Ragazze cattive: l’educazione coreana negli anni Novanta

Ragazze cattive: l’educazione coreana negli anni Novanta

Attraverso la storia di Chinju e Jeong-ae, Ancco racconta, in modo parzialmente autobiografico e scevro da giudizi morali, la propria adolescenza in Corea del Sud alla fine degli anni Novanta, in un contesto di violenza e abusi socialmente accettati.

Chinju e Jeong-ae sono immobili, sole, in cerca di una via d'uscita dalla violenza e dalla disperazione che contraddistingue la loro esistenza

La loro storia, raccontata attraverso un lungo flashback di Chinju, è fissata chiaramente nel tempo: la Corea del Sud degli anni Novanta, in pieno collasso economico e sotto la tutela del Fondo Monetario Internazionale. Un Paese in preda a una crisi economica e di valori, costruito su una mentalità patriarcale pervasa dalla violenza, contesto che Ancoo lascia sullo sfondo, facendo sì che a parlare siano il suo tratto peculiare e le esperienze di vita scolastica e familiare delle sue giovani protagoniste.

La crudele attenzione con cui Ancco – vero nome Choi Kyung-Jin e nel 2017 vincitrice del Premio Rivelazione al – racconta questa storia pone al centro dell'azione Chinju e la sua educazione impartitale a suon di pugni dal padre e dagli insegnanti.
Chinju incontra una coetanea, Jeong-ae, che affianca in reiterati atti di bullismo nei confronti delle compagne di scuola più giovani, fino a seguirla in un quartiere a luci rosse in cerca di un'indipendenza che viene punita ancora una volta con inauditi abusi fisici, fino a quando le strade delle amiche si separano.

La cattiveria del titolo è un riferimento alle azioni delle due protagoniste, che sono senza dubbio riprovevoli, ma anche a una condizione di inadeguatezza e di incapacità della società coreana di fine anni Novanta di educare i propri giovani. Una incapacità che per gli adulti si trasforma in un senso di frustrazione e preoccupazione per il proprio futuro e quello dei loro figli. Una condizione che sfocia nella violenza – appresa in famiglia e a scuola – dove le azioni sconsiderate e socialmente inaccettabili sono un atto di ribellione che nasconde un grido d'aiuto. Comportamento di cui la condotta di Chinju e Jeong-ae è un perfetto esempio e che, invece di ricevere la giusta comprensione, viene bollato come “cattiveria” da adulti e istituzioni.

Sebbene possa apparire istintivo schierarsi con le giovani protagoniste, Ancco crea una sorta di effetto straniante che evita una empatia immediata, e, pur nella miseria delle loro esistenze, Chinju e Jeong-ae sono raccontate con un certo distacco, senza tuttavia giudicarle. Tutto il fumetto cammina infatti sul filo sottile tra la necessità di condividere i fatti, il monito contro la violenza normalizzata e socialmente accettata, la necessaria contestualizzazione storica e quella malinconia pervasiva che è sempre il rischio di ogni storia narrata a distanza di molti anni
. Non va infatti dimenticato che, per quanto non vi sia completa corrispondenza tra i fatti esposti e i personaggi che l'autrice ha conosciuto nella sua gioventù, la violenza è – per sua stessa ammissione – l'elemento su cui ha dovuto meno lavorare di fantasia.

Ragazze cattive è quindi una storia di finzione in cui si sono riversati alcuni ricordi personali di Ancco, senza che però quest'ultima cada nell'autocommiserazione, nell'accusa spietata o nel giudizio morale. La bravura della fumettista coreana sta infatti nella capacità di riproporre il proprio passato in modo netto, limpido, diretto e preciso.

L'immediatezza della narrazione si coniuga alla perfezione con uno stile di disegno in bianco e nero sintetico, caratterizzato da un'estetica asciutta, tagliente, a tratti disturbante, che conferisce al fumetto un'atmosfera particolare, in grado di far sentire tutt'altro che a proprio agio nella lettura e nell'immersione in un contesto carico di dolore.

Dagli sfondi disadorni, alternativamente in un bianco o in un nero netti, emergono figure umane filiformi i cui volti hanno un'importanza peculiare. Il dramma e la sofferenza dei personaggi sono resi vividamente in pochi tratti precisi che riducono gli occhi a linee o addirittura a punti, dilatano le bocche in modo innaturale, mettono in evidenza i lividi e il sangue provocati dalle percosse, sotto le quali i corpi si piegano fin quasi a ridurre al minimo ogni parvenza di umanità. Le scene degli abusi, poi, sono rese con particolare pathos grazie all'uso fittissimo che Ancco fa delle linee cinetiche, che restituiscono la velocità e la violenza dei colpi, oltre all'inconcepibile brutalità dell'azione.

Ancco offre al lettore un fumetto non facile da digerire, per il suo stile di disegno underground e per una tematica, quella della violenza fisica che un questo caso vede protagoniste due giovani donne, verso cui il pubblico si sta sensibilizzando, ma che non si aspetta venga trattato senza condanne né vittimismo, ma con chirurgico distacco.

La forza espressiva dei disegni, la durezza del tema trattato e sottilissimo tra motivazione autobiografica e sguardo esterno ai fatti conducono il lettore verso una sospensione del giudizio, impedendogli di affermare di trovarsi in presenza di un “bel” fumetto (sarebbe un ossimoro abbinare questo aggettivo a un'opera come Ragazze cattive), ma piuttosto di fronte a un lavoro aspro, di grande impatto emotivo, che punta a shockare e indurre a porsi degli interrogativi molto profondi.

Cosa porti l'autrice a servire un risultato tanto ambivalente è nelle parole della stessa protagonista, e alter ego di Ancco, che dopo una giovinezza infelice e rassegnata trova il proprio riscatto affermandosi come disegnatrice:

“Non mi vergogno delle esperienze che ho vissuto. Piuttosto mi piace parlarne… è come se non mi appartenessero più”.

Abbiamo parlato di:
Ragazze cattive
Ancco
Traduzione di Roberta Barbato
, 2018
184 pagine, bianco e nero, brossurato – 18,00 €
ISBN 9788899524326

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