
L’impossibile iperbase spaziale
Pubblicata dalla Image Comics nel 1993, la miniserie in sei albi 1963 ideata e scritta da Alan Moore era sostanzialmente un omaggio ai fumetti fantascientifici un po’ assurdi e surreali della Marvel di Stan Lee in particolare e di un certo genere di fumetto fantascientifico affermatosi in quegli anni.
Moore, con la sua solita intelligenza, e circondato da molti dei suoi usuali collaboratori su altre serie, inserì nelle storie riferimenti scientifici stimolanti per fornire un’aura ancora più surreale alle sue storie. Ad esempio nel terzo numero, intitolato Tales of the Uncanny, nella seconda storia lo sceneggiatore, affiancato da Steve Bissette, propone il personaggio Hypernaut (l’ipernauta) che si sposta nell’universo a bordo di una iperbase dalla forma impossibile, quella di un triangolo di Penrose:
Roger Penrose è quel raro caso di matematico che è stato in grado di vincere un Premio Nobel, in questo caso per la fisica, grazie al suo lavoro teorico sui buchi neri, affiancato peraltro da Stephen Hawking, suo allievo.
Visto che sui buchi neri trovate qui sul Cappellaio già diversi contenuti (e altri vi saranno giunti in queste ore), mi è sembrato giusto celebrare Penrose, che ho avuto il piacere di ascoltare in una conferenza a Milano l’anno scorso, spendendo le classiche due parole su uno dei suoi risultati più noti, il tribar. Questa è una classica figura impossibile, la cui impossibilità diventa evidente se suddividiamo la figura in tre regioni distinte:
In ciascuna delle regioni possiamo identificare due punti (potremmo dire due estremi) e ciascuno di questi punti è associato con uno dei due “estremi” di una delle altre due regioni. Se, però, osserviamo attentamente le facce, vediamo che la faccia in cui si trova ad esempio l’estremo A12 è diversa dalla faccia in cui si trova il punto A21, generando così l’impossibilità della figura.
In effetti il discorso non si riduce solo a questo confronto di facce, ma è anche legato ad altre branche della matematica. La cosa forse più interessante è, però, come questi “giochi” matematici e geometrici hanno poi avuto una ricaduta nel lavoro di Penrose sulla descrizione del nostro universo.