Sopravvivere alla guerra: “Okinawa” di Susumu Higa

Sopravvivere alla guerra: “Okinawa” di Susumu Higa

Susumu Higa raccoglie testimonianze della propria famiglia per raccontare uno delle battaglie più cruente della Seconda Guerra Mondiale.
Cover

Quando nell’aprile del 1945, l’esercito statunitense dette avvio all’Operazione Iceberg, ovvero l’attacco all’isola di Okinawa e all’omonimo arcipelago, ebbe inizio una delle battaglie più sanguinose dell’intero conflitto, anche per l’imponente numero di morti civili. Da una parte la flotta statunitense che, prima di sbarcare sull’isola, ne bombardò il territorio in maniera massiccia; dall’altra le forze nipponiche, organizzate in una resistenza che, oltre all’artiglieria, aveva previsto un reticolodi tunnel sotterranei utili a sfruttare la conoscenza del territorio. Nel mezzo, la popolazione isolana, in parte reclutata nelle milizie regolari, in ogni caso esposta alla furia di un combattimento serrato ed estenuante.

Okinawa di Susumu Higa è costituito, al suo interno, da due libri, ognuno composto di diversi racconti: nel primo dei due libri, intitolato Spada di sabbia, l’autore racconta il conflitto dal punto di vista della popolazione, attingendo anche alle esperienze vissute dai propri familiari. Nativo di Okinawa, Higa mette al centro dell’opera proprio la popolazione civile, raccontando le conseguenze immediate e di lungo periodo che il conflitto ha prodotto tra la gente comune.

Suicidio

Con uno stile pulito e rigoroso, una griglia regolare cui deroga in poche e significative occasioni, l’autore racconta la difficoltà di una popolazione pacifica ad abituarsi alle logiche militari, che si scontrano con il rispetto e la cura dell’isola e delle sue tradizioni. Fin dal primo racconto, in cui si contrappongono un maestro elementare e un capitano dell’esercito, l’autore mette in risalto il contrasto tra gli isolani che rispettano e riveriscono la loro terra attraverso riti appositi, e i militari, che usano le bombe per pescare e non si fanno problemi a sacrificare un bosco sacro per reperire legname.

La natura dell’isola, la vegetazione, le spiagge o i campi coltivati, sono disegnati da Higa con grande cura e attenzione: anche nelle vignette più piccole, se necessario, l’autore non lesina di tratteggiare ogni singolo fiore o di particolareggiare le singole colture presenti in un orto. Lo scenario rigoglioso delle prime pagine colpisce l’occhio del lettore ed è utile a rendere misura – via via che la battaglia entra nel vivo e la distruzione si fa sempre più estesa – del grado di devastazione che verrà raggiunto con il progredire del conflitto.1

A rendere la situazione ancora più gravosa, il fatto che l’esercito giapponese consideri gli isolani dei connazionali di grado inferiore facendoli oggetti di soprusi, sospetti e non esitando a sacrificarli coinvolgendoli negli attacchi suicidi che il codice d’onore militare imponeva. Alla fine della battaglia le perdite tra le fila dell’esercito nipponico furono 90.000 – cifra che comprende anche gli isolani reclutati, mentre le vittimi civili raggiunsero le 100.00 unità.

Contadino

Nel secondo libro, intitolata Mabui, Higa sposta la narrazione molti anni dopo la fine del conflitto e per approfondire le conseguenze di questa sull’arcipelago; il risultato è un racconto dai toni più leggeri (ma non frivoli) in cui c’è spazio anche per qualche episodio comico, che consente di alleggerire il tenore dell’opera e resta comunque efficace nel rappresentare le distorsioni che un evento bellico di enormi dimensioni produce in un territorio piuttosto circoscritto come quello di un arcipelago. Finito il conflitto, infatti, nelle isole teatro dello scontro finiscono per concentrarsi il 75% delle installazioni militari USA in Giappone.

Un fatto questo, che ancora oggi genera forti tensioni tra la popolazione locale e i soldati statunitensi di stanza sull’isola. L’opera di ricostruzione, che come esplicano le pagine passa anche dal ripristino di una vegetazione di nuovo rigogliosa e dalla ripresa delle attività agricole, deve necessariamente fare i conti con la coabitazione forzata tra abitanti e basi militari. Un rapporto particolare, che si configura come una sorta di occupazione, seppur in versione soft: larghi appezzamenti di terreno anche se non occupati fisicamente dalle basi vengono comunque assegnati agli USA in cambio di un indennizzo per i proprietari. Il risultato è un discreto flusso di denaro che investe queste zone (oggi meta turistica piuttosto amata dai giapponesi), con le inevitabili speculazioni che fenomeni di questo tipo producono. Al desiderio di soldi facili e veloci, che contagia le nuove generazioni, Higa contrappone il desiderio degli anziani di salvaguardare quanto resta dell’isola, in termini di cultura, abitudini e tradizioni. Da questo punto di vista, ampio spazio è dedicato ai riti tradizionali che in più di un’occasione fungono da eventi risolutori di conflitti, personali e non solo. Che si tratti di ritrovare un pilota disperso in un incidente aereo o di far cessare gli incubi di un artigiano colpevole di aver utilizzato per le sue ceramiche del materiale preso da un terreno sacro, le anziane dell’isola, titolari esclusive del dicastero religioso, attraverso le loro preghiere, costituiscono la porta attraverso cui tornare in sintonia con il proprio mabui – spirito – e quello dell’isola.

Guerra

Con la misura che connota tutta la sua narrazione, sia sotto l’aspetto grafico che testuale, l’autore riesce a comunicare la distanza che intercorre tra gli isolani e i soldati, siano statunitensi o giapponesi. Per i soldati USA, i civili sono vittime collaterali, inevitabili in operazioni di questo tipo, per l’esercito nipponico rappresentano un intralcio, piuttosto che un bene in nome del quale combattere. Una terzietà, questa, che sgombra il campo da rappresentazioni ideologiche e derive patriottiche: i valori principali degli abitanti dell’arcipelago sono quelli della fratellanza e del rispetto reciproco. E questa distanza guida il racconto del conflitto, orienta lo sguardo del lettore attraverso una prospettiva assolutamente non manichea, che cerca di raccontare episodi di una resistenza umanista piuttosto che bellica. Tanto è vero che, quello della conciliazione, è probabilmente il tema più forte del libro, l’unico che scorre, a volte in maniera evidente, altre sotterranea, lungo tutte le pagine dell’opera. Gli eroi loro malgrado, che Higa mette in scena, sono persone che cercano di trovare unità in momenti di disperazione, che provano a dialogare davanti a posizioni dogmatiche o retoriche vuote e posticce.

Lo è il sindaco, che cerca di convincere i soldati che la guerra è finita, e che anche nella resa può esserci dignità, così come lo è la nipote, che torna a casa e scopre nella dimensione isolana un intero universo; il pilota statunitense che, salvato da una famiglia di contadini, decide di lasciare l’esercito e darsi all’agricoltura. Ognuna delle piccole storie che compongono le quasi 500 pagine di Okinawa racconta un piccolo e talvolta tragico episodio al cui interno c’è sempre un elemento di speranza, il tentativo di difendere in primis la propria dignità di essere umano e con essa il proprio ruolo all’interno del contesto in cui si vive (spiriti compresi).

In A proposito di mia madre, uno dei racconti iniziali di Okinawa, l’autore racconta un episodio che ha per protagonista la propria madre, intenta a difendere i quattro figli nel caos seguente allo sbarco dei soldati USA sull’isola. Da un lato, l’avanzata del nemico, dipinto con tratti quasi demoniaci dalla propaganda nipponica, dall’altra le truppe “amiche” completamente allo sbando e ormai prive di qualsiasi guida e remora. Ad un certo punto, stremato dalla fatica e terrorizzato da quanto lo circonda, uno dei bambini chiede alla madre che cosa faranno: “Camminiamo, coi nostri piccoli piedini” risponde lei.

Abbiamo parlato di:

Okinawa
Susumu Higa
Traduzione di Vincenzo Filosa
Rizzoli Lizard, ottobre 2024
520 pagine, brossurato, bianco e nero – 25,00 €
ISBN: 9788817190718

Mabui

  1. Vale la pensa specificare come a causa della sua posizione strategica l’isola abbia avuto una storia piuttosto travagliata: Stato indipendente fino al 1300, ha avuto rapporti con la Cina per essere annessa al Giappone nel 1879. 

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