Breve introduzione: ovvero, le ragioni di un’intervista
Il fumetto Le Mantidi (di cui è possibile leggere la recensione qui) edito dalla casa editrice Tunué, è stato pubblicato nella collana Ariel, serie dedicata a temi cari alle donne (come si legge nel sito della casa editrice). Ma questa etichetta, significativa e pertinente, coglie solo un aspetto del fumetto di Sara Dealbera.
Infatti, sebbene incentrato su un piccolo universo femminile, qual è la comunità di madri e sorelle del paese di Tetti Lupa, la storia del fumetto presenta sia caratteristiche tipiche del romanzo di formazione che del racconto di genere. Del resto, si potrebbe obiettare, è tipico delle buone storie (s’intende di quelle scritte bene) toccare più tematiche e saperle ben bilanciare. Obiezione plausibile, ma resta un problema della critica attribuire etichette, scremare, vagliare, definire e rendere dialogabile un’opera: allora occorre inquadrare alcuni elementi, isolarli e provare a definirli, non per ingabbiare l’agile scorrere della storia, ma – come scritto sopra – per avere i contorni di un oggetto da poter rendere passibile di osservazione e dialogo.
In breve, dalla mescidazione di questi due aspetti, romanzo di formazione e racconto di genere, insieme alla bellezza dei disegni e dell’ambientazione, sono stato mosso alla formulazione di una serie di domande inviate all’autrice, alle quali Dealbera ha prontamente e puntualmente risposto.
Le questioni affrontate, secondo l’ordine del questionario inviato, riguardano la storia, i disegni, alcune scelte di regia. Non ci resta che ripercorrerle e provare a trarne un discorso conclusivo.
L’intervista: dialogo sulla storia
Da dove nasce la storia?
Ho iniziato a lavorare su questo soggetto in Accademia a Bologna, durante un corso di scrittura creativa dove il tema era il conflitto. Avevo idea da anni di scrivere qualcosa di ambientato nella campagna piemontese, perché mia nonna arriva da lì. Poi combinando le due cose ha iniziato a prendere forma la storia, il contesto della cascina mi sembrava molto adatto per quello che avevo in mente.La presenza di una comunità di donne che hanno sì sofferto, ma che si basa anche sulla violenza, serve a rendere complessa e più reale una vicenda che, altrimenti, rischierebbe di scadere in una semplificazione eccessiva (del tipo “uomini malvagi vs donne buone”)?
Certo, perché la realtà non è mai solo bianca o nera e non mi piaceva l’idea di semplificare troppo la questione. Anche nella vita reale è difficile che le persone siano dei monoliti e il fatto di avere sofferto anche tanto generalmente non autorizza nessuno a compiere atti di violenza estremi. Volevo che rimanesse una realtà stratificata, che non si potesse davvero parteggiare per nessuna delle due “fazioni”. L’idea di questo ciclo della violenza, che prima si subisce e poi si finisce non solo per perpetrare ma anche per insegnare ad altre mi sembrava significativa, anche considerando appunto la vita vera e non solo il contesto che ho creato per il fumetto. Non volevo assolutamente che leggendo la mia storia si arrivasse a pensare che gli uomini sono tutti malvagi e le donne tutte buone, volevo anzi che ci si chiedesse fino a che punto può arrivare una realtà che risponde alla violenza con altra violenza in modo sistematico.
Il finale aperto vuole significare speranza o c’è un’altra chiave di lettura? Forse la necessità di vivere la propria storia prima di passare da una vita comunitaria a una di coppia?
Il finale per me è un punto fondamentale della storia e della crescita personale di Caterina, per me rappresenta l’autonomia che lei sta cercando di ottenere. Fino a quel momento ha sempre vissuto con le regole di altre persone e ha bisogno di vivere in modo autonomo prima di poter avere dei rapporti più o meno sani con altre persone. E anche la relazione con Minot non è gestita da lei fino al finale della storia, perché Caterina cerca più volte di allontanarlo e lui di fatto non accetta un no come risposta, anche questo è un imporre le proprie regole all’altra persona. Quindi sicuramente c’è la necessità di essere autonoma e di vivere le cose sulla propria pelle senza che qualcun altro filtri il mondo per lei prima. Se vogliamo può significare anche speranza, in un certo senso.La storia presenta affinità tematiche con il romanzo di formazione, ma tratta anche questioni di genere: nelle tue intenzioni quali delle due componenti è più importante? O ambedue le categorie sono egualmente valide?
Entrambe sono valide e importanti allo stesso modo, per me. Il romanzo di formazione è stato un po’ il punto di partenza, nel senso che riconosco di aver usato un certo tipo di schema narrativo, mentre le tematiche di genere sono legate in modo molto stretto al contesto della storia. Non riesco a immaginarmi il mio fumetto senza uno dei due aspetti, è una storia di formazione che parla di questioni di genere.
Nella storia sono presenti dei racconti, quindi altre storie: queste hanno una funzione educativa. Anche la “tua storia” ha un’aspirazione educativa?
No, non ho mai avuto pretese educative con questa storia. Al massimo mi piacerebbe portare chi la legge a riflettere un po’ sulle tematiche di genere e dell’educazione, ma non penso che si possa imparare qualcosa leggendo il mio fumetto. È nato con l’intenzione di raccontare una storia e basta, l’idea di scrivere una storia per educare in qualche senso mi uccide la creatività, non penso che riuscirei mai a scrivere con uno scopo così preciso. Ovviamente si toccano temi delicati e se fosse uno spunto per parlarne o per rifletterci mi farebbe piacere, però non era l’intenzione con cui ho lavorato a questo progetto.
Come si legge, la storia ha radici profonde, dato che l’idea risale all’esperienza degli studi dell’autrice: prova di questa ponderazione potrebbe essere la ben misurata narrazione, contenuta, nella quale ogni scena concorre ad aggiungere un tassello a quanto si narra e si vede. Anche i momenti meno narrativi e più “lirici” (quali le scene notturne o la comparsa di un animale) hanno una funzione narrativa precisa, fosse anche di pausa o stacco rispetto a un cambio di scena.
Altro elemento notevole è l’assenza di una volontà educativa: Sara Dealbera è chiara, scrivere una storia pensando a educare uccide la creatività; all’artista spetta creare, ai lettori attivare la loro intelligenza e sensibilità a partire dall’opera.
Ultimo elemento sul quale vorrei portare l’attenzione riguarda l’importanza della complessità, nel senso di una realtà stratificata, dove male e bene non siano artificialmente distribuiti, ma mischiati, di modo che la crescita della protagonista coincida anche con una più matura e precisa capacità di discernimento.
L’intervista: dialogo sui disegni
La tecnica scelta è “la tua tecnica”, cioè è il tuo stile a prescindere dalla storia raffigurata, oppure è subordinata all’ambientazione bucolica della storia?
È sicuramente una tecnica che sento molto mia e che è rassicurante da usare, l’ho scelta proprio per sentirmi sicura nella realizzazione delle tavole. Credo che si accompagni bene anche con l’ambientazione, ho avuto fortuna che le due cose coincidessero. Probabilmente in futuro questa tecnica sarà il punto di partenza, ma proverò ad adattarla ai progetti di volta in volta.
Hai un modello di riferimento per i tuoi disegni e i colori?
Ho sicuramente dell* autor* che apprezzo e che in qualche modo mi influenzano, mi è sempre difficile dire quali sono i modelli precisi, però. Sicuramente quando ho iniziato a disegnare con la grafite in questo modo apprezzavo molto Isabelle Arsenault, per esempio, ma poi penso di avere preso una direzione un po’ diversa da lei.
In merito ai disegni, fin da subito si resta colpiti dal tratto de Le Mantidi, dato che lo stile dell’autrice pare calzare a pennello sui luoghi e sui personaggi di Tetti Lupa e dintorni. Anche in questo caso, Sara Dealbera si mostra sicura tanto nell’indicare un riferimento, quanto nel ribadire lo sviluppo di un proprio cammino artistico.
L’intervista: dialogo su alcune scelte di regia
Sebbene ci siano scene di violenza e morte, il fumetto è molto tenue e delicato e lascia solo intuire i terribili fatti che accadono: si tratta di una scelta consapevole? Se sì, per quale ragione: per una sorta di catarsi (un po’ come accade nelle tragedie greche, dove la violenza non veniva rappresentata, ma suggerita) o per allargare il bacino di lettori e lettrici?
Ho scelto di mostrare la violenza solo in parte e in modo evocativo perché non credo che ci sia bisogno di essere completamente espliciti nel raccontare qualcosa perché poi sia in qualche modo d’impatto. È una scelta di regia che apprezzo particolarmente negli altri, quella del fuori campo, delle cose lasciate intendere e non dette in modo esplicito, mi piace il tipo di atmosfera che crea ed è una cosa che a me personalmente piace vedere, quindi mi è sembrato naturale rendere la violenza in questo modo. Non è stata una scelta fatta per allargare il bacino di lettori, in ogni caso, ho semplicemente raccontato la storia come mi sarebbe piaciuto leggerla.
Spesso compaiono animali, ai quali concedi anche alcune intere vignette: hanno un ruolo particolare nel racconto?
Mi piaceva l’idea di dare spazio agli animali della campagna, a volte per rendere meglio l’atmosfera (le mucche nella stalla) o un particolare momento (i rospi, che di solito escono di sera o dopo la pioggia), ma a volte hanno anche un ruolo nella storia, per esempio le galline che sono un pretesto per spingere Caterina fuori dalla cascina, fino al paesino.
Nel fumetto, sembra che gli scenari notturni abbiano una certa importanza: è un caso o hai una predilezione per le raffigurazioni notturne?
Disegnare le scene notturne è stato particolarmente soddisfacente, mi piace molto l’atmosfera che creano. Penso che molte scene notturne abbiano un peso particolare se si svolgono nel buio (il finale, per esempio), non avrebbero lo stesso effetto se fossero ambientate in altri momenti. Per cui da un lato è stato molto naturale scegliere quali scene ambientare di notte, dall’altro credo che così facendo queste scene abbiano una connotazione particolare e trovo che funzionino meglio.
Le ultime domande si concludono sulle scelte di regia, espressione con la quale ho voluto intendere il generale montaggio di scene, ma anche di scelte narrative in relazione al fluire delle sequenze.
In merito a quest’ultimo aspetto colpisce l’idea della rappresentazione della violenza: mai esplicita, ma suggerita. L’autrice ha scelto questa modalità di rappresentazione (o meglio, di non rappresentazione) seguendo il suo personale gusto artistico; tuttavia, il collegamento con l’idea della violenza nel teatro greco, permette una riflessione sul versante della catarsi: non vedere la violenza, ma percepirla attraverso cenni e indizi, spinge i lettori a un processo di immedesimazione maggiore. In ciò, Sara Dealbera si rivela consapevole e artisticamente matura: è riuscita a suggerire la violenza e il male, senza ricorrere a rappresentazioni violente e brutali. Grazie al “non detto” e al “non visto”, ha creato una zona d’ombra dove far avvenire le scene più crude, lavorando per suggestioni e ansie latenti nella serena (in apparenza) vita di Tetti Lupa.
Da un punto di vista scenico, suggestivi i notturni, nei quali l’autrice è particolarmente versata ed abile. La presenza di animali, sia sullo sfondo, sia in primo piano, contribuisce all’atmosfera agreste dell’ambientazione, oltre a funzionare anche all’interno del meccanismo narrativo.
Conclusioni
La parole di Sara Dealbera aiutano a entrare nella sua officina di scrittrice e disegnatrice: offrono l’opportunità di approfondire temi che ho ritenuto notevoli e suggestivi a partire dalla lettura del fumetto. In conclusione, forse mi sorge un’altra domanda: Quando vedremo il prossimo fumetto? Ma è una domanda che lascio aperta, sperando si traduca presto in un nuovo lavoro da parte di Sara Dealbera.
Ringrazio l’autrice per il tempo concesso a rispondere alle mie domande; l’addetta ufficio stampa Simona Gionta, sempre pronta a collaborare; Angela Pansini per la sua attività di mediazione con la casa editrice.
Sara Dealbera
Sara Dealbera nasce nel 1994 a Torino. È laureata in illustrazione allo IED di Torino e poi in Linguaggi del Fu-metto all’Accademia di Belle Arti di Bologna. Dal 2019 cura la grafica e il coordinamento artistico della rivista letteraria digitale Il Rifugio dell’Ircocervo. Appassionata di arte e disegno, collezione cartoline con quadri, ama il disegno e la grafite, le storie di pirati e il colore arancione.
Le Mantidi è il suo graphic novel di esordio.
Il suo profilo Instagram è www.instagram.com/sara_dealbera/