Giorgio Giusfredi – lucchese, classe 1984 – è tante cose, tra cui cuoco, enologo e scrittore. È anche redattore della Sergio Bonelli Editore e, last but not least, sceneggiatore di fumetti.
Nel 2012 crea, con il disegnatore Nicola Rubin, il personaggio Zeno Q.B. per la rivista femminile Glamour della Condé Nast; nel 2014 fa il suo esordio come sceneggiatore di Zagor, in coppia con Maurizio Colombo, con l’albo Il Signore dell’Isola e, nel 2016, entra nel gruppo di sceneggiatori di Dampyr.
Per la SBE, insieme a Paolo Bacilieri, crea anche la striscia Susy & Merz che trova spazio all’interno dei Magazine che vengono dedicati annualmente a molti personaggi della casa editrice.
Il 2017 segna il suo esordio su Tex e proprio legandoci a questo, abbiamo contattato Giorgio per una lunga e interessante chiacchierata sul lavorare e scrivere per la SBE.
Ciao Giorgio e ben arrivato su Lo Spazio Bianco. Quando è avvenuto l’incontro tra te e il fumetto? Ricordiamo che sei nato a Lucca quindi in un certo senso hai sempre respirato aria a fumetti.
Penso che in quasi tutte le famiglie italiane i genitori e i nonni comprino “Topolino” ai bambini. Già all’asilo ne ero un lettore vorace, accompagnavo mio nonno dal barbiere e lui me ne comprava quanti ne volevo, tra le varie edizioni in edicola. Ma ancora prima, all’incirca all’età di quattro anni, i fumetti sui quali ho imparato a leggere erano gli albetti allegati ai pupazzi di He-Man e i Dominatori dell’Universo. Darei non so che cosa per avere la collezione di quegli albetti.
Ricevevo la paghetta di cinquecento lire e con dieci paghette, cinquemila lire, compravo un pupazzo con l’albetto. E, ovviamente, guardavo la serie animata. Solo poco tempo fa ho scoperto che i fumetti di He-Man erano realizzati da Alfredo Castelli in incognito ed erano disegnati da grandi autori con cui collaboro oggi come Raffaele Della Monica e Giuliano Piccininno.
Quali sono i tuoi gusti fumettistici e letterari? Con che letture ti sei formato e cosa leggi attualmente?
Facendo un esame di coscienza ho capito che la mia passione per il western deriva da tutte e due le mie nonne che amavano guardare i classici che trasmettevano il pomeriggio in TV. Proprio per questo la prima volta che vidi una copertina di un albo di Tex in edicola, durante i miei acquisti disneyani, non potei fare a meno di farlo mio. Da quel momento in poi sono diventato un super lettore bonelliano e la Bonelli ha pesantemente influenzato i miei gusti fumettosi e letterari. Nella mia adolescenza internet era così lento che preferivi di gran lunga fare una figuraccia coi conoscenti e comprare un giornaletto erotico all’alimentari di paese che aspettare una giornata per il download di un’immagine porno, quindi non esisteva neanche un network così funzionale per informazioni nerd come oggi. Ma c’era un gusto per la scoperta del mare magnum di letture possibili dal sapore esso stesso avventuroso. In più, tutte le letture consigliate dalla serie Bonelli “Almanacchi”, che oggi si chiama Magazine, mi calzavano a pennello.
Ho la fortuna di lavorare a fianco delle persone che scrivono e che scrivevano articoli per questa collana e, a volte, questi colleghi si compiacciono di certe mie letture raffinate senza capire che loro stesse mi hanno indirizzato verso quelle e formato. Amano i miei stessi gusti perché sono loro ad averli seminati e fatti germogliare in me. Comunque, per arrivare al punto, leggo di tutto e di più: dagli ottimi articoli di certe riviste femminili agli autolesionisti libri di filosofia. Mi piacciono molto la letteratura americana come i fumetti italiani, le poesie di Montale come i versi delle canzoni di Battisti e Mogol…
Ci racconti come sei entrato in Bonelli?
Ero un lettore voracissimo e quando mia madre ha visto che accumulavo un volume enorme di carta ha cercato di capire che cosa fosse questa mia passione. Si è ricordata che un nostro vicino di casa trasferitosi a Milano lavorava per la Sergio Bonelli Editore: Graziano Frediani, attuale direttore responsabile di molte testate, giornalista principale e curatore della collana Magazine (Ex-Almanacchi), dopo aver lavorato anni per la Condè Nast era stato voluto fortemente nella redazione della casa fumettistica meneghina da Sergio Bonelli.
Questa è stata la vera svolta nella mia vita: senza Graziano sarei rimasto a impuzzarmi di fritto nelle cucine. Fu lui a presentarmi Sergio Bonelli e fu lui a invitarmi a Milano. Ricordo che persino l’insostenibile e tremendo odore di ferrodo bruciato che fanno le frenate dei vecchi treni, durante mio primo viaggio verso la Bonelli profumava di magia. Per la collana Almanacchi diretta da Graziano ho scritto professionalmente per la prima volta e, sempre spronato da un entusiasmo che certo non mi è mai mancato, undici anni fa scrissi il mio primo soggetto di Zagor che consegnai a Moreno Burattini. Una zozzeria immonda di sedici pagine che lui lesse, sviscerò e mi stroncò dolcemente, concedendomi un bel po’ del suo prezioso tempo. Mi disse anche che avrei dovuto scrivere spunti più brevi. E lo feci: ne proposi cinque, quattro gli piacquero. Uno è diventato una storia di Zagor, un altro forse lo diventerà. Ma Moreno mi disse che aveva molti sceneggiatori e che non aveva il tempo per insegnarmi il mestiere. A quel punto Maurizio Colombo mi prese sotto la sua ala, mi disse: ti insegno io. Forse pensava che venendo da Lucca non gli avrei rotto troppo le scatole. Lui disse a Moreno che avremmo fatto insieme la storia di Zagor.
Ma, visto che ho letto già le domande successive, la genesi lunga ben sette anni di questa storia di Zagor la riservo a dopo… Comunque iniziai a salire da Lucca a Milano prima una volta al mese, poi ogni quindici giorni, poi una volta la settimana, poi facevo avanti e indietro mercoledì e giovedì.
Quella spola era entusiasmante. Ogni giorno dieci ore di treno e otto di redazione e imparavo tantissimo. Tramite Graziano, Maurizio e Moreno conobbi Mauro Boselli. Oggi come allora, Mauro è un lavoratore infaticabile, vulcanico e super impegnato. A suon di visite e di soggetti proposti entrai anche nel suo occhio. Anche grazie a Elisa Bozzi, segretaria di redazione di Dampyr che, a essere sincero, non ringrazio abbastanza per avermi sponsorizzato agli occhi del Bos. Per la verità Mauro accettò subito il primo soggetto di Dampyr che gli proposi, che poi è diventato “Il dio del massacro”. Ma scrissi le prime dieci pagine una ventina di volte e la ventunesima Mauro mi disse che avevo rotto troppo le scatole e mi portò sopra nella sala jukebox dove mi aspettavano un altro Mauro (Marcheselli) e Davide Bonelli per dirmi che avevano intenzione di provare ad assumermi per dare una mano al Bos, almeno per quei due giorni che comunque passavo in redazione a tentare di imparare qualcosa.
A quel punto invece di due ne rimanevo tre, anche se all’inizio non potevo ancora mollare il mio lavoro da cuoco nei weekend. Sono il primo redattore assunto da Davide Bonelli. Non credo sia motivo vanto per lui, ma sicuramente lo è per me. Sono stato assunto da Davide come tutti i miei maestri in redazione lo sono stati da Sergio. Con fiuto, passione, simpatia e affinità. Se il fiuto di chi ha deciso di assumermi sia stato giusto o meno saranno poi i lettori a dirlo.
Come è spesso prassi abituale, hai svolto un lungo lavoro redazionale in casa editrice prima di iniziare anche a sceneggiare a pubblicare storie. Ci racconti in che cosa consiste il lavoro di un redattore in casa editrice e come si svolge una tua giornata tipo?
Come detto sopra in realtà non è proprio così semplicistica la cosa. I risultati sono un coacervo di tentativi e fallimenti. È evidente che io non posso assolutamente dire di aver ancora ottenuto risultati soddisfacenti ma qualsivoglia lavoro, anche se a grossa componente creativa, si impara lavorando.
Io e Mauro arriviamo in redazione molto presto, tra i primi. Sbrighiamo le cose più urgenti e ancora prima che la macchina redazionale sia avviata saliamo a prendere un caffè con Davide. Poi svolgo il lavoro di editor leggendo, osservando, scrivendo e chiamando i numerosi collaboratori. Mauro è il comandante e io stringo con tutte le mie forze il timone. Quando il mare è in tempesta lo lascio nelle sue esperte mani, quando si veleggia tranquilli lui può riposarsi sicuro della rotta che abbiamo intrapreso. Scrivo le mie storie la sera, la notte e nei weekend.
In che modo ti è stata utile l’esperienza come redattore quando hai iniziato a sceneggiare, quanto conta potere respirare ogni giorno l’aria della casa editrice e quanto è stato importante assistere da vicino al lavoro quotidiano di uno dei decani in casa Bonelli come è Mauro Boselli?
Faccio un lavoro che mi piace. La mattina, anche quando sono stanco, salto dal letto come un grillo. E io amo dormire. Sono fortunato. I miei maestri (come dice il mago di Segrate) mi vogliono bene. Non capisco il perché, ma mi vogliono bene e mi aiutano. Avevo già il massimo rispetto per loro, per le emozioni che mi hanno regalato in anni di letture; rispetto che è aumentato conoscendoli di persona e vedendoli a lavoro. Non c’è bisogno che presenti Mauro. Lui non si rende conto dell’opera letteraria che sta costruendo. Non si rende conto di essere ogni anno lo scrittore più letto al mondo con Stephen King (Tex è letto in America Latina, Cina, India e vari paesi d’Europa). Di sicuro lo scrittore più letto in Italia. Quando glielo faccio presente, minimizza. Mi prende per il naso dicendomi che ormai sono assunto, che non c’è bisogno di sviolinate. Ma non sono sviolinate, è puro Vangelo, come direbbe Kit Carson. Quindi il mio entusiasmo deriva dal poter far parte di questo progetto e da poter carpire e imparare segreti ogni giorno per migliorare le mie capacità. Anche se non so se ho talento, di sicuro sono consapevole di aver un’ottima scuola. E fortuna. Oltre a poter imparare, essere di fronte a Mauro mi permette anche di avere un responso immediato per scremare e schiarire le idee che ho nella testa. Un indubbio vantaggio rispetto agli altri scrittori che probabilmente non merito.
Adesso che oltre che redattore sei anche sceneggiatore, come suddividi il tuo tempo in casa editrice?
Come detto prima: in redazione cucina redazionale, a casa studio, elaboro e perfeziono le mie ricette.
Il tuo esordio arriva su una storia di Zagor, sceneggiata insieme a Maurizio Colombo. Come nacque l’idea di sceneggiare insieme e che cosa ti è rimasto di quell’esperienza?
Quando Maurizio mi disse: ti insegno io, non pensava che ogni settimana e anche più giorni la settimana mi sarei presentato infestando i suoi momenti liberi. È stata una gestazione lunghissima. Alcuni giorni, i più impegnativi, avevamo tempo di parlare della nostra storia tra le fermate della metro verde di Moscova e Porta Garibaldi. Maurizio è istintivo. Se non pensassi che il talento naturale non esiste, direi che il suo è un talento naturale. Per scrivere dieci pagine a volte passavano mesi. Mesi in cui mi mostrava delle foto di vecchi caratteristi romani del cinema, come Nello Pazzafini e Nazareno Zamperla, e mi interrogava sui loro nomi perché desiderava che qualcuno ricordasse quelle importantissime professionalità. Poi con lui, Graziano, un nostro informatore segreto, e Luca Crovi che condivide con loro l’ufficio tentavamo di scoprire chi si celava dietro alcuni peccati senza peccatore di una rubrica di gossip di una rivista scandalistica mentre…
Ma sto divagando… E confesso che voglio divagare: anche se chi legge non può vedermi dico che, sia nello scrivere questa risposta che quella precedente, quella sulla mia assunzione, ho ripensato a quei momenti descritti e mi sono commosso. Per versare anche l’ultima lacrima, ricordo che la storia di Zagor di cui si parla è stata disegnata da Gallieno Ferri. C’è bisogno che aggiunga qualcosa a questo? Forse una cosa: grazie!
Passando a Dampyr, negli episodi da te sceneggiati emergono alcune tue passioni, come quella per il cinema. Quanto è difficile far trasparire i propri gusti senza farli prevalere sulla storia da narrare?
È difficile esattamente come rispondere concisamente a questa domanda. E non voglio perdere i tre lettori, tra cui mia madre, che mi sono rimasti a questo punto dell’intervista, con altri chilometrici “pipponi”… Dico che ogni elemento deve essere al servizio della storia e del personaggio, anche le digressioni. La cosa più difficile nello scrivere è non piegare la narrazione per condurla a una soluzione, a una citazione, a un dialogo che ti può sembrare divertente o a una scena d’azione che ti sembra innovativa o a una strizzata d’occhio al lettore o a un colpo di scena che vuoi inserire. Ci deve finire da sola, coerentemente con la realtà dei personaggi e la realtà insita nella finzione che stai raccontando. Sennò addio sospensione dell’incredulità. Ci sono film iperrealistici fotografati da dio che sembrano meno reali di un fumetto di Zio Paperone perché sono scritti male. Ci immedesimiamo di più in un papero disegnato che in un uomo vero, se chi ce lo racconta ce lo fa credere. Non dico che sono capace e padroneggio la tecnica da maestro, intendiamoci. Ma, come negli alcolisti anonimi, essere consapevoli è già il primo passo.
Quali sono gli autori, anche non espressamente del campo fumettistico, ai quali ti ispiri o che comunque sono dei punti di riferimento nello scrivere?
A parte gli scrittori di fumetti con cui collaboro che, per decenza e rispetto alla ripetitiva noia che sto procurando a chi legge, non ripeto, vado alla rinfusa: Moore, Gaiman, Buzzati, Miller, Pirandello, Steinbeck, McCarthy, Faulkner, Thompson, Capote, Dumas, Dickens, Salgari, Stevenson, Poe, Lovecraft, Nabokov, Roth, Montale, Pascoli, Eliot, Foscolo, Pavese… Sicuramente quando leggerò quest’intervista pubblicata dirò: ma come ho fatto a dimenticarmi di…
Per lavorare su Dampyr è senz’altro necessario un grande lavoro di documentazione non solo su storia, letteratura e folklore, ma anche sulla continuity dampyriana. Come affronti queste sfide?
Ho un’ottima memoria e, poiché mi ha sempre appassionato, ho letto e riletto Dampyr e lo conosco molto bene. Una volta che trovi lo spunto, studiare per documentarsi è divertente. Soprattutto cercare immagini. Con internet è più facile: si può girare il mondo con Google Maps e mandare foto di posti ben precisi ai disegnatori. Confesso che molte volte mi verrebbe voglia però di partire e andare io stesso sul posto a indagare per la storia, sarebbe romantico e meraviglioso. E costoso.
Veniamo a Tex. Confrontarsi con il Ranger ideato da Gianluigi Bonelli e Galep è senz’altro un punto d’arrivo per molti sceneggiatori e tu sei entrato nella cerchia (abbastanza ristretta) di autori chiamati a farlo: a breve esordirai con una tua storia breve su Color Tex. Sei stato tu a proporre la storia o, viste le promettenti prove precedenti su Dampyr, è stato lo stesso Boselli a invitarti a scriverla?
Un conto è scrivere Tex. Un conto è scrivere una storia breve di Tex. Mauro dice: una storia breve non si rifiuta a nessuno. Ovviamente scherza, ne rifiuta a bizzeffe. Ma chi dice che scrivere una storia breve è più difficile di una lunga, mente. Una storia breve la tieni in pugno, se hai un’idea.
L’epica e il ritmo di una storia lunga di Tex sono veramente difficili, da far tremar le gambe. Inoltre la cura che Mauro riserva agli scrittori di storie brevi è veramente feroce, difficile ne esca una storia sbagliata o orrenda. Al massimo insulsa. Ma, si sa, al lettore di Tex piacciono storie lunghe, epiche, i romanzoni. Comunque snobbano le storie brevi che invece sono utilissime alla redazione per capire se ci può essere qualche autore degno della testata principale della Casa editrice.
Ti andrebbe di raccontarci come hai vissuto questa “responsabilità”? Come ci si approccia, da un punto di vista di sceneggiatura, a un personaggio monumentale come Tex?
Conosco molto bene Tex. Sono praticamente quasi trent’anni che lo leggo. E che lo rileggo. Quattro che ci lavoro sopra. Vedere la cucina redazionale e le correzioni apportate aiuta. La responsabilità la sento anche e soprattutto quando mi sfuggono dei refusi nelle letture. Mi dispiace perché il lettore Bonelli merita il massimo della cura, come ha sempre avuto. Scriverlo non può impegnarmi meno che seguire tutto: dallo stato d’animo del disegnatore all’odore della carta, con le capacità di cui dispongo, ovviamente. Ma Tex è così potente che nelle mattinate più dure non sono io a correggere lui, ma è lui a correggere me.
Il titolo della tua storia sul Color Tex è “Io ucciderò Tex Willer”: una bella dichiarazione d’intenti per un esordiente, non c’è che dire! È interessante che, alla sua prima prova su un personaggio iconico, uno scrittore senta la necessità di “uccidere” tale personaggio, o l’idea che ha di esso. Puoi anticiparci qualcosa sulla storia?
C’è un giovane di nome Rick Short che, per vendicare suo padre, Bullet Ray Short, ucciso da Tex, si allea con i desperados di El Loco. La resa dei conti avverrà in un’ispanica cittadina abbandonata nel sud del Texas chiamata Redenciòn. E posso dire con certezza che Tex non morirà, nella mia storia… O forse sì?
La tua storia sarà illustrata da Marco Soldi, uno dei quattro disegnatori esordienti che saranno presenti sul Color Tex: come ti sei trovato con lui?
Beh… Marco è una star del fumetto. Il suo lavoro vale l’acquisto e ho cercato di tagliare più testo possibile per non imbrattare con le mie bischerate le sue tavole che già raccontano molto. È facile lavorare quando lo si fa con uno molto più bravo ed esperto di te, sdogana e filtra il tuo punto di vista di modo che, grazie a lui, tutti possano provare l’emozione che tu vuoi trasmettere.
Non va dimenticato il tuo apporto ormai fisso alle pagine a fumetti dedicate a Susy & Merz, presentate sui Magazine e realizzate insieme a Paolo Bacilieri. Come è nata l’idea e come si svolge la vostra collaborazione?
È stato Mauro Marcheselli, direttore della Bonelli all’epoca, a chiedermi se mi andava di fare una rubrica a fumetti e io, molto lusingato, non mi sono lasciato sfuggire l’occasione chiedendo di avere come disegnatore uno che avrebbe reso comunque meravigliose anche sceneggiature grame come avrebbero potute essere le mie, il Baggio del fumetto italiano. Io amo Roberto Baggio è Paolo ha suppergiù la sua età, anche se quando giochiamo insieme a calcetto tutte le settimane sembra sempre un giovincello.
Paolo, che è un autore completo capacissimo di sceneggiare, ha accettato di disegnare per me perché anche lui, inspiegabilmente, mi vuole bene (anni fa, in una notte lucchese gli offrii una grappa e lui se l’è ricordato). Gli feci la proposta e gli dissi che avevo in testa la storia di un maestro e un’allieva. Eravamo a pranzo in uno dei bar storici di Milano, il Virgilio, vicino al suo studio e lui abbozzò due personaggi che ancora conservo, un po’ diversi da quelli definitivi e si inventò i nomi: Susy & Merz. Ogni volta che esce una nuova puntata e io scrivo la sceneggiatura, oltre alla revisione di Graziano e di Maurizio che lavorano sui Magazine, mi lascio guidare anche dai suggerimenti e dalle correzioni di Paolo che, a onor del vero, fa sempre un lavoro grafico strepitoso con il materiale che gli do, prima che l’ultimo sguardo di Michele Masiero, il direttore, avalli il tutto. Ormai con Paolo ci vediamo a calcetto, a pranzo, in redazione e al suo studio così spesso che le idee nascono in qualunque momento. Sono molto orgoglioso di lavorare con lui e bramo una storiella più lunga e più spinta.
Su che cosa stai lavorando attualmente e cosa possiamo aspettarci nel tuo futuro prossimo?
Anzitutto, spero delle buone storie. Sto lavorando con due teste di serie, due disegnatori bravissimi: Mauro Laurenti su Zagor e Alessio Fortunato su Dampyr. Ambedue le storie si vedranno nel 2018. Poi ho un paio di assi nella manica che annuncerò solo quando li vedrò disegnati. Comunque il lavoro di Laurenti, su una storia con Zagor giovane e Wandering Fitzy, e quello di Fortunato, su un nuovo supercattivo che ho creato con il Bos, lasciatemi dire che è veramente strepitoso. La loro dedizione e il loro impegno nel creare con me queste due storie mi sta veramente gasando: i loro disegni sono bellissimi e sono sicuro che, come hanno fatto con me, entusiasmeranno anche i lettori.
A questa rispondi sottovoce… Ma davvero Mauro Boselli è così severo e spietato nel ruolo di curatore, come lo descrivono le leggende che escono dalla SBE?
Mauro non è spietato, è brusco. Io che sono abituato agli chef in cucina lo trovo un tenerone, ma capisco che a qualcuno la sua risolutezza possa sembrare qualcos’altro. In realtà, come dicevo prima, la mole di lavoro è veramente enorme e dalle uscite del 2018, settantennale di Tex, capirete il perché, e non ha tempo. Nessuno, a parte me, ha idea di quante persone, grandi artisti professionisti o dilettanti del fumetto che siano, cerchino in qualche maniera di poter collaborare con Mauro. Lui ha un metodo collaudato e non credo si possa discutere la qualità del suo lavoro. Quello che invece ci terrei a sottolineare è l’assoluta imparzialità: può bocciare una cosa che non gli piace fatta da un collaboratore di lunga data come può promuovere qualcosa proposto da un dilettante. L’importante è la bontà del prodotto finito. Per esempio, penso che mi stimi e che io sia una delle persone a cui vuole più bene, ma se per questo ti credi che, quando una mia cosa non gli piace, lui non la archivi, ti sbagli. Per essere chiari, “la ho archiviata” è il termine gentile che Mauro usa quando la sceneggiatura che ho scritto è finita nel cestino della monnezza.
Grazie per il tuo tempo, “chef” Giorgio e buona cucina!
Intervista realizzata via mail nel mese di ottobre 2017.