Se il mercato fumettistico italiano continua da anni a trascinarsi nella sua dichiarata crisi, quanto presunta o quanto reale risulta probabilmente arduo da definire, la ricerca diretta degli autori di uno spazio dove vedere pubblicare le proprie opere porta alla nascita di esperimenti che chiamerei di auto-editoria, ancor più che autoproduzione. Ne è un esempio il progetto Canicola, dietro al quale si “celano” giovani artisti dal tratto non convenzionale, e con molta voglia di sperimentare e di aprirsi ad un pubblico fatto di lettori e di altri autori, non solo italiani (come testimonia la presenza della traduzione in inglese, posta in calce alle vignette).
Tra i vari stili che questo primo numero mette in evidenza, emergono per capacità narrative e grafiche Giacomo Monti, Andrea Bruno e Amanda Vähämäki. Sono i tre esponenti del gruppo in cui sperimentalismo, ricerca di una dimensione personale e capacità di comunicare si amalgamano al meglio, attraverso storie non banali o scontate, ma chiare e accessibili a più livelli di lettura.
Monti utilizza un tratto essenziale, immergendo le sue piccole vignette nel bianco accecante della pagina, che diventa esso stesso elemento narrativo per meglio esprimere la desolazione e la mancanza di stimoli dei suoi personaggi. Sia la sua sceneggiatura che i suoi disegni risultano asciutti e privi di fronzoli; il paesaggio urbano che fa da sottofondo è reso nello stesso stile spoglio e vuoto, in maniera efficace. Nelle sue due storie protagonista è la solitudine, dalla quale il protagonista di turno (non ci è dato di capire se sia lo stesso in entrambe le storie, e poco conta in quanto il suo valore è per molti versi simbolico) cerca riparo e tregua con veloci appuntamenti con delle prostitute; attraverso i particolari delle storie emergono chiaramente i sentimenti dell’uomo, e molti elementi della sua possibile vita. Un sottile dolore e una delusa impotenza d’agire pervadono i racconti, aprendo le semplici trame ad interpretazioni meno immediate e più dolorosamente profonde. Sempre Monti firma l’inquietante terza di copertina.
Andrea Bruno è forse il nome più conosciuto del gruppo, avendo dato prova delle sue qualità, per esempio, grazie alle pubblicazioni del Centro Fumetto Andrea Pazienza. Il suo stile di disegno abbandona la linea; le figure e le forme nelle sue vignette nascono dal contrasto tra il bianco e il nero, contrasto lontano dal realizzare contorni netti e precisi (come, ad esempio, nelle pagine di Frank Miller), ma composto da macchie, pennellate, schizzi apparentemente irregolari. Le figure appaiono così quasi indefinite, sporche, consunte. La sua storia, “Brodo di niente“, parla di una guerra, un’allegoria interpretabile in modo più o meno aggressivo, in cui un’Italia si sta piegando alla sconfitta di fronte ad un’invasione di preti-soldato. Bruno cerca insomma un messaggio forte, su un tema ben poco utilizzato dal fumetto italiano e su cui spesso si rischia di scatenare infinite discussioni. Un messaggio certo estremizzato come si deve in una narrazione che voglia colpire, schockare e far riflettere sull’influenza della Chiesa sullo stato laico italiano. Condivisibile o meno, questo racconto si distingue per un ottimo senso della sceneggiatura, e per uno stile efficace e personale.
Amanda Vähämäki, infine, è un giovane e naturale talento, che ha ottenuto anche una citazione d’onore nel concorso Iceberg 2005. Le sue grandi vignette tratteggiate a matita sono ariose, equilibrate, comunicative; il suo segno delicato, tondeggiante e morbido, traccia forme semplici e pulite. La sua storia sembra sospesa in un nessun dove, in una porzione di terreno che sembra emergere chissà quale remoto diluvio, dove in attesa di un imminente arrivo, che si concretizza in una nave che in lontananza arriva come a premiare gli sforzi, la voglia di vivere e l’allegria della bambina protagonista.
Il resto di Canicola invece, forse composto da storie più sperimentali non tanto per tecnica o contenuti, ma proprio per un aspetto generale di “incompiutezza”, di esperimento non concluso, risulta soffrire di una difficoltà nel comunicare con il lettore. Storie più chiuse, meno accessibili e, per questo, anche meno efficaci al di là dell’esercizio di stile o della ricerca di un percorso artistico.
Giacomo Nanni, che apre l’albo oltre a illustrarne l’evocativa copertina, non riesce ad esempio a focalizzare il senso del suo racconto, dall’atmosfera angosciante resa tra l’altro molto bene, tra guerra, violenza e disillusione. Sembra assemblare vignette e parole d’impatto, ma con scarsa soluzione di continuità, con poco collegamento e senso di unità. Lo stesso autore si ripropone anche con una sorta di striscia comica, realizzata in maniera molto semplice con figure bianche su fondo nero; dopo qualche battuta interessante, le disavventure dell’ometto protagonista non colpiscono, a volte sembrano fuori registro, e lasciano soprattutto l’impressione di stonare rispetto al resto della rivista.
Edo Chieregato e Michelangelo Setola, con il suo segno sporco e tremolante, fermano un pomeriggio di vacanza velata di inquietudine, ma sembra anche qui mancare qualcosa a livello di contenuti: si coglie poco del significato d’insieme, e sembra tutto molto autoreferenziale, quasi uno scrivere per se stessi.
Davide Catania si distingue per il disegno nervoso, fatto di segni gettati sul foglio bianco; la sua storia tocca argomenti disturbanti e complessi, eppure non va oltre un piccolissimo accenno al tema, che così diventa poco incisivo. Alessandro Tota chiude Canicola con un tratto grottesco e deforme, che alterna neri netti dei personaggi ai grigi indistinti degli sfondi. Il suo racconto, oltre ad una atmosfera torbida, si risolve in uno spunto horror prevedibile, pur se svolta con buona mano.
Emerge in molti di questi lavori la componente predominante della didascalia, quasi una ricerca protesa verso l’abbandono della parola, del fumetto inteso come nuvoletta. Non è forse un caso che le storie migliori siano invece tutte parlate, meno direttamente introspettive, e anche più propriamente fumetti – non per la forma in sé, quanto per la integrazione coerente e equilibrata tra segno e parola.
Canicola si propone come un laboratorio, ed è quindi naturale trovare esercizi di stile, storie più ostiche e tendenti alla ricerca personale sul mezzo. Ma non va dimenticato che una rivista non deve necessariamente essere il laboratorio stesso, ma dovrebbe piuttosto essere l’esposizione verso l’esterno dei risultati dei propri studi, e quindi attenta a comunicare, ad aprirsi al lettore. Non tutto in Canicola sembra seguire questa idea, ed è un punto debole di un progetto interessante.
Infatti esperimenti del genere non possono che incontrare la simpatia e il gradimento del recensore. Sono tentativi di proporre, di fare fumetti fuori dalle gabbie; è importante però porsi nell’ottica di non demonizzare le gabbie da cui si fugge, non ricercare la “verità sul fumetto”, e continuare la strada intrapresa. Poco male se per troppa voglia di fare, o per troppa ricerca di “prove di coraggio”, non tutto riesce a funzionare. Anche così matura un artista, una scuola, e un ambiente a volte troppo chiuso come quello del fumetto italiano.
Riferimenti:
Il gruppo Canicola – www.canicola.net
Il gruppo Canicola, il blog – ilgruppocanicola.splinder.com
Alessandro Tota, il blog – pupazzetti.splinder.com
Davide Catania, il sito – ogre.altervista.org