensiero che possa essere completato e letto con gli occhi di tutti.