Tra verità e narrazione: Mercurio Loi #3

Tra verità e narrazione: Mercurio Loi #3

Al fianco di un burattinaio di Roma, Mercurio Loi mette in discussione se stesso e le proprie capacità in un numero dal sapore filosofico.

Un elemento che si raccoglie in modo chiaro e immediato durante la lettura de Il piccolo palcoscenico è il gusto raffinato con cui Alessandro Bilotta gioca con la narrazione, costituendo la chiave di lettura di questo albo che fa del contrasto tra racconto e realtà uno dei suoi punti focali. In fondo, il titolo stesso del terzo numero della nuova serie nata in casa Bonelli non fa altro che riconfermare le impressioni che abbiamo espresso nelle recensioni del primo e del secondo numero, quando parlavamo della teatralità della messa in scena.

In quest’occasione lo sceneggiatore riconferma la natura atipica della testata, e invece di far partire la vicenda da un caso su cui indagare preferisce mettere sulla strada del protagonista due situazioni parallele, apparentemente non intrecciate, partendo da uno spunto ben poco avventuroso come la ricerca di un nuovo domestico.

Contemporaneamente, l’interesse per la vita di Mercurio Loi da parte del burattinaio Augustino, che decide di realizzare un personaggio del suo teatrino con le fattezze del professore, non fa altro che mischiare le carte in tavola, confondendo volutamente il lettore su cosa sta accadendo realmente e cosa nella finzione delle marionette. Alcune sequenze vengono infatti raccontate tramite l’ausilio dei pupazzi mossi dal puparo, mettendo sempre il dubbio se quanto mostrato sia avvenuto effettivamente a Mercurio oppure se si tratti solo di finzione.

Il confine tra realtà e messinscena si fa labile anche nei furti che avvengono da metà numero in poi, furti legati in qualche modo all’essenza delle caratteristiche di Mercurio e in apparenza realmente influenti sulle sue abilità di logica, fiducia in sé e attenzione ai dettagli.

Tutto questo parrebbe essere un espediente poco conforme allo stile osservato finora nella serie, ma Bilotta è abile nel mantenere un’aura di ambiguità efficace e spiazzante retta da un sofisticato gioco di specchi e delle parti sicuramente.

D’altro canto, è comunque la rappresentazione in forma teatrale/narrativa messa in piedi da Augustino a contribuire a una maturazione di Mercurio, che potendosi vedere dall’esterno sotto forma di pupazzo ha modo di riappropriarsi di quanto lo contraddistingue. La stessa disamina sulle diverse accezioni della parola “mercurio” fornisce una prima traccia, di natura filosofica ed etimologica, per la risoluzione dell’albo e per una nuova consapevolezza della figura del protagonista.

Si osserva così che il titolare di testata appare l’oggetto della storia, più che il soggetto principale: attraverso una trama sottilmente metanarrativa, Alessandro Bilotta costruisce in modo deciso la storia attorno alla definizione caratteriale di Mercurio Loi, e l’intero corso della trama mira a circoscriverne le peculiarità. Questo approccio, probabilmente utilizzato dallo sceneggiatore per introdurre il personaggio ai suoi esordi, è a ben vedere presente in parte anche nei due albi precedenti, ma in questo caso l’intenzione appare più marcata, con un risultato dal sapore differente e meno convincente rispetto ai primi due numeri.

Risulta suggestivo anche il gioco di coincidenze che permette di incrociare insieme le vicende apparentemente slegate tra loro del ladruncolo, del suo committente e del burattinaio, che convergono sul finale in maniera imprevista e forse leggermente forzata, ma dando un significato coerente con quanto visto nelle pagine precedenti e fornendo inoltre una chiosa interessante alla ricerca del nuovo domestico con cui la storia si apriva.

Onofrio Catacchio ai disegni fornisce una prova non del tutto convincente. Il tratto dell’autore si presenta come eccessivamente statico e ingessato, specialmente per quanto riguarda le figure intere.

Il volto di Mercurio appare più semplificato di quanto visto negli scorsi mesi, e specialmente nei primi piani si nota un viso con meno dettagli, anche se l’espressività degli occhi riesce a cogliere con successo l’animo del personaggio e la sua malinconia. Non è un caso che invece le marionette che compaiono nell’episodio siano rappresentate in modo credibile, perché modelli già naturalmente più semplici.

Anche gli sfondi sembrano meno curati: in alcune vignette mancano completamente, mentre quando sono presenti risultano eccessivamente squadrati, soprattutto per quanto attiene alle forme degli edifici.

A queste osservazioni si contrappongono alcune vignette maggiormente rifinite, come le scene notturne ambientate sui tetti o alcune situazioni ricche di personaggi e affollate, dove la matita di Catacchio esalta i particolari e la composizione in generale.

I colori di Erika Bendazzoli attingono a una tavolozza meno ricercata di quella offerta dai due coloristi che l’hanno preceduta, con tinte piuttosto piatte e senza fornire particolari guizzi, se non nell’uso delle ombre, ben giostrato soprattutto per il modo con cui tagliano i personaggi, trasmettendo in questo modo la sensazione dei vicoli stretti della città in cui si muovono Mercurio, Ottone e gli altri.

L’impostazione delle tavole mantiene infine quell’apertura verticale riscontrata nei due numeri precedenti, con numerose vignette che si sviluppano molto in altezza – scelta che a questo punto potrebbe essere espressa dallo stesso Bilotta in sceneggiatura come caratteristica costante – e con una costruzione della tavola che, pur rigorosa, difficilmente si ferma alla griglia 2×3.

Abbiamo parlato di:
Mercurio Loi #3 – Il piccolo palcoscenico
Alessandro Bilotta, Onofrio Catacchio, Erika Bendazzoli
Sergio Bonelli Editore, 22 luglio 2017
96 pagine, brossurato, colori – 4,90 €
ISSN: 977253232200470003

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