Cold Prison di Holly Heuser è un libro difficile da definire. Il comunicato stampa di Eris Edizioni lo descrive come graphic novel, ma sarebbe legittimo chiedersi se persino “fumetto” si adatti a questo lavoro. Il formato e la compresenza di immagini e parole portano in quella direzione, eppure il racconto è così rarefatto da aprire a diverse interpretazioni rispetto a cosa succede (una questione che viene molto prima del che cosa significa quello che è successo) e pone domande sulla natura di quello che stiamo leggendo.
Potremmo dire cheCold Prison narra di un viaggio nello spazio per fondare una colonia penale su un altro pianeta. L’esperienza viene raccontata in un monologo interiore della protagonista, distribuito in tavole a tecnica mista, spesso astratte, con colori tra il rosa, il rosso, il bianco e il nero. L’effetto è psichedelico e di impatto, permette di sentire e di leggere l’atto creativo dell’autrice e la forte carica emotiva che questa vuole infondere alla pagina. Si tratta della cifra forse più peculiare dell’opera di Holly Heuser e che già si trovava nel suo Milano Emotiva. Diario illustrato di psicogeografia urlata (Agenzia X 2022), accentuata nel caso di Cold Prison dalla scelta di dipingere a mano tutte le 1000 copertine della prima tiratura.
Leggendo, si intuisce che l’esperienza nello spazio è un modo per elaborare e raccontare una condizione emotiva, i cui caratteri arrivano quasi urlati dai disegni: allontanamento, annullamento di sé, solitudine, rabbia, desiderio di trascendenza da tutto ciò che è umano (anche se le parole non rendono giustizia ai disegni dell’autrice). I testi frammentari e ossessivi si accordano bene all’atmosfera e raccontano sensazioni e pensieri da cui traspare un passato doloroso, accompagnato da alcuni riferimenti venati di nostalgia ai luoghi in cui è vissuta la protagonista: Milano, Lugano e Bologna.
Questi offrono un collegamento con il precedente Milano Emotiva, citato anche esplicitamente: se nella prima opera l’autrice pescava a piene mani dalla sua esperienza della città, in Cold Prison viene raccontato un processo di allontanamento avvertito come necessario. Qui però troviamo un cortocircuito: quella che stiamo leggendo è la voce di Holly Heuser o di una donna di fantasia? Cold Prison è presentato come graphic novel di fiction, eppure alcuni riferimenti richiedono la consapevolezza di una cornice autobiografica per essere capiti appieno. Un addio a Milano non ne ha necessariamente bisogno (può essere letto come saluto alla città di provenienza, e quest’ultima potrebbe anche rappresentare l’archetipo di una grande metropoli), ma tre commiati sono troppi e troppo specifici per non porre domande sulla natura di ciò che stiamo leggendo. Perché la voce narrante saluta Lugano? E perché Bologna?
È come se Cold Prison si ponesse come seguito naturale di Milano Emotiva, ma nel farlo ne negasse la radice diaristica, lasciando così lettori e lettrici senza coordinante per cogliere alcuni riferimenti. Questo non solo rispetto alla geografia emotiva della voce narrante: il primo capitolo, Avventurina, ricompare nella sezione successiva come fotografia di una fanzine con lo stesso titolo, un collegamento di cui si può apprezzare il significato solo sapendo che quello spillato è una delle prime autoproduzioni che l’autrice ha realizzato a Milano. Ancora, c’è una sequenza in cui qualcuno (un peluche?) si rivolge a una ragazza che chiama “Holly”, una coincidenza di nomi che non può essere un caso, ma che non viene chiarita, un’ambiguità che si trova anche in quei passaggi in cui la protagonista si rivolge a un “tu” con cui si intuisce un legame, forse sentimentale, forse violento, il cui ruolo però rimane celato.
L’emozione arriva diretta, ma senza una cornice adeguata il significato generale del viaggio corre il rischio di risultare troppo criptico, complice il fatto che il fumetto rimane sospeso tra il graphic novel e l’elaborazione diaristica di un’esperienza personale. E non si tratta del bisogno (del tutto ovviabile) di dare una definizione al testo: quello che cambia è l’approccio con cui lo si affronta, le possibilità di interpretarlo e ciò che rimane dopo averlo letto.
Una cornice si può dare in molti modi, alcuni dei quali non devono intervenire direttamente sul testo, intaccandone l’immediatezza. Una comunicazione diversa, una prefazione o una postfazione, avrebbero certamente aiutato a rendere più chiara, e quindi d’impatto, l’esperienza racchiusa in Cold Prison. L’esperimento è interessante: rendere un’emozione (anzi, diverse emozioni) non attraverso il racconto, ma con delle immagini che rappresentino l’emozione. Per farlo, Holly Heuser attraversa i confini tra la fiction, il diario, il fumetto, il pastiche, il racconto e la poesia, dando vita a un ibrido sorprendente che sintetizza la sua poetica.
Ma fare poesia con un medium altamente narrativo come il fumetto è difficile almeno quanto fare fiction partendo da un’elaborazione così viscerale di materiali personali come quelli coinvolti in quest’opera: Cold Prison è un passo all’interno di un percorso di ricerca, che coinvolge anche Matteo Contin in veste di editor. Ed è senza dubbio preziosa la possibilità di godere di questo viaggio insieme all’autrice, che ci può accompagnare dai recessi più oscuri di una metropoli fino alle altezze fredde e siderali dello spazio. Il tutto sapendo che, in entrambi i casi, è il misterioso territorio delle emozioni quello che stiamo esplorando.
Abbiamo parlato di:
Cold Prison
Holly Heuser
Eris Edizioni, 2024
200 pagine, brossurato, colore – 20,00 €
ISBN: 9791280495631