Il martedì e il mercoledì in USA sono i giorni dedicati all’uscita dei nuovi albi a fumetti, molti dei quali sono numeri di esordio di serie e miniserie, i first issue.
First Issue è la rubrica de Lo Spazio Bianco dedicata ai nuovi numeri uno in uscita negli States! In questo episodio #82 ci occupiamo di alcune delle novità uscite tra il 26 marzo e il 7 aprile 2021.
Marvel Comics
Tra i vari comprimari che il dio del tuono ha avuto nel corso della sua ormai quasi sessantennale carriera, Beta Ray Bill è forse quello che più è riuscito a fare breccia nei cuori dei lettori; Daniel Warren Johnson, dopo i successi di pubblico e critica di Murder Falcon e Wonder Woman: Terra Morta si cimenta, sempre da autore completo, con la creatura di Walter Simonson offrendo ai lettori un first issue sì d’azione, dall’animo fortemente introspettivo.
In una Asgard sporca e bucolica, che sembra più uscita dalle pellicole di Game of Thrones che dalle pagine del Thor di Jack Kirby, assistiamo alla difesa del regno dagli assalti di Fing Fang Foom – al servizio di Knull, come sappiamo dagli avvenimenti di King in Black – da parte delle forze rimaste in loco, capitanate proprio da Beta Ray Bill; quando la situazione sembra volgere al peggio, a fare la parte del leone giungendo in soccorso dei suoi compatrioti è proprio Thor stesso, che risolve il tutto lasciando – quasi letteralmente – il korbinita a leccarsi le ferite nel fango.
Da qui in avanti il registro si sposta, mostrando l’animo più intimista di Beta Ray che, per quanto come dicevamo sia a tutti gli effetti un fan favourite, è pur sempre il “secondo” del portatore di Mjolnir, ed è proprio così che continua a sentirsi anche a distanza di anni, come un vicario che anche nei suoi giorni migliori deve sempre e costantemente essere all’altezza di qualcuno che forse non potrà (e non dovrà?) mai raggiungere, un qualcuno che oltretutto – forse anche inconsciamente – lo sta umiliando ancora di più dopo la distruzione di Stormbringer e la conseguente perdita della capacità di riacquisire una forma umanoide.
Il campione dei Korbiniti, del quale possiamo rivivere le origini grazie a dei flashback che si alternando alla vicenda principale, diventa così il perfetto contraltare di Thor e se la sfacciataggine e il carisma di quest’ultimo gli permettono di avere qualsiasi cosa egli possa desiderare – luci della ribalta, donne, birra, amici – l’incertezza e la purezza d’animo di Beta Ray lo allontanano da ogni cosa, anche dagli affetti e dalla loro fisicità.
Esattamente come fatto con Diana in Wonder Woman: Terra Morta, Johnson racconta di persone – prima ancora che di eroi – spezzate, mentalmente stranieri a casa propria e lo fa con un tratto, oltre che con una prosa, in grado di raccontare al meglio ogni sfaccettatura della trama: vi perderete nelle battaglie campali di inizio albo tanto quanto negli occhi malinconici del protagonista, ma vi troverete sopresi dopo aver trascorso minuti interi ad analizzare ogni piega del vestito rosso di Lady Sif, ai cui l’autore dona davvero tridimensionalità non facendolo sembrare una mera texture incollata su di un corpo nudo.
Non rimane quindi che intraprendere un nuovo viaggio a bordo del Skutteblut, alla ricerca di sé stessi o di nuovo “io”, un viaggio nello spazio sconfinato ma anche nella riservatezza delle proprie sensazioni.
Un viaggio nel quale noi siamo i comprimari ed il vero leader è, per una volta, l’eterno “vice”: Beta Ray Bill.
Emanuele Emma
Cindy Moon, alias Silk, è un personaggio creato da Dan Slott e Humberto Ramos tra le pagine di The Amazing Spider-Man. Si tratta di una sorta di ret-con, dal momento che la ragazza era presente quando Peter Parker è stato morso dal ragno radioattivo che l’ha trasformato nel supereroe più famoso della Marvel Comics e, a sua volta, è entrata in contatto con l’aracnide, ricevendo i superpoteri. Vi starete chiedendo perché non ha spopolato come il suo omologo… eh, non è stata “fortunata” come lui: è stata rinchiusa per anni in un bunker, dal quale è stata liberata ormai cresciuta e pronta a sgomitare in compagnia degli altri uomini ragno, come si è visto in Ragnoverso. Dopo essere stata titolare di due serie personali ed essere apparsa in alcune storie di ampio respiro, Cindy torna alla ribalta nella miniserie Silk sceneggiata dall’esordiente Maurene Goo per le matite di Takeshi Miyazawa.
Il primo dei cinque capitoli si apre in medias res, con la protagonista chiamata a sventare un furto. Successivamente, viene mostrata una sua giornata lavorativa e, infine, si entra nel vivo, con un indizio sullo sviluppo della trama orizzontale. Mentre incipit ed explicit si rivelano efficaci per il ritmo sostenuto, per i dialoghi brillanti e, soprattutto, per il dinamismo che il disegnatore dona alle movenze della supereroina, facendola apparire agile, scattante e incontenibile per la gabbia, altrettanto non si può affermare in relazione alla porzione centrale dell’albo. Infatti, questa appare eccessivamente lineare e poco coinvolgente, pur non essendo verbosa né ridondante. Le interazioni tra i personaggi perdono la verve che caratterizza le battute scambiate nelle scene d’azione e i comprimari non lasciano il segno, perché meramente funzionali al dipanarsi della vicenda.
Il segno di Miyazawa non offre una vasta gamma di espressioni facciali, che talvolta sono solo abbozzate, tuttavia imprime ai character pose naturali e una recitazione corporea convincente. Meno riuscita è la colorazione tenue scelta da Ian Herring, perché tende ad appiattire i volumi e a sbiadire l’atmosfera del racconto.
Federico Beghin
Di seguito, le copertine delle altre novità della Marvel Comics.
DC Comics
Di seguito, le copertine delle novità DC Comics.
Image Comics
Provincia americana, anni del college: Zadie Lu ha qualche difficoltà di socializzazione, un fratello perfetto, da un anno in coma in seguito a un incidente, e un problema con le ombre, che prendono vita e la attaccano. Ovviamente è terrorizzata e ossessionata e, altrettanto ovviamente, nessuno le crede: cercando di tamponare la paura con l’autoironia, Zadie descrive il proprio percorso nella percezione altrui in tre fasi: “sorella del ragazzo perfetto”, sorella del ragazzo in coma”, “pazza”.
Questo primo albo di Shadecraft porta in scena tutti questi elementi e li arricchisce con dettagli della vita quotidiana della protagonista e il suo punto centrale è di fatto la difficoltà di condividere esperienze fuori dall’ordinario: la ragazza ci prova, col risultato di finire irrisa e isolata.
Il racconto, firmato dal team che già realizzò Skyward – Joe Henderson (testi), Lee Garbett (disegni), Antonia Fabela (colori), Simon Bowland (lettering), sempre per Image Comics – è costruito senza scene di passaggio, così da determinare un ritmo serrato: le informazioni si accumulano e restituiscono uno scenario ben definito, vivificato dall’efficacia dell’interpretazione di tutti i personaggi. L’edificio è realizzato assemblando elementi ricorrenti e familiari, ma siamo di fronte a un caso nel quale gli stereotipi sono utilizzati per una resa efficiente dell’ambientazione, nel senso che accenni sintetici danno l’opportunità di ricostruire i riferimenti necessari a contestualizzare le vicende (ad esempio la condizione di Zadie nel college e le tensioni familiari date dalla condizione del fratello). A depotenziarne l’efficacia, l’eccesso di soliloqui, soprattutto nei momenti nei quali Zadie si trova sola con le ombre. Immagini, colori e costruzione di tavola creano un atmosfera di tensione che il fiume di parole messo in bocca alla ragazza degrada: sono momenti nei quali tutto ruota intorno all’emozione e al senso di oppressione, alla sensazione di non poter fuggire e tutte quelle parole, quei pensieri ben ordinati, rompono l’accerchiamento e consentono alla lettura di svincolarsi dall’emozione e guardare con distacco quel che accade, aggiungendo anzi sfumature ironiche che depotenziano ulteriormente il pathos.
In conclusione, sebbene verosimilmente non ci siano connessioni reali, segnaliamo che per un anziano lettore disneyano sarà impossibile evitare il richiamo a Topolino e la rivolta delle ombre, gioiello di Ennio Missaglia e Giovan Battista Carpi del 1960.
Simone Rastelli
La leggenda racconta che agli inizi del ‘900 il bluesman Robert Johnson, un chitarrista originariamente privo di talento, incontra allo scoccare della mezzanotte un misterioso uomo presso un crocevia desolato. Da questo oscuro appuntamento Johnson esce con un ineguagliabile e soprannaturale genio vocale e chitarristico, ma privo dell’anima concessa al suo diabolico interlocutore. La morte prematura dell’artista, a soli 27 anni, diviene emblema delle teorie satanico-complottiste legate al cosiddetto Club 27, un nutrito gruppo di artisti di enorme valore e successo morti prematuramente a 27 anni (Kurt Cobain, Jimi Hendrix e Janis Joplin, Jim Morrison ed Amy Winehouse per citarne alcuni) con modalità oscure e violente.
Silver Coin, la nuova antologia horror a fumetti edita da Image Comics sembra attingere, nel numero d’esordio, alle tante suggestioni legate al binomio musica Rock e Diavolo. La serie, ideata da un team di star del fumetto (Chip Zdarsky, Kelly Thompson, Ed Brisson e Jeff Lemire) che, numero dopo numero si avvicenderanno alla sceneggiatura dei diversi episodi, narra, in questa prima uscita, la repentina ascesa e l’altrettanto rapido declino di una band musicale di fine anni ‘70. Le improvvise fortune del gruppo di squattrinati artisti sono qui legate all’accidentale ritrovamento di una silver coin (la moneta d’argento del titolo) utile ad amplificare capacità e talento del suo possessore. Una moneta che assume la valenza di un talismano maledetto le cui origini restano avvolte dal mistero e che, nel suo passare di mano in mano, promette di divenire il trait d’union dei diversi episodi della serie.
Chip Zdarsky, autore della prima uscita, scrive con sufficienza una storia scarica di sorprese incentrata sul frontman Ryan, musicista determinato a raggiungere il successo a qualsiasi costo, consumato e corrotto dal desiderio di fama che lo brucia internamente. La storia, che procede dritta verso un preannunciato finale, passa attraverso una scarna analisi delle dinamiche di gruppo (musicale) e di quelle familiari, filtrate attraverso lo sguardo ossessivo ed arrogante del protagonista. Tutti i personaggi, affetti da una certa banalità figlia di una scarsa inventiva, servono pedantemente la storia intrappolati in una sceneggiatura che sembra appena bastante a sciorinare il mood e le esigue tematiche portanti delle quali si compone. Michael Walsh, disegnatore unico della serie, realizza un riuscito compendio di talento artistico grazie alla precisa caratterizzazione di Ryan e dei suoi comprimari, tutti vestiti di una buona energia espressiva. Supportata da un tratto non particolarmente dinamico ma utile a garantire un cupo climax della narrativa per immagini, la storia trova nel fluire delle vignette un peculiare punto di forza capace di porgere al lettore un gancio emotivo. Silver Coin dà l’impressione di non uscire mai dal suo ambito di storia introduttiva, sviluppando il racconto in una sceneggiatura che presenta ampie zone di déjà-vu e una scarsa tensione generale. Ben poco per un racconto che ambisce ad introdurre il lettore a un nuovo progetto fumettistico a tematica horror, per il quale, forse, il progressivo disvelarsi dell’intero arco narrativo risulterà migliore delle singole parti che lo compongono.
Ferdinando Maresca
La storia del fumetto statunitense è sempre stata segnata da alcuni connubi artistici inscindibili tra sceneggiatore e disegnatore, coppie che si conoscono a menadito e che lavorando insieme riescono sempre a dare il loro meglio. Per restare a cavallo tra vecchio e nuovo millennio, potremmo citare Garth Ennis e Steve Dillon, Grant Morrison e Frank Quitely, Ed Brubaker e Sean Phillips. Oppure Geoff Johns e Gary Frank. Autori di numerose serie per DC Comics, ultima delle quali la spiazzante e discussa maxiserie Doomsday Clock, nel 2021 hanno deciso di fare un passo importante: un loro fumetto creator-owned. Una strada già intrapresa in passato da Frank (si pensi a Midnight Nation con J.M. Straczynski o a Kin), mai davvero battuta da Johns, che in questo caso ha deciso di fare all-in e di stipulare un contratto tra Image e Mad Ghost, la sua casa di produzione, per realizzare più serie a fumetti. E il primo frutto della collaborazione non poteva che venire da questa coppia rodata.
Geiger #1 si apre in un futuro post apocalittico in cui il mondo è stato spazzato via da una guerra nucleare. Nelle Wasteland del Nevada, tra razziatori e persone che tentano di sopravvivere all’olocausto nucleare, si aggira una figura sfuggente, forse un mito: Joe Glow, La Bomba che cammina, L’uomo della distruzione di massa, il Meltdown Man. Nomi sussurrati che ignorano quello vero, quello prima della bomba: Tariq Geiger.
In questo albo d’esordio, Johns e Frank non sprecano nemmeno una pagina, costruendo non solo il mondo devastato dalla bomba atomica, ma anche il background del protagonista, mostrandone la famiglia e le intenzioni. Questa mossa, che potrebbe far pensare a un depotenziamento immediato dell’aura misteriosa attorno al protagonista, in realtà non fa che creare fin da subito un legame empatico tra il lettore e Tariq: dietro l’enigma dell’uomo nucleare, dotato di poteri sovrumani causati dalla bomba (in cui si vede tutto il background supereroistico dei due creatori), si cela una persona normale, che vuole solo riabbracciare la sua famiglia. Se è vero che il primo numero è infarcito di elementi visti e rivisti (se non abusati) in questo genere di storie, come la violenza e il degrado, l’ombra di un folle a capo di una comunità di sopravvissuti (in questo caso un re a Las Vegas), e se è vero che l’impostazione sia fortemente mutuata dal fumetto supereroico, la voglia di far ruotare le prime pagine attorno ad un fulcro emotivo è lodevole. L’emozione è trasmessa prima di tutto dalle inquadrature di Gary Frank, quei primi piani sui volti che mostrano un accenno di lacrima o un urlo strozzato prima che tutto finisca. Il disegnatore, vero mattatore di questo primo numero, sceglie in maniera quantomai ottimale ogni prospettiva, ogni vignetta per cadenzare la storia con un ritmo regolare e ponderato, che si prende i suoi spazi per esaltare sia i momenti più intensi che quelli dove l’azione la fa da padrone, fino alla rivelazione dei poteri del protagonista. Le linee fini, i tratteggi intensi, il realismo duro e crudo realizzato con un tratto energico e preciso danno vita a un mondo post apocalittico di cui si percepisce l’aridità e la brutalità, la sporcizia e il calore eccessivi. Un risultato raggiunto anche grazie ai colori di Brad Anderson, ora plumbei, ora incandescenti, ma sempre con una sfumatura di “carbonizzato”, quasi un residuo costante dell’esplosione della bomba.
Nonostante alcuni clichè del genere, l’affiatamento dei due autori e la grande capacità narrativa di Frank, oltre ad alcune scelte di Johns rendono Geiger un buon esordio, lasciando con la voglia di esplorare un po’ di più il mondo da loro creato e di camminarci dentro assieme al protagonista.
Emilio Cirri
Di seguito, le copertine delle novità della Image Comics.
Altri editori
Lo stile di James Stokoe è difficile da definire: in pochi come lui riescono a mischiare influenze europee (la fantascienza di Metal Hurlant e la sua controparte statunitense, Heavy Metal, in particolare Simon Bisley), nordamericani (tra gli altri, Geoff Darrow e il connazionale Steve Skroce) e asiatiche (su tutti, Katsuhiro Otomo) riuscendo a creare uno stile del tutto personale. Tavole iperdettagliate e fortemente dinamiche ma mai confuse, tutte improntate all’azione e alla teatralità. Non fa eccezione il suo Orphan and The Five Beast, miniserie in cinque numeri targata Dark Horse Comics. In questa storia ispirata dai film di Hong Kong, in particolare Five Deadly Venoms degli Shaw Brothers Studio, l’orfana Mo, alla morte del suo maestro, si mette in viaggio per sconfiggere le cinque bestie, antichi discepoli che dopo aver sconfitto un demone lupo con gli insegnamenti del maestro, si sono dileguati senza restituire le proprie conoscenze. La trama e il racconto ripercorrono i classici topoi della narrazione di genere, con un flashback introduttivo per spiegare la storia dei cinque uomini che hanno preso il potere e senza dare nessun altro background né al maestro né a Mo. Ma non è questo che importa a Stokoe, più intento a ricreare un’atmosfera da Giappone feudale fantastico, popolato da essere bizzarri e grotteschi. Ogni cosa tende all’esagerazione: dalle dimensioni del primo nemico (che ricorda alcuni sgherri di Ken il Guerriero) ai colori saturi e sgargianti, dall’abbondanza di linee cinetiche all’attenzione spasmodica per i dettagli di oggetti e volti, ricchi di tratteggi e sempre espressivi, la narrazione scorre veloce e tagliente per un fumetto che fa dell’intrattenimento la sua prima (o forse unica?) vocazione.
Emilio Cirri
Di seguito, le copertine delle altre novità.
Per questa puntata è tutto. Vi diamo appuntamento al 28 aprile 2021 con First Issue #83.
Stay tuned!
[Un ringraziamento al nostro Paolo Garrone, che cura la gallery delle cover sulla pagina Facebook de Lo Spazio Bianco per ogni puntata di First Issue.]