Diego Rivera – L’arte, l’amore, la furia è un fumetto realizzato da Andrea Voglino alla sceneggiatura e Luca Bertelè ai disegni – con i colori di Manuela Nerolini – che racconta la storia di un “gigante” del secolo scorso. Il messicano Diego Rivera è stato artista unico, animo inquieto, attivista politico. Celebre la sua lunga e tormentata relazione con Frida Kahlo. Questo libro, edito da Centauria Libri, rappresenta la prima biografia dell’artista in forma fumetto e ne abbiamo parlato con Voglino e Bertelè.
Bentrovati su Lo Spazio Bianco, Andrea e Luca.
Perché avete deciso di raccontare la vita di Rivera?
Risposta semplice: incredibilmente, fino a pochi mesi fa non esisteva una biografia a fumetti su questo gigante dell’arte contemporanea. Adesso ne esistono due, uscite a pochi giorni di distanza l’una dall’altra: la nostra, Diego Rivera – L’arte, l’amore, la furia, e quella in lingua inglese edita da SelfMadeHero e firmata dal duo Francesco De La Mora/José Luis Pescador. Ma mentre quest’ultima sembra più sintonica al lato intimo del pittore e al suo rapporto con Frida Kahlo, la nostra nasce come un’esplorazione parallela della vita di Diego e dei suoi legami con la cultura messicana – dall’arte, al costume, alla narrativa popolare, fino alla cucina. Un po’ biografia romanzata ma non troppo, un po’ baedeker di viaggio.
Nella ricerca bibliografica che immagino abbia anticipato la stesura della sceneggiatura, come avete proceduto nella scelta di episodi, situazioni e aspetti chiave? Qual è il profilo che volevate far emergere?
Come detto, l’idea è quella di presentare Diego al lettore come perfetto prototipo della “messicanità”: quel misto di creatività, passione, orgoglio e cinico disincanto che tutto sommato è il tratto distintivo di tutti i nativi della Terra dell’aquila e del serpente. Un carattere nazionale che è possibile cogliere solo con una frequentazione assidua del Messico e dei messicani… e con cui qualunque straniero deve imparare a rapportarsi non senza qualche difficoltà una volta planato nel Paese. Ma c’è anche la volontà di andare oltre gli stereotipi su tequila, narcos, sacrifici umani e señoritas, per riportare il Paese a quello che è stato per tutto il ’900: uno scrigno di straordinarie meraviglie archeologiche e naturali, un esempio inarrivabile di sincretismo in grado di far convivere cultura europea, araba e precolombiana, uno straordinario laboratorio sociale e politico.
Leggendo la bibliografia citata a fine libro, mi sembra che la documentazione disponibile in italiano sia piuttosto limitata. Eppure è difficile considerare Rivera un artista minore. Come mai, secondo voi, questa scarsa visibilità da noi?
Gireremmo la domanda a tutti coloro che fino all’uscita di questo libro hanno campato sul formidabile character design di Frida Kahlo, preferendola al suo adorato “rospo”, nomignolo perfetto per Rivera vista la sua opinabile avvenenza. A parte gli scherzi, un oceano di distanza può fare tanta differenza soprattutto quando la concorrenza è rappresentata da artisti rivoluzionari come quelli che hanno calcato la scena europea tra l’inizio e la fine del ventesimo secolo: Dalì, Mondrian, Man Ray e tanti altri.
Perché pensate che la figura di Rivera sia interessante anche per il pubblico italiano?
Anche se con lentezza degna di miglior causa, la cultura messicana sembra cominciare a imporsi anche da noi. Pensiamo a registi come Del Toro o Iñárritu, musicisti come Lila Downs, ricorrenze come il “Dia De Los Muertos” o ai tanti locali dove è possibile gustare tacos o distillati. Il nostro libro nasce con l’ambizione di stimolare i lettori italiani ad ampliare i propri orizzonti e partire alla conquista del Messico, un po’ come a suo tempo era capitato a me (Andrea Voglino, N.d.R.) leggendo i diari di viaggio di Pino Cacucci.
Amore, arte e politica sono profondamente interconnessi nelle esperienze di vita di Rivera. Quale filo rosso unisce, secondo voi, la sua parabola di vita?
Senz’altro l’irrequietezza. Per rendersene conto basta guardare ai suoi innumerevoli cambi di direzione da un punto di vista artistico, con il passaggio dal figurativo “classico” al cubismo, via via fino al recupero delle radici ancestrali e al muralismo. Ma anche da un punto di vista umano, ce n’è d’avanzo: quattro matrimoni e più di un funerale, il rapporto litigarello con tanti artisti coevi, la forma di schizofrenia che gli ha permesso per tutta la vita di dividersi tra agi spiccatamente borghesi e aspirazioni popolari. In questo apparente marasma, però, resta la sua incrollabile fedeltà all’arte. La propria, ma anche quella messicana. Pensiamo al suo ruolo nella rivalutazione postuma dell’arte precolombiana e tradizionale, ma anche di Maestri come José Guadalupe Posada.
Sono molti gli artisti che sono stati attraversati, nella loro esistenza spesso travagliata, da ossessioni. Rivera è certamente uno di questi. Pensate che l’ossessione sia una caratteristica necessaria (se non essenziale) per un artista?
Per tirare la cinghia a un oceano di distanza da casa o restare abbarbicato su un ponteggio dodici ore al giorno, sette giorni su sette, per vent’anni, ci vuole tigna. Sì, indubbiamente la volontà di Rivera sfiora l’ossessione. Ma non c’è niente di straordinario o inconsueto in questa tendenza ai disturbi DOC… Chi bazzica il mondo del fumetto abbastanza a lungo ne sa qualcosa.
Di fronte a personaggi come Rivera, mi è sempre più difficile rispettare quella famosa legge non scritta secondo la quale è necessario separare l’uomo dall’artista. Cosa ne pensate di questo tema, spesso dibattuto?
La nostra impressione è che Rivera sia stato vittima di una stampa superficiale e spesso viziata da robusti pregiudizi. Sul fatto che fosse sentimentalmente inaffidabile, non ci piove: ma a ben guardare, anche altri artisti suoi contemporanei avevano atteggiamenti controversi. Dalì era a un tempo farfallone e misogino. Modigliani, nonostante l’amore per Jeanne Hebuterne, si concedeva frequenti distrazioni. Picasso, be’… meglio non parlarne. Curiosamente, però, oggi l’unico a passare per una brutta persona sembra Rivera. Il che è piuttosto curioso, anche considerando il contesto totalmente bohémien in cui agiva.
Le biografie a fumetti hanno avuto un’importante diffusione nell’ultimo decennio. Credo che non sia semplice approcciare questo genere. Il fumetto porta naturalmente alla sintesi. Il rischio è di cadere nell’aneddotica enfatica o, al contrario, in un didascalismo un po’ freddo. Come avete cercato di muovervi per trovare il giusto equilibrio tra questi due estremi?
Innanzitutto ci sono gli “easter egg” cui accennavamo più su: citazioni da altri media, cameo di altri artisti o curiosità sulla storia e sul folklore messicano che fanno di questo libro una versione a fumetti di un affresco di Rivera. Al resto pensa la storia personale di Diego, tanto avventurosa che è difficile cadere nel didascalismo puro e semplice.
I disegni di Bertelè hanno un tratto pulito, arricchito dalla paletta di colori morbida e omogenea di Nerolini. Avete deciso di percorrere la strada della chiarezza e di non rappresentare visivamente la “furia” espressiva e temperamentale di Rivera. Che tipo di riflessioni avete fatto nella ricerca di questo stile narrativo?
Dato che la vita di Rivera va dalla fine dell’800 alla metà del ’900, abbiamo cercato uno stile per così dire “senza tempo”, prendendo a ispirazione il lavoro di artisti capaci di coniugare efficacia, dettaglio e una certa piacevolezza, per esempio Darwyn Cooke o i fratelli Hernandez. Dopodiché, qui contava senz’altro la versatilità del segno, la capacità di passare dal serio al faceto, un obiettivo che a conti fatti ci pare di aver centrato. Molto hanno giocato anche i colori di Manuela Nerolini, usati in accezione diegetica e citazionista: ogni colore una fase della vita di Diego, con una paletta tutta ispirata ai colori del mais e dei punti cardinali secondo i maya.
Come è avvenuto l’incontro con l’editore Centauria? Il suo impegno nella pubblicazione di biografie a fumetti si stia consolidando in modo molto chiaro. Cosa ha convinto l’editore a investire su un personaggio come Rivera che, nonostante la sua importanza storica, come dicevamo appare poco conosciuto in Italia?
Balthazar Pagani, il nostro editor, aveva già collaborato con Vanna Vinci in occasione della realizzazione del suo Frida – Operetta amorale a fumetti, quindi aveva ben chiaro quale potesse essere il potenziale della nostra graphic biography. In più, quando abbiamo cominciato a lavorare non esistevano altri romanzi grafici sul tema, quindi eravamo tutti convinti che nel suo piccolo questo volume avesse tutti i numeri per diventare un piccolo avvenimento.
Avete qualche progetto per portare in giro il vostro libro, nonostante il difficile periodo che stiamo vivendo? Presentazioni, collaborazioni con strutture museali?
I progetti ci sarebbero, ma vista la situazione abbiamo deciso di riparlarne quando il Covid 19 allenterà la sua presa. Per capire dove, come e quando non resta che attendere l’evolversi degli eventi sperando nelle fatidiche riaperture di primavera.
Grazie per il vostro tempo, Andrea e Luca!
Intervista realizzata via mail nel mese di febbraio 2022
Andrea Voglino
Nato a Milano, fin da bambino esplora i territori dell’immaginario crescendo fra matite, pennarelli, libri, fumetti e cartoon. Dopo la gavetta come copy e assistente di Enzo G. Baldoni, negli Anni ’80 scrive e traduce per varie testate per ragazzi. Nel 1998 comincia la sua ultraventennale collaborazione con la media agency milanese Graffiti Creative. Qui, contribuisce a numerosi progetti di publishing, advertising e produzione su property targate Warner Bros., Disney, Kinder-Ferrero, Rcs, Mondadori, Sky e Antoniano: in particolare, per la Casa di produzione bolognese ha all’attivo come story editor e coordinatore di produzione 8 stagioni de Lo Zecchino d’Oro – Le Canzoni Animate, serie di cartoon musicali in gran parte co-prodotti da Rai Ragazzi. È anche autore di fumetti: per Sergio Bonelli Editore ha scritto per Le Storie e Martin Mystère e ha fatto parte della “writers’ room” di Martin Mystère – Le nuove avventure a colori. Ha ricoperto la carica di direttore artistico di Alias Comics, quello che è stato l’inserto settimanale di fumetti de il manifesto, e ha creato la serie Bravado insieme con Diego Cajelli e Gianluca Maconi. (note biografiche tratte dal sito della Scuola Internazionale dei Comics di Milano)
Luca Bertelè
Nasce a Lecce nel 1974, ma dal 1992 vive e lavora a Milano, dove ha frequentato la Scuola del Fumetto e successivamente l’Accademia Disney. Ha esordito nel 1996 ed è stato co-fondatore della Casa Editrice Factory. Ha realizzato fumetti per svariati editori: Comic Art, Rizzoli, Hobby&Work, Play Press, Magic Press, Eura editoriale, Editoriale Aurea, Touring Club ed Edizioni BD, per la quale è stato anche Production Manager. Inoltre ha realizzato illustrazioni per Paravia/Bruno Mondadori, Zanichelli, Giunti, Arnoldo Mondadori, Panini, Piemme/Battello a Vapore e ha disegnato fumetti della serie Star Wars: The Clone Wars per l’inglese Titan. Ha fatto parte del progetto Bonelli Kids per Sergio Bonelli Editore, e porta avanti una collaborazione con Disney USA, lavorando su titoli quali Zootropolis, Oceania, Cars 3 e Ralph Spaccatutto 2. (note biografiche tratte dal sito della Scuola Internazionale dei Comics di Milano)