Tra critica e editoria, sempre indipendente: press cafè con Gary Groth

Tra critica e editoria, sempre indipendente: press cafè con Gary Groth

L'incontro a Lucca Comics 2024 con una delle figure più importanti e influenti del fumetto indipendente statunitense.

Nei giorni convulsi e pienissimi di incontri di Lucca Comics and Games 2024 alcune presenze passano inosservate sotto i radar, in relazione alla loro importanza, forse perché non direttamente legate a showcase e firmacopie, forse perché sono nomi più noti agli addetti ai lavori che non al grande pubblico.

Gary Groth è una di queste figure: oltre a essere co-fondatore, insieme a Michael Catron e Kim Thompson, della Fantagraphics Books, casa editrice che diede il via alla “seconda rivoluzione del fumetto indipendente americano”, dopo quella di Underground Comix di Robert Crumb, lanciando autori come i fratelli Hernandez, Daniel Clowes, Peter Bagge e altri, è dal 1977 editor-in-chief di The Comics Journal. La rivista, precedentemente nota come The Nostalgia Journal e acquistata da Fantagraphics nel 1976, negli anni si è distinta non solo per il suo taglio critico e la qualità dei suoi scritti, in particolare per alcune interviste che hanno fatto scuola, ma anche per la sua vena polemica, le battaglie per il riconoscimento dei diritti degli artisti e per alcune controverse cause civili. E non solo questo: Gary Groth è un animatore culturale, per alcuni anni fondatore e direttore di festival, nonché fondatore degli Harvey Awards, nati anche questi dopo una lunga disputa sui diritti del Kirby Award con l’ex dipendente Dave Olbrich, fondatore successivamente degli Eisner Awards.

Di aspetto calmo, quasi dimesso e serafico, Gary Groth dimostra tutta la sua poliedricità, la sua competenza, magmatismo e sottile verve polemica in un incontro con la stampa avvenuto il 31 ottobre, moderato da Riccardo Corbò e tradotto e interpretato da Valerio Stivè.

Foto Incontro Con Gary Groth


The Comics Journal, un magazine di rottura

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Il press cafè comincia concentrandosi sulla prima creatura di Gary Groth e soci, ovvero il Comics Journal, e la sua posizione nel mercato statunitense, con le campagne e i giudizi che la imposero subito come una rivista di rottura, anche in contrapposizione al Comics Buyer’s Guide di Alan Light, con cui ci furono anche burrascose polemiche, e che la portarono varie volte a essere citata in giudizio in un tribunale.

Il Comics Journal è nato come rivista di opposizione. E non potevamo essere altro, perché nel 1976 i fumetti americani erano quasi tutti spazzatura. I fumetti sono sempre stati un medium adolescenziale. Venivano pubblicati da persone a cui non fregava nulla dei fumetti, servivano solo a fare soldi, a vendere ai bambini e agli idioti, e tutto ciò che di buono veniva fatto nei fumetti era un caso. Ci siamo opposti allo status quo artistico e abbiamo speso la maggior parte delle nostre energie per criticarlo. Era un luogo in cui potevamo sostenere il nostro punto di vista su ciò che i fumetti potevano e dovevano essere. Per questo motivo, eravamo amati da molti artisti che si sforzavano di realizzare i tipi di fumetti che volevamo vedere pubblicati. E siamo stati aborriti dagli artisti che abbiamo criticato. È per questo che siamo stati citati in giudizio. Negli anni ’80 siamo stati citati in giudizio così spesso per diffamazione e calunnia, perché l’industria del fumetto era divisa tra questi vecchi e giovani scribacchini che volevano solo produrre fumetti Marvel e DC, fumetti di supereroi e questo genere di cose, e una nuova generazione di fumettisti che volevano fare un lavoro più letterario. L’industria era davvero divisa tra queste due forze. E il Comics Journal si trovava esattamente da una parte. Abbiamo iniziato a intervistare molti grandi artisti del passato come Burne Hogarth, Jack Kirby e Gil Kane. E io ho intervistato artisti come Jules Feiffer, Ralph Steadman, David Levine. Artisti che non facevano parte della cultura del fumetto.

Proprio da questa attenzione agli artisti e ai loro diritti, da questo prendere una posizione ben precisa, The Comics Journal prende a cuore la battaglia degli artisti contro Marvel e DC per vedere riconosciuto il loro diritto d’autore.
In questo contesto, si è parlato di una delle interviste più famose della storia del fumetto statunitense, quella a Jack Kirby uscita sul numero 105 del 1986 e aperta da un duro editoriale di Gary Groth dal titolo “House of No Shame” (La casa senza vergogna, un gioco di parole con Casa delle Idee, uno dei nomignoli con cui è conosciuta Marvel), che arrivava al termine di una dura battaglia dei disegnatori contro l’editore per farsi restituire le tavole originali (sul TCJ un articolo riassume bene questo lungo contenzioso). Nell’intervista Kirby parlò pubblicamente del trattamento di Marvel nei suoi confronti con queste dure parole: “Tutto ciò che so è che i miei disegni sono di mia proprietà, ma li hanno loro e sanno che sono di mia proprietà. Lo sanno e li trattengono arbitrariamente. In altre parole, sono degli arraffoni. Si appropriano di un copyright, di un disegno o di una sceneggiatura. Sono arraffoni, questa è la loro politica. Possono essere dignitosi quanto vogliono. Possono parlare con un linguaggio elevato, anche se di solito non lo fanno… non con me [risate]. Possono comportarsi come uomini d’affari. Ma per me si comportano come teppisti.
A questo proposito, Groth racconta alcuni retroscena:

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Ho conosciuto Jack negli anni ’80, quando Marvel aveva iniziato a restituire le opere ai suoi creatori. E inviarono una liberatoria, un contratto a tutti gli artisti assegnati. Si trattava di un contratto di una pagina che concedeva a Marvel tutti i diritti sul loro lavoro. Gli artisti dovevano firmarlo prima che Marvel restituisse le opere che in realtà non erano di loro proprietà. A Kirby diedero un contratto di tre pagine e pretesero che lo firmasse prima di restituire le sue opere di cui, a quanto pare, erano rimaste solo ottantotto pagine, su più di tremila disegnate. Una vera truffa. The Comics Journal già si opponeva al trattamento degli artisti da parte di Marvel e DC, quindi decidemmo di sposare la causa di Jack Kirby. Giungemmo alla conclusione che Marvel si stava comportando in modo subdolo, che stava trattando Kirby in modo indecoroso, e in pratica lanciammo una campagna per mettere in imbarazzo e umiliare Marvel affinché restituisse tutte le opere di Kirby senza alcuna condizione. E fu allora che conobbi Jack. Abbiamo lanciato varie petizioni a suo favore, una tra i professionisti, che hanno firmato chiedendo a Marvel di restituire le opere di Kirby, un’altra tra i rivenditori in modo tale che i fan potessero firmare. Abbiamo martellato Marvel per un paio d’anni. Da lì in poi Jack e io siamo diventati amici, ci siamo trasferiti dalla costa orientale degli Stati Uniti a quella occidentale, siamo diventati vicini di casa. Andavo spesso a casa di Jack, parlavamo di quello che stavamo facendo al Comics Journal e ci assicuravamo che fosse d’accordo. E lo era, perché era incredibilmente arrabbiato per il trattamento riservatogli dalla Marvel. Dopo quel periodo in cui Marvel finì per restituire molte opere di Kirby e gli concesse lo stesso contratto di una pagina che aveva concesso a tutti gli altri artisti, fu allora che mi sedetti e feci una lunga intervista con Jack (recuperabile integralmente qui, NdR).

A seguito di questa lunga campagna, The Comics Journal divenne un giornale di riferimento per molti autori e fan, ma anche un bersaglio.

“Questo nostro lavoro cementificò l’odio di Marvel e di Stan Lee nei confronti del giornalismo sui fumetti e nei miei confronti. Negli anni ’90, uno dei redattori che lavoravano al Comics Journal disse che avremmo dovuto intervistare Stan Lee. E io risposi che sarebbe stato bello, ma che dubitavo sarebbe successo. Lasciai comunque provare il redattore, che scrisse a Stan Lee chiedendo un’intervista, una lettera molto professionale. Lui rispedì indietro la lettera e scrisse in fondo: “Non prima che l’inferno si congeli.

Dal The Comics Journal ai fumetti Fantagraphics

Il passo dalla critica all’azione è breve, con Fantagraphics che diventa a tutti gli effetti un editore di fumetti indipendenti, iniziando una vera e propria rivoluzione culturale nel fumetto, producendo opere seminali che hanno cambiato il fumetto statunitense e mondiale, da Eightball di Daniel Clowes a Love and Rockets di Gilbert e Jaime Hernandez, da Hate di Peter Bagge a Acme Novelty Library di Chris Ware, da Black Hole di Charles Burns, fino ad arrivare a successi contemporanei come La mia cosa preferita sono i mostri di Emil Ferris.

Quando iniziò a capire che stavano facendo la storia?

Abbiamo iniziato a pubblicare prima di tutto The Comics Journal quando i fumetti underground stavano morendo. Il 1976 è l’anno in cui venne pubblicata una rivista curata da Art Spiegelman e Bill Griffith chiamata Arcade. E io considero quella la fine del fumetto underground “classico”. C’è stato un periodo in cui non c’erano fumetti underground di cui parlare e i fumetti mainstream facevano schifo. L’intero futuro dei fumetti in America appariva desolante. Si parlava della fine dell’intera industria del fumetto perché i fumetti mainstream stavano fallendo economicamente. Avevo la sensazione che i fumetti che venivano prodotti, gli editori e francamente anche gli artisti e gli scrittori, stessero tradendo la promessa di ciò che i fumetti potevano essere, di ciò che la forma d’arte poteva essere. Avevo ventun anni quando ho fondato The Comics Journal ed ero molto pieno di me e gli anni ’70 sono stati un grande periodo di film indipendenti, di film americani. Era un grande periodo per la cinematografia americana. Al tempo stesso, guardavo i film europei di Bergman, Truffaut e Antonioni e mi chiedevo: “Perché i fumetti non possono essere altrettanto belli?
Nel 1982, quando mi offrii di pubblicare Love and Rockets e Gilbert e Jaime (Hernandez, NdR?) mi inviarono il primo numero di sessantaquattro pagine, pensai: “Questo è il futuro dei fumetti”. Questo è il tipo di espressione unica e individuale che i fumetti dovrebbero essere. Maturi, intelligenti, ben disegnati e che approfondiscono le relazioni personali. Questi sono i tipi di fumetti che hanno una qualità letteraria. In seguito, le porte si sono aperte e abbiamo pubblicato Peter Bagge, Daniel Clowes, Jim Woodring e Joe Sacco. In quel periodo ci fu un grande rinascimento del fumetto e fu allora che ho capito che eravamo in un periodo rivoluzionario nella storia del fumetto. Iniziò con Raw, con Weirdo, con Love and Rockets.”

Oggi Fantagraphics continua a essere sinonimo di qualità, non solo producendo ma anche presentando al pubblico statunitense e internazionale lavori tradotti in inglese di grandissimi artisti e artiste da tutto il mondo. Rispetto agli anni ’80, però, il mondo del fumetto e il suo mercato sono molto diversi: anche nel mainstream c’è molta più offerta, ci sono tante case editrici che producono fumetti, il mercato si è ancor più internazionalizzato e aperto a tante nuove produzioni, ad esempio il manga e i webtoon. A questo punto, ci si chiede che ruolo abbia il fumetto e l’editoria indipendente in questo grande mare, in territori inesplorati.

Penso che gli editori indipendenti siano più importanti che mai, perché non solo Marvel e DC pubblicano montagne di spazzatura, ma anche tutte le grandi aziende. Penguin Random House, Simon & Schuster, tutti gli editori sono saliti sul carro dei graphic novel e stanno pubblicando la loro mediocrità. E potrei approfondire l’argomento, ma mi fa abbastanza disperare vedere cosa siano diventati i graphic novel, dominati da young adult, manga e da mediocri e quasi letterari graphic novel. Quindi penso che sia più importante che mai che ci siano editori indipendenti che hanno a cuore il fumetto come forma. Il mercato americano sta cadendo dalla rupe e rischia di fallire, ed è davvero difficile pubblicare graphic novel di qualità e rimanere economicamente validi.

Essere un editor, secondo Gary Groth

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Nella sua veste di editor, oltre ad aver guidato per ormai quasi mezzo secolo una delle più importanti riviste di critica sul fumetto al mondo, come dicevamo Groth ha anche scoperto nuovi talenti e prodotto opere ormai entrate di diritto nel pantheon della storia del fumetto mondiale. Partendo da questo suo ruolo, Groth è stato invitato a parlare di quali siano le principali caratteristiche che un editor deve avere e quali i difetti peggiori.

La cosa più importante per un editore è avere gusto. Quello che abbiamo sempre fatto è stato trovare artisti che rispettiamo, di cui amiamo il lavoro e che pensiamo esemplifichino una forma di eccellenza, e poi lasciare che facciano quello che fanno, senza modificarli. Li pubblichiamo per il loro valore unico come artisti, quindi la cosa migliore che possiamo fare per loro e per i lettori è toglierci di mezzo. Sarebbe un po’ ridicolo per me o per chiunque altro modificare le mani di autori normalmente famosi, come Clowes, Crumb, gli Hernandez.
Su questo posso raccontare anche un aneddoto divertente: l’anno scorso abbiamo pubblicato la raccolta per il quarantesimo anniversario di
Love and Rockets, che raccoglieva i primi cinquanta numeri della rivista. Durante la redazione di questo enorme cofanetto di sei volumi sono stato molto in contatto con Jaime e Gilbert, parlavo con loro ogni settimana. Jaime mi ha ricordato, cosa che avevo completamente dimenticato, che avevo rifiutato una storia per Love and Rockets e che gli avevo detto che per me ricordava un po’ troppo Steve Ditko.

Sul ruolo dell’editor, si fa cenno alle recenti vicende che hanno visto protagonista Roy Thomas e il suo voler essere riconosciuto come co-creatore di alcuni personaggi Marvel, ad esempio Wolverine, per essere stato editor della storia di Hulk in cui venne ideato da Len Wein e Herb Trimpe. L’editor può essere considerato co-creatore delle storie su cui lavora, considerando a volte il ruolo di input attivi che ha, specie nel fumetto USA?

Nei fumetti statunitensi i redattori hanno sempre avuto il compito di gestire il traffico. E non credo che i redattori di Marvel e DC abbiano tradizionalmente apportato un contributo creativo significativo al lavoro. I due più grandi editor nella storia dei fumetti sono stati Harvey Kurtzman e Art Spiegelman. Kurtzman dirigeva EC Comics, War Comics e Mad. EC Comics era una vera eccezione per la sua epoca, l’unica con una visione editoriale intelligente.
Spiegelman e sua moglie, Françoise Mouly, hanno collaborato alla redazione di Raw, che ha cambiato il fumetto americano per sempre.
Credo che questi siano di gran lunga i due più grandi editor della storia del fumetto.
Ci sono stati editori dittatoriali nella storia del fumetto, come Julius Schwartz e Robert Kanigher alla DC. E Stanley (Stan Lee, NdR) ha certamente contribuito alla Marvel dal 1962 al 1966 circa, ma questo è un discorso lungo. Quindi ci sono stati editor forti, ma quanto abbiano contribuito dal punto di vista artistico, credo sia una questione aperta
.”

Il sentimento di amore nei confronti dei fumetti da lui pubblicati è tangibile, quando ripensa ai primi lavori da lui editati, e nelle sue parole il fan e l’editor si fondono in maniera indistinguibile.

Era incredibilmente eccitante ricevere un nuovo numero di Love and Rockets di Gilbert e Jaime. Il fumetto usciva circa tre volte all’anno, a volte quattro. Erano molto attivi e ogni volta che ricevevamo un nuovo numero era una rivelazione. Era fantastico, cazzo. Abbiamo trasferito i nostri uffici in California dal 1984 al 1989. I fratelli Hernandez vivevano a circa venti minuti di distanza, quindi portavano le loro opere in ufficio ed era sempre una giornata fantastica quando arrivavano e portavano il nuovo numero: mettevamo tutte le opere originali su un tavolo da disegno e le esaminavamo. Era sempre bellissimo. E la cosa si è ripetuta dopo anche con Eightball e con Palestina di Joe Sacco. Ogni volta che riceviamo una nuova storia da autori che amiamo per noi è sempre bellissimo.

Alla fine dell’incontro, resta in bocca il sapore di quell’atmosfera che sa di storia del fumetto, di un incontro prezioso che crea una piccola nicchia di riflessione e approfondimento su questo medium, mentre nelle strade un mare di persone si muovono tra stand e padiglioni.

Reportage dal Press Cafè di Lucca Comics and Games 2024 del 31 ottobre.
Si ringrazia Giovanni Campodonico per l’assistenza nella registrazione dell’incontro.

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