Furto al museo archeologico di Bruxelles: è sparita una piccola statua precolombiana e Tintin, da bravo giornalista, si precipita sul luogo del crimine. Questo l’incipit de L’orecchio spezzato, vicenda che porta il giovane reporter di Hergé in Sudamerica, continente dove tornerà altre due volte (Il tempio del sole e Tintin e i picaros).
Oltre all’intrigo che si ingegna a sciogliere, Tintin affronta le turbolenze di un continente dilaniato da guerre civili e conflitti fra nazioni, finanziati e promossi da compagnie petrolifere internazionali attraverso una corruzione sistematica.
Come già nel precedente Il loto blu, Hergè si ispira alla cronaca dell’epoca e le vicende che nella storia avvelenano e travolgono gli stati immaginari di San Theodoros e Nuevo Rico sono nient’altro che una versione grottesca di ciò che era realmente avvenuto pochi anni prima fra Paraguay e Bolivia.
Fra il 1932 e il 1935 i due stati, supportati rispettivamente dalle compagnie British Oilfield (UK) e Standard Oil (USA), avevano combattuto una guerra – costata circa 100.000 vittime – per il controllo della regione del Gran Chaco.
A rafforzare il collegamento tra realtà e finzione, la rappresentazione dei faccendieri che corrompono i capi di stato nel racconto, che riprende tratti fisiognomici e nomi di quelli che si muovevano sullo scacchiere reale.
Rispetto alla precedente avventura, tuttavia, Hergé aumenta la dose di comicità, così che, nonostante lo scenario sia oggettivamente non meno cupo di quello cinese, l’effetto risultante è di una maggior leggerezza. Ciononostante, ancora una volta la morte è esplicitamente presente nelle pagine e, come la follia nelle sue avventure in oriente, il trattamento comico non ne cancella l’ombra.
Proprio partendo da questa considerazione, diventa sempre più interessante riflettere sul rapporto fra lettore destinatario e tipo di contenuti dei racconti di Tintin.
La presenza della morte è sempre stata un criterio discriminante nel definire il pubblico di riferimento. Non tanto da un punto di vista strettamente narrativo, quanto da quello normativo: i racconti per bambini e ragazzi sono invariabilmente sottoposti a esami e censure che, in un circuito vizioso, non solo impongono vincoli, ma finiscono per far sì che gli autori stessi scelgano (consapevolmente o meno) l’autocensura preventiva.Così, come ci ricordano i curatori del volume Jean-Marie Embs e Philippe Mellot, la follia di Tintin (seppure apparente) aveva turbato i piccoli lettori (o i loro genitori?) del Petit Vingtième, e Charles Lesne, raggiunto dalle lettere di protesta, aveva invitato Hergé a una maggior prudenza e morbidezza di toni1.
D’altra parte è proprio da questa miscela di elementi comici e drammatici, in questa modalità del confronto con il reale, che nasce la particolare atmosfera delle avventure di Tintin e in essa troviamo uno dei tratti più caratteristici della scrittura di Hergé, che in questo episodio, nonostante un certo sfilacciamento dell’intreccio, consolida i risultati conseguiti con Il loto blu.
Abbiamo parlato di:
L’orecchio spezzato
Hergé
Traduzione di Giovanni Zucca
In allegato a La Gazzetta dello Sport, Corriere della Sera, Gennaio 2017
45+62 pagine, cartonato, colori – 7,99 €
ISBN: 977203975726270006
Collaboratore del XX Siècle, la rivista della quale il Petit Vingtième era supplemento, Charles Lesne fu l’ideatore dell’iniziativa che festeggiò la fine dell’avventura di Tintin nel paese dei soviet, mettendo in scena il ritorno di Tintin e Milou alla stazione ferroviaria di Bruxelles. Questa iniziativa è stata recentemente replicata per promuovere l’edizione a colori di Tintin nel paese dei soviet. ↩