Topolino #3412: Il furto quasi perfetto
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Topolino #3412: Il furto quasi perfetto

Dopo I segreti del deposito, una nuova storia a puntate sull’ennesimo tentativo di rapina dei Bassotti ai danni di Paperone. Questa volta la storia, realizzata da Silvia Ziche, vede l’ingresso di un nuovo componente della grande famiglia di ladri: Belinda Bassotta. Introdotta nella prima puntata, mostra tutto il suo talento con un piano che al primo colpo svuota la vasca del denaro di Paperone.
topolino3412-belinda_bassotta_brokerNella seconda puntata, invece, Paperone recupera il suo denaro, ma a stupire (e un po’ deludere) il lettore è proprio il modo in cui il magnate paperopolese ritorna in possesso delle sue preziose monete. Per farvi capire il motivo di questa delusione dovrei raccontarvi la trama per filo e per segno, ma mi accontento di questo: il modo in cui il denaro torna nel deposito sottrae al lettore l’emozione della sfida tra Paperone e Bassotti, presente in quei grandi classici che hanno realizzato la storia di questi personaggi, ma anche in grandi storie di genere con rapine apparentemente impossibili. E nel complesso la storia perde il confronto anche con storie umoristiche della stessa Ziche, strappando al lettore solo qualche sorriso e nulla di più.
Alla fine sembra che nella storia non sia accaduto nulla: lascia Paperone, inconsapevole, in uno stato inconsueto di idiozia e i Bassotti (poco) letali come al solito nella tradizione italiana degli ultimi anni. Unico personaggio di un certo rilievo è proprio Belinda, che sceglie per se un mestiere vicino alle sue competenze e alle sue inclinazioni di ladra: la broker alla borsa di Paperopoli.
Fondamentalmente un broker finanziario non è molto diverso da un ladro, consapevole o meno che sia, con la sola differenza che le sue azioni sono sostanzialmente legalizzate. Possiamo avere un’idea di questo fatto grazie all’equazione di Black-Scholes:

black-scholes_equation

L’equazione fece la sua prima comparsa nel 1973 grazie a Fischer Block e Myrton Scholes, che scoprirono un metodo per stabilire il prezzo delle opzioni, o derivati. L’equazione venne, quello stesso anno, ulteriormente migliorata da Robert Merton, che insieme con Scholes vinse il Nobel per l’economia nel 1995 (Block era scomparso due anni prima).
L’equazione ha, sostanzialmente, dato il via a una serie di speculazioni senza controllo che hanno portato a una serie di crisi economiche del sistema finanziario, apparentemente impreviste.
Facciamo un salto all’agosto del 2002. Siamo a Pechino, durante l’International Congress of Mathematicians. Tra le conferenze troviamo Can numbers ensure honesty? Unrealistic expectations and the US accuounting Scandal (potete consultare il pdf dell’articolo correlato, uscito l’anno dopo su Notices of Amercan Mathematical Society) di Mary Poovey. Nel suo intervento la Poovey esaminava il sempre maggiore interesse nei confronti del denaro “virtuale” (non le cripto monete), o per meglio dire dello spostamento telematico di più o meno ingenti somme di denaro. Secondo la professoressa, questo modus operandi, stava di fatto rendendo sempre più variabili i prezzi di prodotti reali. Inoltre, a proposito dei derivati, affermava:

La compravendita di futures e derivati dipende dalla convinzione che la borsa si comporti in modo statisticamente prevedibile, in altre parole, che le equazioni matematiche possano descrivere accuratamente il mercato.

Il motivo per cui, a conti fatti, la cosa non è accaduta è, semplificando la faccenda, che gli elementi che venivano presi in considerazione nell’elaborazione dell’equazione e nel suo studio si basavano su un mercato molto più semplice di quello che era diventato nella realtà. In particolare sono sorti una serie di studi che hanno applicato modelli adatti allo studio di sistemi complessi, facendo emergere un dettaglio interessante: l’istinto del branco tra i trader finanziari. In pratica la maggior parte degli operatori del settore agivano allo stesso modo dei propri concorrenti, da un lato supportati da una lettura semplicistica delle equazioni matematiche utilizzate, dall’altro dall’idea che, in caso di errore, si poteva scaricare la responsabilità affermando che questo era il modo di agire più diffuso.
E’ interessante come nel 2011 l’economista Andrew Haldane e il matematico Robert May, specializzato nello studio di sistemi ecologici, hanno provato a vedere la faccenda proprio dal punto di vista dei sistemi ecologici. Dei molti suggerimenti che propongono nel loro articolo (Systemic risk in banking ecosystems, uscito su Nature 469) quello che mi sembra più interessante è quello sulla modularità. Gli ecosistemi, infatti, sembra riescano a mantenere una buona stabilità strutturandosi in moduli più o meno autosufficienti e collegati uno all’altro in maniera semplice. In questo modo le scosse che colpiscono il sistema vengono assorbite in maniera più efficace e producono meno danni. Questo ha spinto molti enti regolatori a prendere in considerazione l’idea di frammentare le grandi banche in banche più piccole. E la cosa, in un certo senso, potrebbe avere senso, visto che una rete con molti centri più piccoli è molto più stabile di una rete con pochi grandi centri accentratori.

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