Una vignetta al giorno per conoscere Giulia Sagramola

Una vignetta al giorno per conoscere Giulia Sagramola

Raccontare un po' di sé con un diario on-line su Patreon: è l'ultima sfida di Giulia Sagramola. Una sfida che ci permette di conoscerla un po' di più.

Giulia Sagramola è un’illustratrice e fumettista italiana, che al momento vive fra Bologna e Barcellona e adora i cani. Fra i suoi tanti progetti – ad esempio graphic novel come “Incendi estivi” di cui abbiamo parlato qui – ora anche quello di raccontare la sua vita con un diario on-line usando Patreon, la nuova piattaforma che permette agli artisti di cercare un sostegno diretto dai fan.
Volete saperne di più? Ha un bellissimo sito: www.giuliasagramola.it!

Prima Milk and mint, poi Bacio a cinque, ora di nuovo un progetto personale: l’autobiografia ti riesce bene. Che differenza c’è fra un blog online e un diario online?
Tra il blog di Milk and Mint e i fumetti che faccio ora sono passati più di 10 anni, inevitabilmente ci sono tante differenze. Ora ho interessi diversi rispetto a cosa voglio raccontare e ricordare con un diario. Mentre studiavo grafica avevo iniziato Milk and Mint come un pretesto per fare fumetti con più costanza, al tempo l’autobiografismo era nato come un modo semplice per non preoccuparmi di dover pensare alla storia, per essere più libera di “saltare” subito nel disegno e la composizione della pagina. Insomma, non ci avevo pensato molto, era una cosa funzionale. Da lì anche lo stile immediato con cui ho iniziato a farmi conoscere. Per questo Milk and Mint racconta più di cose che mi sono successe o che ho fatto: rileggendolo adesso lo trovo molto limitante, ma per la me di un tempo andava bene così.
Ora probabilmente mi interessa annotare aneddoti, riflessioni, cose che ho notato o che ho provato, fare chiarezza con quello che vivo. Il diario a differenza del blog è nato come un esercizio personale, una sorta di autoterapia. Inizialmente non avevo pensato di renderlo pubblico, anche perché è sempre stato un modo per analizzare le mie fragilità e spiattellarle pubblicamente mi metteva in ansia. Poi proprio per questo ho deciso di metterlo online: leggendo spesso fumetti autobiografici ho notato quanto fossi più interessata a chi racconta di sé senza paura di esporre le proprie emozioni più nascoste, mettersi a nudo anche con il rischio di sentirsi ridicolo. Si crea una connessione quando non si nascondono questi aspetti, mostrare le nostre vulnerabilità ci rende più umani. Dopo Bacio a cinque ho avuto il desiderio di scostarmi dall’autobiografismo perché volevo crescere sia come autrice che come disegnatrice, e sentivo i limiti che il genere imponeva. Questo non significa che avessi smesso di disegnare la mia vita a fumetti, semplicemente non lo facevo più con regolarità e non la rendevo più pubblica. Raccontare in forma autobiografica mi piace per vari motivi, come mi piace lavorare su altri generi narrativi. Riassumendo, sento che mi aiuta a capire meglio qualcosa di me, anche quando leggo quella disegnata/scritta da altri, crea un legame molto forte e intimo.

Un diario online quindi: succedono così tante cose degne di essere raccontate? In base a cosa le scegli? Maggior spazio alle emozioni, alla cronaca, o altro?
Non succedono così tante cose degne di essere raccontate, oppure tutte le cose sono degne di essere raccontate. Ho tenuto un diario a fumetti a intermittenza negli ultimi 2-3 anni, solo nei momenti in cui dovevo sfogarmi o volevo annotare una giornata. Ad aprile di quest’anno invece mi ero proposta come sfida personale di raccontare qualcosa tutti i giorni e ho trovato che c’era sempre un qualche cosa che aveva attratto la mia attenzione: una cosa vista per strada, o che ho letto, una conversazione fatta con qualcuno, cose piccole e assurde che capitano ogni tanto, ricordi, paranoie e fissazioni. C’è un po’ di tutto. Negli ultimi mesi invece ho interrotto la scrittura regolare perché le esigenze personali sono di nuovo cambiate. È un processo in divenire e sto cercando di usarlo come uno Zibaldone.

Scrivi in inglese. Per avere maggior pubblico? Com’è la risposta sul mercato internazionale? 
Non ho iniziato a scrivere in inglese pensando a un pubblico. Da circa 2 anni l’inglese è la lingua che parlo di più durante il giorno e mi si è attaccato nello scrivere. In un momento di estrema difficoltà a mettere a fuoco le mie emozioni, ho iniziato a scriverle in inglese. Non essendo la mia prima lingua, mi ha permesso di scrivere le cose in un modo più semplice e allo stesso tempo ha creato un distacco tra me e quello che provavo. Mi ha aiutato a fare chiarezza e ad abbreviare le mie frasi, che in italiano sarebbero state lunghe il triplo. Il mio Patreon è ancora all’inizio e credo che per ora 1/3 dei miei lettori sia italiano, ma nel corso degli anni ho ricevuto spesso messaggi da persone fuori dall’Italia che vorrebbero leggere le mie storie, ma che non capiscono l’italiano, per questo quando posso cerco sempre di tradurre le cose che faccio in inglese, dai tempi di Teiera. Se avessi scritto il diario in italiano lo avrei tradotto anche in inglese, ma sarebbe stato un lavoro troppo lungo e poco adatto all’immediatezza di postare online così di frequente.

La scelta del bianco e nero invece da cosa dipende? 
Sempre dal discorso iniziale: sono cose fatte non per essere belle o decorative, ma per mettere velocemente i miei pensieri su carta. I testi e i disegni sono fatti con un pennarello senza bozzetti a matita e senza pensare allo spazio. Parto in alto a sinistra e vado avanti fino a finire la pagina. L’unica cosa che faccio ora che ho deciso di mostrarli è di aggiustare alcune parole scritte in modo poco comprensibile e cercare di correggere gli errori di grammatica.

I diari per antonomasia sono sempre stati “segreti”. Lontani dagli occhi, in primis, di mamma e papà. Anche se non sei più un’adolescente, cosa provi nel mostrare a tutti la tua anima?
Provo un senso di liberazione: le cose che scrivo/disegno sono spesso fatte in momenti in cui quelle emozioni sono centrali nella mia giornata e non riesco a viverle sempre al meglio. Mostrandole a qualcun altro online, anche dopo alcuni mesi da quando le ho scritte, mi aiuta a metterle a distanza, a volte anche a ridimensionare i problemi. Allo stesso tempo mi ricorda che non sto davvero mettendo in mostra tutta me stessa su questi diari, sono solo una parte di me e di quello che sono, ma su carta non sono neanche più esattamente io alla fine, è una narrazione sommaria di come percepisco la realtà che mi circonda in quel preciso momento.

Ti sei ispirata a qualcosa/qualcuno quando hai deciso per la forma del diario?
Il diario è nato come un esercizio personale e penso che abbia influito molto fare l’esercizio di scrittura giornaliero suggerito da Linda Barry. L’ho fatto per un po’ di volte per iscritto nel 2016 e mi ha aiutato a capire quante cose giornalmente attiravano i miei interessi e quanto penso sia utile come scrittrice imparare a prenderne nota e ricordarle. Poi negli ultimi tempi il desiderio di disegnarle anziché scriverle è diventato più forte. Leggo autobiografie a fumetti molto probabilmente da una quindicina d’anni, tutte le cose che ho letto mi hanno influenzata, ma non penso di essermi ispirata a qualcuno in particolare aldilà dell’esercizio già citato. Leggendo Lucy Knisley o Gabrielle Bell noto che ho molte cose in comune con il loro modo di raccontare, amo anche l’autobiografia di Powerpaola, Roz Chast, Noah Van Sciver, Raina Telgemeier, Alessandro Tota e tanti altri. Allo stesso tempo ogni modo di fare autobiografia è diverso, proprio perché è qualcosa di molto legato a chi sei tu e al momento in cui stai scrivendo e disegnando.

Graficamente in che cosa ti mette maggiormente alla prova questo diario?
Penso che la prova sia di essere capace di disegnare qualcosa di sensato e interessante da guardare senza il supporto di matita preparatoria o layout. Ma è un po’ fuori tema come domanda perché l’interesse grafico in questo processo per me è secondario. Uso il modo più veloce e spontaneo che ho di disegnare, perché cerco di mettere alla prova la mia capacità di memoria, di analisi delle cose che provo e che vivo ogni giorno, la mia capacità narrativa e di annotazione del vissuto quotidiano.

Il taccuino – per molti e per la sottoscritta – è irrinunciabile. La carta… però tu sei diventata famosa grazie al web: dammi un punto a sfavore per entrambi
Il web potenzialmente ti permette di arrivare a tantissime persone rispetto ai libri stampati. Allo stesso tempo però i libri permettono di raccontare le storie con un formato molto comodo da controllare a livello di ritmo e organizzazione dello spazio, la fruizione è diversa rispetto allo scroll del web. Oltre al fatto che quando stiamo davanti a un libro solitamente prestiamo tutta la nostra attenzione a quello che stiamo leggendo (o almeno cerchiamo di farlo), mentre se stiamo leggendo qualcosa sul web è possibile che se è una storia molto lunga veniamo distratti da altro. Personalmente preferisco la narrazione in formato di libro per storie lunghe e limitare al web narrazioni più brevi ed evanescenti, cose che non devono restare fisse.


Parti mai diretta con la penna, con l’inchiostro, bypassando la matita? “Mi piace vedere l’autenticità del diario, quindi non mi preoccupano gli errori” hai commentato in un post su Instragam chiedendo consigli. Era l’inizio: lo pensi sempre? 
Si, tutto il diario è fatto direttamente a pennarello, senza matita, senza bozze. Faccio una pagina in 30 minuti. Cerco di darmi un timing per evitare che diventi la cosa che occupa la maggior parte della mia giornata, il fine qui non è quello di disegnare da Dio, ma di raccontare. Per me gli errori non sono un problema se non interferiscono con la comprensione e leggibilità delle pagine, correggo l’inglese (anche se è possibile che sfugga qualcosa) e correggo segni che confondono il messaggio della vignetta, ma cerco di lasciare il tutto più autentico e brutto possibile.

Incendi estivi è stata una parentesi non solo più costruita, forse, ma anche più “seria”, dove usciva meno il tuo lato ironico. Ti senti più a tuo agio nel graphic novel o negli sketch singoli come quelli del diario?
Fare Incendi Estivi è stato per contingenze creative e personali un momento in cui ho lavorato in modo davvero fluido e quel momento mi manca molto. Sono stati 9 mesi di lavorazione in cui raramente mi ha pesato passare tante ore della giornata al tavolo da disegno e non avere la maggior parte dei fine settimana liberi. Quindi in un certo senso, mi sentivo estremamente a mio agio: nonostante le difficoltà “creative” del fare un libro, ogni mattina mi alzavo sapendo esattamente cosa dovevo fare quel giorno. Non è una cosa che mi capita così spesso da freelance e ne ho apprezzato la ripetitività! Ma in generale mi sento sempre a mio agio quando faccio fumetti, anche se sto soffrendo e sputando sangue su una pagina che non mi viene. Quando faccio fumetti c’è quel senso di comodità che puoi avere quando ti senti a casa, che siano una pagina scarabocchiata per me o un libro intero, più tempo passo a farli, più mi sento a mio agio.

Quanto è difficile secondo te trasmettere una sensazione? Faccio un esempio: tu commenti con “Que pesado” il giovane verduraio che a me leggendo sembra solo gentile…
Il tuo commento mi conferma che è molto difficile! Come vedi qui torna il limite del diario (ossia qualcosa di non pensato per un occhio esterno): io penso di stare raccontando una cosa nel modo più chiaro per me che l’ho vissuta, ma se lo legge qualcun altro e non vive davvero il mio quotidiano è possibile che fraintenda delle cose. L’esempio che mi porti è perfetto: quel tipo lo vedo tutte le settimane e fa sempre il gatto morto con me e con le mie amiche che comprano le verdure, è gentile ma in un modo che solo i fruttivendoli avvenenti sanno avere con le loro clienti e nel mio quotidiano risulta pesante. Non devo giustificarmi per quello che pesa a me, però tu da lettore puoi non capirlo e pensare che io sia una stronza che non apprezza la gentilezza del fruttivendolo. Anche questo è un modo per scrollarmi di dosso l’idea che io mi stia davvero mettendo a nudo completamente, perché anche quando lo faccio, a seconda di chi legge le cose che racconto verranno prese in un modo diverso ed eventualmente anche fraintese. Mentre per esempio nello scrivere un libro come Incendi Estivi ho lavorato moltissimo perché i miei personaggi, con i loro dialoghi e azioni, esprimessero le cose nel modo che io volevo fossero percepite dal lettore, penso che l’effetto lì sia più riuscito, ma comunque c’è sempre chi non lo capirà nel modo in cui tu vuoi farlo passare (specialmente se la storia si basa più sul peso delle azioni e dei non detti, che su degli spiegoni o dialoghi interiori). C’è da metterlo conto, si impara a fare meglio con ogni storia che si fa.

Accenni su Patreon: funziona? Che feedback hai? E quanto sono utili oggigiorno le forme di auto-pubblicazione, self-promotion, e così via? 
Patreon è una piattaforma di cui trovo il potenziale molto interessante: con un paio di dollari si può sostenere un artista e seguire il suo lavoro da vicino, o avere accesso a contenuti inediti. Mi piace perché crea un legame tra creatore e lettore, il rischio di fare cose per assecondare i desideri del pubblico c’è come in ogni social media, ma il potenziale di creare una connessione diretta lo trovo molto stimolante. L’autopromozione per un artista, in qualsivoglia campo, è centrale. Può essere fatta in tanti modi, personalmente trovo che approcciare alla cosa sviluppando progetti personali sia la cosa più interessante e stimolante per entrambi.

E nel cassetto, ancora, cosa c’è?
Tante storie, idee per racconti brevi, romanzi a fumetti, libri illustrati, progetti lunghi e complessi, strisce comiche. Il tempo non basta per tutto e il lavoro di freelance purtroppo ha ancora la priorità sui progetti autoriali, ma sto lavorando per sovvertire la cosa.

Intervista rilasciata via e-mail a novembre 2017

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