Superato lo scarso appeal che il disegno, a prima vista, induce, si entra in un mondo dove l’utopia di un futuro migliore viene ribaltata nella classica distopia d’orwelliana memoria.
La disperazione, il totalitarismo, la sottrazione della sfera privata in nome del più profondo controllo sulle masse: erano questi i peggiori incubi che probabilmente tormentavano l’autrice francese dalla metà degli anni settanta alla metà degli ottanta, epoca nella quale lavoro’ su questi tre libri (Wonder City, Shelter, 1996), pubblicati allora sulla rivista Métal Hurlant, ed ora raccolti in Italia dalla Coconino e in Francia dalla Vertige Graphic.
C’é una visione del mondo e del suo futuro pessimista, con chiari rimandi alle opere di Orwell (1984) e Huxley (Brave new world, Il mondo nuovo) e alle loro tematiche: il controllo sociale, l’autoritarismo, la divisione della società in caste, l’estremizzazione del controllo demografico, il parto non più concepito come fatto naturale e privato, ma sottratto alla coppia fino ad ipotizzarne la contraccezione coatta, quasi a ricordare l’eugenetica di stampo nazista.
Ma voler leggere queste storie solo come puri riferimenti letterari sarebbe sbagliato. Nel tentativo di comprendere meglio la loro genesi, bisogna inquadrarle, come è giusto che sia, nel periodo di grande agitazione e di scontro sociale che era in atto in quegli anni in tutta Europa.
Sulla spinta degli ardori avanguardisti del ’68, gli anni settanta portavano con loro ancora dei fermenti di rivoluzione culturale e sociale, durante i quali si era consapevoli di vivere un presente che guardava al futuro con occhi diversi. C’era un grande bisogno di rinnovare l’immaginario e di pensare ad un mondo nuovo. Anche se i suoi giudizi sul cambiamento in atto nella società non dovevano essere dei più confortanti, Chantal Montellier non si sottrasse, con la sua opera, dal porre domande e dal segnalare problemi.
Di più, ci ha tramandato un sentire il suo presente che, a distanza di venticinque anni, possiamo di nuovo comprendere ed interpretare. In fondo, con le dovute e logiche differenze, il panorama sociale di questo inizio di millennio non è totalmente diverso d’allora. Anche oggi c’é un grande movimento in tutto l’occidente, che pone degli interrogativi forti sul futuro del nostro pianeta, sulla giustizia, sulla fame, sul bisogno di pace; anche se, attualmente, non vedo un autore che, come la Montellier, s’immerge in tutto questo e ne traduce, avvalendosi di matita e carta, le paure e le istanze.
Così come Montag, il protagonista di Fahrenheit 451 di Bradbury, prende coscienza del baratro nel quale la società sta sprofondando, anche le storie in questo libro, in fondo, parlano di tentativi di ribellione e di riscatto, o perlomeno in esse si intravede un’uscita, una timida speranza. Così in Wonder City, una storia incentrata, come dicevamo, sulla contraccezione somministrata ingannevolmente, da parte di uno stato che ammorba con la sua viscida simpatia, ma che in realtà sottomette e reprime, i due protagonisti tentano di fuggire per poter concepire un figlio, cosa che l’autorità non permette.
In Shelter, ci troviamo invece in un grande magazzino a prova di guerra nucleare, dove i clienti sono costretti a risiedere dopo che all’esterno è scoppiato il conflitto. S’istituisce, sotto la supervisione della direzione, una nuova società che a parole dovrebbe essere scevra degli errori di secoli di civiltà, ma nei fatti ne ricalca e ne estremizza i suoi difetti e i suoi lati più autoritari. Anche qui i protagonisti, colti e sensibili, capiscono presto l’inganno e cercano la ribellione e quindi la fuga.
Dicevo prima che, per i disegni, bisogna superare il primo impatto che può non essere positivo. Difatti il tratto può sembrare dilettantistico, manierista, poco curato e a volte proprio brutto (per la stessa autrice è così, come riportato nella bella prefazione di Jean-Pierre Dionnet, altro nome illustre del fumetto francese), ma bisogna riconoscerne l’efficacia, e soprattutto l’immediatezza tipica di quegli anni. Chi si ricorda cosa veniva pubblicato all’inizio degli ottanta su riviste cardine del fumetto europeo (come la già citata Métal Hurlant) e nostrano (AlterLinus), sa di cosa parlo. Fianco a fianco si potevano trovare grandi autori che avevano un approccio alla tavola molto sperimentale, a volte rivoluzionario e mai banale, con gran perizia grafica e forte volontà di scardinare la sintassi del racconto (Moebius e Druillet, per citarne due), e altri autori che prediligevano la sperimentazione tout-court senza possedere l’abilità né teorica né pratica, ma con la capacità di attingere a piene mani alle sensibilità del momento. Graficamente i primi racconti della Montellier sono più vicini a quest’ultimi autori, anche se la profondità dei testi e le acute intuizioni delle trame (come giustamente sottolineato nell’introduzione al volume) ne rimarcano una distanza considerevole. Possiamo inoltre notare come in Shelter ci siano dei chiari riferimenti al tratto di Tardi, mentre in 1996 è notevole l’influenza di Crepax, sia nel disegno dei personaggi sia per quanto riguarda l’impostazione della tavola.
Per concludere un ottimo volume, che mette d’accordo l’esigenza di avere delle belle storie di Sci-Fi da leggere e degli ottimi spunti di riflessione di carattere sociale; da qui deriva, ovviamente, l’azzeccatissimo titolo Social Fiction.
Ottima come sempre la confezione della Coconino Press che, con l’abituale e raffinato formato (rilegatura e sovracoperta, 24×17 cm), si attesta sempre di più come culla del fumetto d’autore.
Di quest’autrice, nata in Francia nel 1947, in Italia possiamo ricordare perlopiù i volumi della serie Andy Gang, all’interno della Collana nera delle Edizioni Nuova Frontiera usciti a metà degli anni ottanta, ed altre sue storie apparse sulla defunta rivista AlterLinus della Milano Libri edizioni.
Potete inoltre trovare informazioni più dettagliate sull’autrice sul sito curato da lei stessa al link: chantal.montellier.free.fr
Social Fiction
Chantal Montellier
Coconino press – 2003 – 184 pgg/b&n – euro 13,00