Ultimate Fantastic Four (UFF) è l’ultima serie regolare nata in casa Marvel per il nuovo universo Ultimate (Definitivo), appunto. In Italia viene proposta dalla Panini Comics con cadenza bimestrale, copertina ovalizzata, due storie a numero, come per le altre serie di questo universo (Ultimate Spiderman, Ultimate X-men, Ultimates).
La storia vede, per i primi numeri, l’inedita collaborazione degli sceneggiatori Mark Millar e Brian M. Bendis, gli autori di punta della Casa delle Idee, e colonne portanti del progetto Ultimate. Il primo si è occupato dei soggetti, il secondo dei dialoghi, sua specialità. Ai disegni c’é invece Adam Kubert, talentuoso figlio del grande Joe Kubert, già all’opera in altre serie “definitive”. Il team creativo rivela una scelta chiara della direzione Marvel, che ha deciso di affidarsi ad autori blasonati e collaudati per la partenza del serial, nonostante i numerosi impegni dei due scrittori. Il lancio in Usa è stato coronato da gran successo, e non è difficile capirne il motivo: sceneggiature dal ritmo cinematografico, disegni e colori spettacolari, una rilettura inedita della più vecchia famiglia di supereroi dell’universo dell’Uomo Ragno. Era da tempo che i fan aspettavano la versione “definitiva” degli F4. Per il lancio di questa testata si era parlato di Grant Morrison, prima che firmasse il suo nuovo contratto in esclusiva per la Distinta Concorrenza. Il punto di vista dell’autore scozzese, dopo le sue discusse storie sugli X-men classici, non mi sarebbe dispiaciuto. Ma devo ammettere che in queste prime 48 pagine, Millar e Bendis hanno fatto un buon lavoro.
L’impostazione si avvicina molto a quella di Ultimate Spiderman (USM): conservare i concetti di fondo della serie classica di Lee e Kirby, ma ricostruire quasi da zero le vicende, giocandovi con numerose variazioni sul tema. Se i personaggi portanti sono riconoscibili e fedeli all’originale, altri aspetti vengono modificati in modo decisivo. Due esempi: Reed viene inserito giovanissimo all’interno di una società governativa costituita da giovani ragazzi con doti intellettive fuori dal comune, per sviluppare la ricerca scientifica americana. A capo del progetto c’é il padre di Susan e Johnny Storm; L’Uomo Talpa, alias Dr. Arthur Molekevic, è il direttore scientifico del progetto, almeno fino a metà del secondo numero.
Questi ed altri particolari della storia ci mostrano uno degli intenti degli scrittori a capo della serie: lavorare sui protagonisti, i comprimari e i nemici storici legandoli insieme in un meccanismo narrativo più stretto, coerente e condizionante. Come per i nemici di USM, ad esempio, in cui Goblin nasce dallo stesso esperimento da cui nasce l’Uomo Ragno che è lo stesso a cui ha lavorato il Dr. Octopus, così in UFF l’Uomo Talpa è parte del progetto in cui nasce scientificamente Reed Richards (alias Mister Fantastic) e del quale fa parte il giovane Dottor Destino (in questa serie inspiegabilmente chiamato Victor Van Damm invece di Victor Von Doom). Il principio creativo alla base di queste scelte è facilmente spiegabile: gli autori hanno un vero e proprio tesoro di più di 50 anni di storie sui personaggi ai quali possono attingere in qualunque modo. Per attualizzare quelle storie e i principi di fondo della serie, la prima necessità è certamente quella di eliminare le ingenuità narrative di un tempo, a partire dalla solidità psicologica alla base delle motivazioni dei personaggi. Come a dire che le vecchie motivazioni non sono più sufficienti oggi per creare dei supernemici, né per giustificare certi comportamenti. L’approfondimento psicologico e i legami tra i personaggi diventano essenziali e strutturali. Bendis, in USM riesce proprio in questo, oltre che nella costruzione di trame divertenti e perfettamente equilibrate tra introspezione e avventura. Da questo punto di vista, nei primi numeri di UFF, i risultati sembrano essere altrettanto buoni.
Un altro aspetto convincente della serie sembra essere il linguaggio narrativo utilizzato. Grazie anche agli spettacolari disegni di Adam Kubert, la storia si muove con un ritmo molto cinematografico, gli eventi si sviluppano con lentezza, dando al lettore il tempo di entrare nella serie. Anche l’idea di partire dalla giovinezza di Reed Richards, vero protagonista di questo numero, mostrandoci le sue difficoltà con i compagni e in famiglia, si rivela efficace, pur ricalcando eccessivamente il modello di Peter Parker: ragazzino incompreso, secchione e bistrattato da tutti che saprà prendersi una grossa rivincita nel futuro. Ma Reed non è Peter, non si scoraggia e soprattutto non sembra distogliersi dai suoi sogni, dalle sue ricerche ai limiti del possibile. La sua mente è troppo immersa in quelle visioni scientifiche per accorgersi del suo isolamento.
I disegni di Kubert, come detto, sono spettacolari e funzionali alla storia, anche se mostrano qua e là qualche cedimento, soprattutto nelle espressioni dei protagonisti e in qualche inquadratura non perfettamente riuscita. Gli sfondi non sono sempre curatissimi, e si alternano tavole piene di particolari a tavole troppo vuote. Mi chiedo se abbia avuto il tempo necessario al completamento della storia o se sia stato costretto a tirar via il disegno in alcune parti.
L’attenzione al contesto, reale ed esistenziale, che accompagna le vicende è un altro elemento decisamente efficace nella serie. I particolari sulle difficoltà familiari, gli sguardi tra Reed e Susan al loro primo incontro, la difesa di Reed da parte di Ben, suo unico amico, la sfida scientifica e intellettuale per certi versi capovolta rispetto all’originale tra Reed e Victor, l’allontanamento del brutto e fastidioso Uomo Talpa, sono tutti elementi che danno alla storia una struttura efficace, interessante e nuova.
Nuova per i Fantastici Quattro, ma non certo inaspettata. L’impostazione iniziale ricalca infatti il modello delle serie gemelle dell’universo Ultimate, dando sì coerenza al progetto, ma mostrando anche qualche ripetizione di troppo. La grossa domanda sulla serie è se riuscirà a mantenere alto l’interesse del lettore con la costruzione di nuove trame e di punti di vista inediti a partire dalle vecchie storie, come è riuscito a fare Bendis con USM; o se si esaurirà in una sterile rilettura, modernizzata e definitiva quanto si vuole, di cliché ormai noti e stranoti, come è accaduto per gli Ultimate X-men di Millar. Ma a rispondere non saranno né Bendis né Millar, bensì Warren Ellis, lo scrittore britannico che ha preso in mano la serie a partire dal numero sette. Ellis, autore tra le altre cose degli splendidi Doom 2099, Stormwatch e Planetary, può davvero imprimere alla serie una direzione originale e sovversiva, senza stravolgerne le premesse. Staremo a vedere cosa saprà proporre.