Supereroi sperimentali dal Web: intervista a Lorenzo Ghetti, autore di To Be Continued

Supereroi sperimentali dal Web: intervista a Lorenzo Ghetti, autore di To Be Continued

Intervista a Lorenzo Ghetti, autore del webcomic To Be Continued, uno dei più interessanti esempi in Italia delle potenzialità del fumetto digitale.

lorenzo_ghettiLorenzo Ghetti, pisano, classe 1989, frequenta l’Accademia di belle arti di Bologna ed è membro del collettivo Delebile. Il suo webcomic To Be Continued, storia di normali ragazzi che hanno superpoteri (loro malgrado) in un mondo pieno di supereroi che sono vere e proprie rockstar, è balzato all’attenzione del mondo del fumetto italiano (e non solo) per via dell’interessante modalità di fruizione da parte dei lettori, basato sulla tecnologia jQuery Scroll Path. Lo abbiamo intervistato per parlare del suo progetto e più in generale di webcomics e autoproduzioni.

Ciao Lorenzo e grazie per aver accettato la nostra intervista. Partiamo dalle basi: come è nata l’idea di To be Continued (TOBECO) e la collaborazione con Carlo Trimarchi?
L’idea narrativa di Tobeco mi è venuta arrovellandomi sulle possibilità narrative che può dare il tema del supereroe, e cercando di approcciarmi non tanto partendo dal superpotere, quanto dalla vita normale. Inizialmente mi ero quasi imposto come regola che non si sarebbero mai visti i poteri dei protagonisti in scena, ma non volevo che il lettore potesse pensare che magari non erano superuomini, ma solo dei fuori di testa.
Nello stesso periodo ho iniziato ad interessarmi ai webcomic: a tutti quegli autori che, per un motivo o per un altro, pubblicavano gratuitamente sul Web strisce, pagine e storie, e ho iniziato a seguirne alcuni. In generale mi avevano molto colpito perché sembrava il campo da gioco perfetto per fare un po’ di sperimentazione, per buttarsi in una storia senza doverci pensare troppo. Aggiustano il tiro andando avanti, spesso cambiando completamente direzione rispetto all’intento iniziale, e contemporaneamente migliorano inevitabilmente lo stile di disegno, dandosi comunque l’impegno di disegnare costantemente.
L’idea di cimentarmi in un fumetto Web mi intrigava anche per altri due motivi: il primo è che mi è sempre piaciuto il formato della serie a fumetti orizzontale, una storia divisa in episodi in cui ognuno di essi non è autoconclusivo, ma porta avanti un’unica narrazione.
Il secondo era provare ad immaginare come poteva essere creare una serie  fumetti Web progettato esclusivamente per Internet, che non si preoccupasse cioè di mantenere una forma in futuro pubblicabile, ma che sfruttasse tutte le potenzialità che una pagina Web può permettere per potenziare la lettura.
Ho iniziato così a parlarne con Carlo Trimarchi, Web designer che avevo conosciuto lavorando a BilBOlBul, per cui anche lui aveva fatto uno stage. Iniziando a parlargliene solo per capire cosa effettivamente poteva essere fatto e cosa no, mi sono deciso ad un certo punto di chiedergli se voleva aiutarmi a lavorarci sopra, come curatore di tutta la parte Web. Per mia fortuna è anche lui un grande appassionato di fumetti e in particolare di webcomics, ed è stato subito disponibile e entusiasta del progetto.

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Sicuramente TOBECO si è imposto nel panorama dei webcomics italiani come una grossa novità e ha richiesto ai lettore un certo adattamento alla lettura. Come mai usare la tecnologia jQuery Scroll Path?
Nell’immaginarmi gli episodi della serie la prima cosa di cui ero sicuro era il desiderio di allontanarmi dalla necessità della maggior parte dei webcomics esistenti di creare contenuti replicabili su carta. Volevo provare a creare un fumetto Web fatto apposta per il Web, che non sentisse il dovere di prevedere o sperare una pubblicazione cartacea.
Una possibilità che volevo da subito sperimentare era quella di andare in ogni direzione possibile: non essendoci il “limite” della stampa e quindi della pagina, volevo avere la libertà di poter creare un percorso che cambiasse direzione, se poteva essere utile alla narrazione. Andare giù in verticale se un personaggio stava cadendo, in orizzontale se stava correndo, e magari tornare su in diagonale se saliva una scala. Non ci sarebbe più stata la necessità di raggruppare le vignette in maniera compatta, per salvare spazio, e neanche mantenere una estetica compositiva. Per il lettore non sarebbe stato possibile vedere l’episodio nella sua interezza, ma solo la parte “presente”, nella lettura.
Questa composizione necessitava però di un modo che non permettesse al lettore di muoversi liberamente sulla schermata, ma che lo obbligasse in qualche modo di restare sul percorso. Tornare indietro, ovviamente, ma mai allontanarsi dalla “linea” di lettura; poteva rischiare, in questo modo, di “perdersi” nelle parti bianche della schermata, o non seguire i cambiamenti di direzione.
Parlando di questo desiderio con Carlo, per chiedergli come sarebbe stato possibile applicarlo, lui mi mostrò subito jQuery Scroll Path. Si tratta di un sistema di scorrimento che permette di creare una “rotaia”, impostata con delle coordinate, che il fruitore della pagina è poi obbligato a seguire “scrollando” verso il basso. Usando le frecce della tastiera, la barra laterale o la rotella del mouse e scendendo nella pagina, il plugin fa sì che invece di scorrere in verticale si segua la rotaia prestabilita, cambiando direzione, ruotando la schermata, o compiendo delle curve.

Con l’adozione del jQuery Scroll Path vengono meno elementi come la gabbia o la stessa divisione in tavole. Cosa comporta, in sede di scrittura, tale adozione? Solo nuove opportunità o anche qualche rinuncia?
In sede di scrittura niente. Cerco sempre di decidere a priori cosa mettere in scena in un singolo episodio prima di ragionare su quale plugin o sistema usare. Una volta deciso il plot dell’episodio solitamente mi confronto con Carlo, che preoccupato aspetta di sapere cosa ho in mente. A quel punto Carlo capisce cosa dei miei deliri si riesce a portare a termine, sopratutto in base a quanto tempo a disposizione abbiamo prima che l’episodio debba andare online. Ovviamente più uso sistemi e plugin “rodati” nei precedenti episodi, più è facile per entrambi costruire l’episodio definitivo. Ma cerchiamo spesso di provare cose nuove.
Nell’ideazione della forma dell’episodio, a parte i limiti che mi pone Carlo in base a tempistiche e risorse, mi sento completamente libero, senza alcuna limitazione, e spesso è questa la cosa che mi blocca di più. Avere dei limiti, una struttura con cui giocare, è sempre il miglior punto di partenza.

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Non sono moltissimi i fumetti sul Web che sfruttano nuove forme di tecnologia per raccontare delle storie. Ci sono state delle particolari ispirazioni che vi hanno portato a sperimentare questa “tecnologia narrativa”?
Progetti a fumetti Web che usano plugin e programmazioni particolari ce ne sono molti. Prima di iniziare Tobeco seguivo Thunderpaw , avevo letto I am not an Artist e i racconti di Emily Carrol. Lavorando poi sul progetto, e cercando quindi con un occhio diverso progetti simili ho trovato Mediaentity , Operation Opera e molti altri… 

In virtù delle sue caratteristiche, il tuo webcomic è per forza di cose ancorato al Web ed è difficile immaginare una trasposizione cartacea. La gran parte dei fumettisti sul Web adotta soluzioni che funzionino anche su carta, soprattutto per conservare una certa possibilità di trasformare in futuro la propria opera in qualcosa di remunerativo. Ciò però rischia di rallentare la ricerca di nuovi linguaggi narrativi. Vedi TOBECO come una pura occasione per sperimentare, per crescere artisticamente e per guadagnare solo in termini di visibilità oppure hai pensato a una qualche strategia economica per renderlo remunerativo?
Tobeco è partito non come un progetto nel vero senso della parola, con un suo obbiettivo, un suo target, un piano di pubblicazione (editoriale o digitale che sia), ma come un esperimento, quasi un divertimento.  Lo considero più un biglietto da visita, un modo per far vedere in giro che ci sono, che provo a fare delle cose.  Tobeco è per me quello che per molti altri artisti è un blog o un Tumblr, un’occasione di sperimentare, appunto come dici tu, e penso che questo sia evidente. Purtroppo non sempre tutto funziona al meglio, ma andando avanti aggiustiamo il tiro, proviamo cose nuove o strade diverse.
Vedo Tobeco come un modo di farmi conoscere, e magari generare l’attenzione necessaria per poi sviluppare un progetto più ambizioso e complesso, da cui trarne anche in qualche modo un sostentamento economico…

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Su cosa sia un webcomic c’è un’annosa disputa. Secondo alcuni l’introduzione di animazioni, musiche, gif, interazioni (come ad esempio il passaggio o il click del mouse), creerebbe un ibrido che è altro dal fumetto e per il quale sarebbe opportuno trovare un nuovo nome. Secondo altri un webcomic altro non è che un fumetto pensato e realizzato per il Web a prescindere dalle sue caratteristiche. Dato che in TOBECO fai largo uso di elementi che non troveremmo in un fumetto cartaceo, cosa ne pensi di questo ipotetico “confine”?
Ottima domanda. Devo dire che ci penso spesso, e mi trovo irrimediabilmente in difficoltà. Se un webcomic è semplicemente un fumetto che si legge sul Web, la versione online di un fumetto stampato è un webcomic? E se al contrario lo è solo quando esce su Internet e non su carta, nel momento però in cui ne viene fatta la versione pubblicata, è ancora un webcomic?
La definizione webcomic viene usata principalmente per tutti quei progetti che escono periodicamente online in episodi, puntate o pagine, e che possono (in caso) essere disponibili su carta solo in seguito;  penso sia la definizione più calzante.
Questa classificazione però elimina molti racconti autoconclusivi, anche se sfruttano tutti gli strumenti Web possibili e immaginabili (come ad esempio il I am not an Artist già citato)…
Non saprei neanche dire se il webcomic è un sottoinsieme del fumetto, visto che il primo è venuto dopo o in conseguenza del secondo, o se il fumetto è un sottoinsieme del webcomics, dato che (forse) quest’ultimo ha più possibilità linguistiche dell’altro.

Riguardo la storia, nella descrizione c’è scritto “TOBECO non parla di supereroi”. In effetti, è molto più un ironico ritratto generazionale. Quali potenzialità hai visto in questo genere per raccontare questo tipo di storia?
Ho sempre trovato il tema del superumano molto interessante versatile, perfetto per parlare un po’ di qualunque cosa. In fondo il superuomo è il personaggio perfetto, racchiude in sé tantissimi archetipi narrativi. Allo stesso tempo non ho però mai particolarmente amato i fumetti di supereroi, preferendo piuttosto tutto il sottoinsieme “meta” (Watchmen, The Dark Knight Returns, Marvels, Top Ten… ), che cerca di vedere il genere da un altro punto di vista.
Nel caso specifico di To Be Continued mi piaceva l’idea di privare di tutto il lato meraviglioso e sopra le righe del supereroe e cercare di calarlo in un contesto in cui ormai è normale, quasi banale, dopo settant’anni di presenza superumana nel mondo e un’ovvia crescita esponenziale di suoi rappresentanti. In un presente così, dove essere un superuomo non è poi questa grande opportunità, che vita potrebbe avere un ragazzo che si ritrova dei superpoteri (magari senza neanche sapere bene da dove gli sono venuti fuori)? 

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Il genere supereroistico (declinato nelle varie forme, dal fumetto al cinema) in Italia ha un pubblico consistente. Tuttavia il fumetto italiano non ha prodotto molte opere di questo genere. Guardando la produzione in Rete, mi sembra che i webcomic stiano ridando lustro a generi che erano un po’ stati esclusi dalle logiche di mercato e dagli scaffali delle edicole. Pensi che i webcomic abbiano la capacità di sdoganare generi e magari di riorientare gusti del pubblico e politiche del mondo dell’editoria cartacea?
In un certo senso credo di sì, in fondo fare webcomics vuol dire sperimentare, provare a fare qualcosa in piena libertà e senza il bisogno di pensare a logiche editoriali. Dall’altra parte però mi sembra che la maggior parte del pubblico che segue i fumetti online al momento di maggior successo, e che sono stati trasposti su carta proprio per questo successo, non siano lettori di fumetti. Non saprei dire quindi se passando attraverso questi fenomeni contemporanei l’editoria a fumetti possa ottenere un nuovo pubblico, interessato a cose differenti. 

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Parlando di prospettive, come vedi il presente ed il futuro dei webcomics in Italia?
Sicuramente i fenomeni di cui parlavo prima hanno dato maggior attenzione ai fumetti online, che penso si stia concretizzando anche in una crescita di questo tipo progetti, ma non saprei dire se questa dinamica sia in qualche modo un bene, dato che comunque una moda difficilmente porta con sé molti esempi validi.
Dall’altra parte però vedo anche un maggior (per quanto ancora molto piccolo) numero di autori esordienti, e io in mezzo a loro, che usa il webcomic come primo canale per sperimentare e farsi conoscere, seguendo di più la logica americana del webcomic, in cui la sua produzione da parte di un giovane autore è la norma. 

Tu sei uno dei membri fondatori di Delebile, dinamico collettivo di autori nato a Bologna, che quest’anno ha ricevuto un’importante candidatura al premio BD Alternative di Angoulême per l’antologia Work. Quanto è importante lo scambio tra Web ed editoria “classica” nel campo delle autoproduzioni? Qual è il tuo giudizio su forme di finanziamento come il crowdfunding, pre-order funding o piattaforme come Patreon?
Il rapporto tra autoproduzione, Web e editoria classica penso sia molto importante, ma dipende da quale sia l’obbiettivo di ogni singola autoproduzione: sperimentazione, creare attenzione su un certo gruppo di autori (interni o esterni al progetto) in cerca di un editore, oppure proporre un tipo di pubblicazioni alternative per cui l’editoria tradizionale non ha interesse ecc… Penso che ogni progetto abbia un suo interesse specifico, e da questo deriva il suo rapporto con il Web e l’editoria tradizionale.
Non mi sono ancora fatto un’idea precisa su i nuovi metodi di autofinanziamento, perché non ne ho mai utilizzato uno e quindi li conosco solo dall’esterno. Credo si basino comunque su uno stretto rapporto di fiducia tra l’autore e il suo pubblico, e quindi in relazione a se viene portato avanti da un esordiente o da un professionista famoso ne viene fuori un tipo di proposta completamente diversa. 

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Una caratteristica che accomuna l’esperienza di Delebile e TOBECO è la ricerca di scambi con l’estero. Quanto credi sia importante questa voglia di farsi conoscere nel mondo per la nuova generazione di fumettisti italiani?
Dato che ormai con Internet è possibile trovare lavoro e mantenere rapporti professionali con il mondo intero, credo sia naturale per un giovane autore aprirsi più porte possibili e cercare all’estero sia editori che pubblico, soprattutto se interessato ad un genere o ad un certo tipo di prodotti editoriali per cui nel proprio paese non c’è interesse. 

Per chiudere l’intervista, nuovi progetti per il futuro?
Al momento To Be Continued assorbe la maggior parte delle mie energie, ma vorrei sicuramente lavorare a qualcos’altro, nel frattempo. Sto cercando di capire come va con Tobeco per capire che forma dare a qualcosa di nuovo.

Grazie Lorenzo per la disponibilità e il tempo concesso.

Intervista condotta via e-mail durante il mese di marzo 2015.

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