Parliamo di: “Corpi differenti”, perché la libertà di essere si esprime anche attraverso la libertà, la dignità, e i diritti del corpo
Con: Alessia di Giovanni, sceneggiatrice
Leggendo: Piena di niente (BeccoGiallo 2015) con i testi di Alessia di Giovanni, e i disegni di Darkam
Guardando: When I was a boy, I was a girl di Ivana Todorovic; Chi vuoi che sia di Davide Vigore e Riccardo Cannella; Eco de femmes di Carlotta Piccinini
Si conclude con “Corpi differenti” la rassegna di docu-film e graphic novel Oblò. Sguardi sulla realtà tra cinema e fumetti e con essa la rubrica Fumettisti dall’Oblò che per quattro settimane ha seguito il festival organizzato da GVC, Edizioni BeccoGiallo e Associazione Ya Basta. Dopo Zerocalcare, Marta Gerardi e Paolo Castaldi, incontriamo infine Alessia di Giovanni.
Alessia è autrice, insieme all’illustratrice Darkam (Eugenia Monti), del graphic novel Piena di niente edito da BeccoGiallo (2015), ma avevamo già avuto modo di incontrarla nel 2013 quando ci aveva presentato il fumetto Io so’ Carmela (BeccoGiallo 2013). Anche allora ci aveva raccontato con sincera passione e coinvolgimento la storia straziante di un corpo la cui libertà era stata violata, della violenza che aveva spinto la giovanissima Carmela Cirella a togliersi vita.
Di Giovanni torna a far parlare i corpi delle donne, questa volta attraverso le quattro storie di Elisa, Monica, Giulia e Loveth. Diverse per età, origine, condizione sociale, le protagoniste sono accomunate da un’esperienza, quella dell’interruzione di gravidanza, ma soprattutto dalla tragicità delle condizioni in cui lo stato, la famiglia, la sanità, la società le costringono a compiere un gesto, sofferto, di libertà.
Il tema dell’aborto, ci racconta di Giovanni, è tutt’ora un tabù in uno stato come quello italiano che si proclama laico, ma che di fatto consente a più dell’80% dei propri medici di essere obiettori di coscienza negando, di fatto, a molte donne il diritto alla Ivg all’interno delle strutture pubbliche del Paese. I tempi si dilatano, i meccanismi si inceppano, le settimane passano e si viene costantemente rimandati al punto di partenza, come nell’ironia tragica del “gioco” posto alla fine del volume: tornare al punto di partenza significa spesso essere “fuori dai giochi”, essere costrette a ricorrere al mercato nero per procurarsi un aborto, perché la burocrazia come in un tragicomico gioco dell’oca, rimanda costantemente da una casella all’altra, ma raramente a raggiungere il “traguardo”.
Colpisce la crudezza del linguaggio, scritto e visuale, con cui vengono narrate le quattro vicende. Una crudezza che è però realismo, capacità di penetrare l’intimità dei personaggi per restituirne un ritratto in carne ed ossa. Alessia di Giovanni aveva già dimostrato, raccontando il destino di Carmela, di essere in grado di fare proprie le storie, accompagnando un personale coinvolgimento emotivo ad una rigorosa ricerca documentaristica, che restituisce i fatti, insieme alle narrazioni più intime.
Darkam è stata a sua volta certamente capace, con il suo tratto, di interpretare e raffigurare sulla carta la fisicità corporea oltre che psicologica dei drammi di Elisa, Monica, Giulia e Loveth. La metafora visuale del manichino anatomico permette la visione di corpi sezionati, aperti, squarciati, e pone davanti agli occhi del lettore la dura, violenta e talvolta inumana realtà a cui queste donne, personificazione di centinaia di storie simili raccolte da Alessia, hanno dovuto sottostare.
Non è un graphic novel di facile lettura, certo, ma non voleva, non doveva esserlo. Le linee sono nervose, i dialoghi spezzati e duri, sfuggenti, i corpi e i volti spesso deformati, lacerati, e il dolore è richiamato dai colori che macchiano la pagina come chiazze di sangue, ferite sulla carta. Il racconto è “volutamente disturbante“, come ci dice Alessia, e per questo bisogna prendere il respiro, talvolta. Fermarsi a pensare. Pensare, come hanno ricordato gli ospiti della serata Carlotta Romagnoli (Cooperativa Iside), Aurora d’Agostino (Giuristi Democratici), Carlotta Piccinini e Stefania Piccinelli (GVC), ai corpi ingabbiati e oppressi a cui vengono negati ogni giorno la libertà di scelta e d’espressione, la dignità e il diritto di scegliere chi e dunque come essere.
Una domanda ad Alessia di Giovanni
Se il fumetto è l’oblò da cui guardi il mondo, cosa appare diverso al di là del vetro?
Alessia: Per me scrivere fumetti è come essere un attore. Soffro forse di una specie di sindrome di Stanislavskij per cui non solo per me la ricerca sui personaggi è fondamentale, ma ci entro completamente dentro. Non ho altre qualità se non quella dell’empatia. Riesco a sentire le cose in modo schizofrenico, esattamente come accade in Piena di niente dove non abbraccio un’unica prospettiva, ma sono contemporaneamente tutti e quattro i personaggi, anzi le persone in carne ed ossa di cui parlo. Forse, ecco, l’oblò su cui ho voluto concentrarmi è quello della violenza. Già in Io so’ Carmela si prefigurava questo aspetto della violenza legale, che segue come conseguenza spesso poco considerata quella fisica, ma che non per questo è meno devastante nelle sue conseguenze. Anche il discorso sull’Ivg nasce da lì, da Carmela. L’oblò è quindi l’oblò della pelle, della carne, e se già con Carmela mi aveva permesso di mostrare un femminicidio compiuto in un’epoca in cui era ancora poco considerato, qui si parla di uno stillicidio, lento certo, ma non meno doloroso.
Per saperne di più, seguite il blog di Alessia di Giovanni e quello di Darkam.