Quante volte, appena avvistato un posto di blocco o un controllo delle forze dell’ordine, iniziamo a decelerare con la nostra auto, il cuore inizia a battere più velocemente e i pensieri si fanno più confusi mentre corrono a cercare qualche colpa, qualche mancanza che possiamo anche aver involontariamente compiuto? È un atto umanissimo e nello stesso tempo bizzarro, che muove paure profonde e che ci porta a essere intimoriti dai “poteri forti”, dall’autorità, instillando in molti di noi un senso di diffidenza e ansia. È su questi meccanismi di percezione che si muove Il detenuto, numero 416 della serie regolare dell’indagatore dell’incubo, scritto da Mauro Uzzeo e disegnato da Arturo Lauria.
Alla richiesta di documenti da parte di una coppia di agenti di polizia durante un controllo, Dylan si accorge di avere dimenticato il portafogli che li conteneva, un imprevisto che innesca uno scontro che culmina con il duro e immotivato pestaggio a spese del protagonista che, al risveglio, si ritrova imprigionato in un misterioso carcere più simile a un girone dell’inferno.
Uzzeo, che in coppia con Giorgio Santucci aveva già realizzato La fine dell’oscurità, uno degli albi più destabilizzanti e controversi della serie, costruisce una sceneggiatura fatta di ritmi precisi, una narrazione angosciante, soffocante, a volte ermetica e metaforica. Una messa in scena quasi totalmente in presa diretta, senza mai staccare la telecamera dal lento sprofondare in un incubo folle e claustrofobico in cui è trascinato Dylan, uomo comune che cerca di non cedere ad una serie di imposizioni ingiuste che vanno a discapito della sua libertà e del libero arbitrio.
Proprio questi diventano il tema portante dell’albo insieme a tematiche non meno attuali e importanti quali l’abuso di potere e la spersonalizzazione dell’individuo verso il totale asservimento al pensiero comune, di cui Dylan diventa qui simbolo, con un atto sublimato in una scena in cui viene letteralmente scorticato vivo, privato della sua principale difesa, delle sue cicatrici di tutte quelle esperienze e sensazioni che la pelle ci aiuta a ricordare. Non nel cuore o nel cervello, la vita vera è quella di cui portiamo i segni sulla nostra pelle, scrive Uzzeo.
Un numero visionario, dalle atmosfere kafkiane, che cita la lirica di De Andrè, riprende il lavoro del fotografo Joel-Peter Witkin (vi consiglio la lettura del pezzo scritto da Lorenzo Barberis per il suo blog che approfondisce questo e altri temi, in cui potete vedere anche gli scatti originali di Witkin) e rielabora i temi di alcuni cult movie horror come Martyrs di Pascal Laugier e Hellraiser di Clive Barker, anche se ricorda soprattutto, per il modo in cui riesce a trasmettere un senso di impotenza e di sopraffazione, il bellissimo e doloroso Detenuto in attesa di Giudizio diretto da Nanni Loy, in cui un grande Alberto Sordi diventa vittima degli ingranaggi della burocrazia e delle incongruenze dello Stato.
Il detenuto è un albo che ha avuto una gestazione lunghissima, dovuta principalmente alla ricerca di uno stile, di una sperimentazione continua e un perfezionismo che per Arturo Lauria, qui al suo debutto sulla testata regolare, è questione imprescindibile.
Nonostante il disegnatore si sia dichiarato comunque ancora non pienamente soddisfatto, il risultato è un albo a tratti graficamente straordinario, un insieme di tavole di fattura davvero elevata che sfruttano la classica gabbia bonelliana fino ai suoi limiti estremi, arrivando infine a disintegrarla nell’utilizzo di singole, splash o spread page sempre attentamente studiate, spettacolari e dotate di una regia impeccabile nel rappresentare i demoni e le paure che si affastellano nella mente di Dylan.
Nel suo tratto, caratterizzato da neri profondi e bianchi abbacinanti, troviamo echi di Eduardo Risso, Frank Miller, Mike Mignola, Nicola Mari, Barry Windsor Smith, Richard Corben e la scuola inglese cresciuta su 2000 A.D. e, a tratti, addirittura l’arte xilografica, tutto rielaborato attraverso una visione unica e personale.
Se andiamo a rivedere le prime tavole, le prime prove con cui aveva iniziato questo progetto, si rimane sbalorditi dallo sviluppo, dalla ricerca, dall’evoluzione costante del tratto e dello stile: una sfida che, a oggi, segnala Lauria come uno dei più talentuosi artisti della sua generazione, nonostante la poca prolificità.
In attesa della seconda e conclusiva parte della storia, affidata a Barbara Baraldi e Angelo Stano, bisogna dare merito agli autori di questo albo di aver creato uno degli episodi più riusciti e disturbanti della storia recente della serie, che affonda le sue radici negli orrori reali, più vicini a noi, come già aveva fatto, per esempio, Alessandro Bilotta ne La macchina umana, quelle ingiustizie sociali che fanno più paura di qualsiasi mostro.
Abbiamo parlato di:
Dylan Dog #416 – Il detenuto
Mauro Uzzeo, Arturo Lauria
Sergio Bonelli Editore, maggio 2021
96 pagine, brossurato, bianco e nero – 4,40 €
ISSN: 977112158000910416
ISBN: 9771121580009