Durante l’intervista lucchese lo scorso novembre, con ancora il cuore appesantito dalla scomparsa di maestri come Luigi Piccatto e Giuseppe Montanari, era stato difficile per Barbara Baraldi nascondere la grande commozione che la scomparsa di Carlo Ambrosini, avvenuta il 1° novembre, aveva generato.
Ambrosini ha sempre rappresentato il Dylan Dog più onirico, quello dei sentimenti adolescenziali, quindi puri, de Il lungo addio, ma non solo. Autore sensibile e capace tanto nel tratto quanto nella scrittura, l’artista ha saputo restare legato a Dylan al punto di darne una visione autoriale che non snaturasse il personaggio di Tiziano Sclavi, rendendolo allo stesso tempo fedele e personale. Il suo disegno e le sue sceneggiature hanno sempre saputo mescolare con cura suggestioni, angosce, sogni e incubi, una cura che ha svelato, assieme al talento, una grande sensibilità per le fragilità umane. Autore curioso, è stato capace di mettersi in discussione tanto da considerare il suo tratto un percorso, una ricerca continua. Mutuando dal calcio una massima di José Mourinho, si può dire che Ambrosini conosceva il disegno perché non conosceva solo il disegno.
Quando un maestro ci lascia, ogni suo lavoro acquisisce una valenza diversa e inevitabilmente il suo “primo ultimo” Dylan Dog – troveremo ancora la sua arte in prossime uscite – diventa l’occasione per salutare un artista che ha sempre avuto un rapporto di reciproco affetto con i lettori che lo avevano ammirato come autore completo anche con Jan Dix e soprattutto con Napoleone, che è stato il manifesto della sua poetica narrativa.
La misura del mondo, prima che con l’emozionante saluto della attuale curatrice e di Tiziano Sclavi, si presenta con una delle copertine più ispirate dei fratelli Gianluca e Raul Cestaro: un disegno che, mentre introduce alla lettura, regala un sentito tributo a Carlo Ambrosini.
Mentre Dylan contempla un tramonto onirico con accanto un Arlecchino, alle sue spalle troviamo Napoleone assieme a Nico Macchia, creature dell’autore bresciano. Tutti i personaggi contemplano un cielo occupato da mongolfiere e da un’auto d’epoca che rimanda, assieme alla ruota panoramica al suolo, proprio a Il lungo addio e a tutto ciò che quell’albo significa per i lettori di Dylan Dog.
La copertina non è solo un commosso tributo ma il suo valore emotivo è amplificato proprio dal sottinteso per cui il lungo addio è quello che da lettori, prima che da affermati colleghi, i due Cestaro rivolgono a una persona che mancherà tantissimo.
L’albo, una storia che gioca con i rimandi all’universo narrativo di Jonathan Swift e a I viaggi di Gulliver, porta Dylan alla ricerca di un orfano affetto da sindrome di Lilliput misteriosamente rapito. Lui e la sua tutrice, che sente le emozioni del ragazzino, iniziano un’estenuante ricerca sospesi tra indizi reali e un percorso onirico che avvicina molto l’Indagatore dell’incubo proprio a Napoleone, al punto che i due personaggi sembrano convogliare: Ambrosini fa muovere Dylan in un contesto molto vicino al suo investigatore in trench grazie alle dinamiche messe in scena con i personaggi che lo circondano (molto del poliziotto che accompagna il Nostro rimanda all’agente Boulet, pard napoleonico), ma è soprattutto quando l’autore gioca con il varco tra sogno e realtà, attraversato a più riprese, che questo ideale incontro di poetiche si realizza.
L’episodio si svolge su vari piani temporali distinguibili facilmente grazie alle sfumature di grigio che aiutano il lettore a orientarsi nel processo narrativo. I salti nel tempo sono così resi naturali e collocati in modo da sviluppare con chiarezza i dettagli dell’indagine. Proseguendo su questa scia, si possono cogliere dei punti di contatto tra il romanzo Jerusalem di Alan Moore e La misura del mondo. Il Bardo di Northampton affronta il ragionamento sul tempo associandolo a un blocco senza direzione in cui tutti gli eventi e i personaggi “rimangono presenti”, in una sorta di enorme e continua contemporaneità di spazio e tempo.
La sovrapposizione tra il piccolo Donald, bambino indesiderato che compie un viaggio come il neonato del Color Fest intitolato Il male infinito dello stesso Ambrosini, e il reo Cornwell crea un meccanismo simile a quello ideato da Moore: i salti temporali quasi smettono di essere tali, la vicenda di Cornwell si ripete e si perpetua in quella di Donald. Riferendosi ai modelli del tempo presentati da alcuni scienziati, il fumettista britannico chiosa parlando di “un gigantesco iper-momento in cui tutto accade. Questo significherebbe che sono le nostre menti coscienti che mettono in ordine passato, presente e futuro”1.
Il ricorso a un mondo onirico in cui passato e presente, realtà e fantasia, trovano un comune spazio narrativo rende assolutamente riconoscibile la sensibilità autoriale che ha caratterizzato la lunga carriera di Carlo Ambrosini. Di nuovo Moore ci viene in aiuto per espandere un concetto caro anche all’autore di Napoleone, che si ritrova anche in questo Dylan Dog #449: “[Il] concetto di ‘Idea-spazio’ [è] un luogo in cui possiamo dire che accadono eventi mentali. Uno spazio delle idee che, forse, è universale. Le nostre coscienze individuali hanno accesso a questo spazio universale. […] Come esseri umani […] abitiamo nel mondo fisico ma allo stesso tempo, poiché possiamo esperire soltanto la nostra percezione di quel mondo, forse sarebbe più corretto dire che abitiamo in un mondo puramente di idee e coscienza”2.
Passando poi a qualcosa di più concreto, è impossibile non osservare come tanto il titolo dell’albo quanto il suo epilogo spingano verso un classico della canzone italiana, verso Il giudice di Fabrizio De André dove si racconta delle traversie di un nano che da vittima di angherie diventa carnefice, arbitro in Terra del bene e del male, prima di trovarsi al cospetto del giudizio di Dio.
Infine, viene da dire che il disegno di questo Dylan Dog rappresenti un’autentica sfida. Scorrendo le tavole e approfondendone l’esame con una lettura più attenta, sono molte le domande che emergono e che sarebbe stato interessante indagare con il diretto interessato. Il tratto di Ambrosini degli ultimi lavori resta riconoscibile, ma allo stesso tempo è tanto diverso, straniante perfino, faticoso da comprendere sia da un lettore occasionale che da un lettore abituato alla sua declinazione.
Difficile capire se tale deriva fosse conseguenza di una scelta consapevole oppure la manifestazione di una fatica personale più strettamente legata al suo stato di salute o, ancora, se ci fosse l’idea di ricercare una dinamicità del tratto che insegue il racconto e che, come quando si ha fretta di fissare un concetto scrivendo, si fa talmente rapido da diventare imperfetto, quasi abbozzato. Resta enorme la curiosità di osservare una sintesi purtroppo negata dalla sua scomparsa.
L’imperfezione del segno, però, che sia figlia di un diverso approccio o di una fatica personale, diventa in ogni caso la testimonianza di una vita dedicata alla nona arte, che mancherà molto al mondo del fumetto.
Abbiamo parlato di:
Dylan Dog #449 – La misura del mondo
Carlo Ambrosini
Sergio Bonelli Editore, febbraio 2024
96 pagine, brossurato, bianco e nero – 4,90 €
ISSN: 977112158004740449