Si è svolta martedì 21 aprile 2015 a Roma, all’interno della Libreria Feltrinelli della Galleria Colonna, la presentazione de Lo scultore, edito dalla Bao, ultimo lavoro di Scott McCloud, noto studioso e autore di fumetti, prima tappa di un tour di presentazione che toccherà altri capoluoghi italiani.
L’opera si presenta come un lavoro corposo che ha richiesto molti anni di gestazione e che ha riscosso notevoli elogi da parte di tutta la comunità della nona arte, basti pensare a Neil Gaiman che in uno suo tweet ha affermato come, dopo averne letto duecento pagine, si sia ritrovato a piangere.
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Scott McCloud, coadiuvato da Michele Foschini, patron della Bao, ha iniziato subito a raccontare la genesi del fumetto: l’idea gli è venuta circa venticinque anni fa e inizialmente trattava i grandi temi tipici della gioventù, l’arte e la capacità di plasmare il mondo circostante, il fallimento, la morte, l’amore, tutti affrontati in maniera “eroica” con il piglio caratteristico di quell’età. Ha continuato dicendo che cinque anni fa l’idea continuava a frullargli in testa e che, non potendo più trattenerla, iniziò a lavorarci sopra.
C’erano però quei venticinque anni in mezzo che facevano la differenza: quel lasso temporale, quel periodo di “fermentazione” è diventato un punto di forza del racconto. Per dirla con le parole dell’autore:
I giovani uomini raccontano storie sui grandi temi, gli uomini anziani raccontano storie sulle piccole cose. Io ho voluto vedere se riuscivo a scrivere una storia sui grandi temi e le piccole cose e se riuscivo a farle funzionare insieme.
L’autore ha proseguito poi raccontando del suo rapporto con l’editore americano e del suo sistema di lavoro, di come sottoponga tutte le sue opere a un gruppo di fidati e spietati amici, che gli suggeriscono tutte le modifiche da apportare. McCloud ha spiegato come la sua spinta creativa nasca dalla voglia di fare qualcosa che non sia mai stato realizzato prima, visto che il suo lavoro di critico gli permette di visualizzare bene cosa già sia stato realizzato. Ha raccontato della necessità di fondere insieme le due “grandi anime” del fumetto statunitense: quella mainstream supereroistica e quella underground legata alle graphic novel autobiografiche e più intimiste.
Questa operazione di fusione ne Lo scultore si spinge ancora più in là, oltre i confini nazionali. L’autore ha così parlato di come sia stato affascinato dai fumetti giapponesi, sin dal 1992, e di come abbia tentato di far coesistere le tecniche proprie dei manga, volte a coinvolgere molto profondamente il lettore, con la “tradizione di costruzione dei mondi” tipica del fumetto franco belga.
Mentre le domande proseguono, si è scoperto come il protagonista non sia ispirato a un giovane Gaiman, ma sia invece un vecchio amico della moglie di McCloud, unito ovviamente a una parte autobiografica e siamo venuti a sapere che, invece, il personaggio di Meg, coprotagonista della storia, è fortemente ispirato da Ivy, la compagna di Scott. L’autore si è rivelato un ottimo oratore interponendo l’ironia all’esegesi, nonostante Foschini abbia cercato di “rubargli” la scena.
Le domande si sono susseguite, tutte su un buon livello, McCloud “rifiuta” il titolo di “creatore del fumetto non narrativo”, spiegando come già Art Spiegelman abbia affrontato prima di lui il genere. Si parla a tal proposito del fumetto su Google Chrome; si affronta il ruolo preponderante della vista, ma anche come la sostanza del fumetto risieda in ciò che non si vede, nello spazio tra le vignette, nello spazio bianco, in quel mondo invisibile che fa scattare la nostra immaginazione.
Quando gli viene chiesto se preferisca una riduzione cinematografica che sia fedele ma compressa, piuttosto che una che sia invece liberamente ispirata, ha detto che ogni lavoro ha le sue precise caratteristiche e che quindi è preferibile una riduzione liberamente ispirata dove siano mantenuti gli aspetti che funzionano con il nuovo media e siano abbandonati quelli che non funzionano. Si è lasciato anche andare a una piccola anticipazione rivelando che Lo scultore è stato opzionato dalla Sony Picture. Ha proseguito criticando il formato classico delle 23 pagine dei fumetti seriali: secondo McCloud il problema non sarebbe compiacere o meno il pubblico, replicare all’infinito uno stesso dispositivo, quanto piuttosto voler inserire dentro a quelle 23 pagine troppi concetti o troppe emozioni, impoverendo entrambi.
La domanda conclusiva è stata sulla scelta di quell’unico colore (Pantone 653) che caratterizza Lo scultore. Dopo aver ironizzato sulla sua pessima capacità di scegliere i colori, Scott McCloud ha spiegato che aveva bisogno di una tonalità che facesse da ponte tra il bianco e nero, così da rendere le immagini più comunicative. Grazie a quell’unico colore l’autore è riuscito a rendere volumi e forme, ma soprattutto è riuscito, per dirla con le sue parole:
a far sì che aprendo una qualunque pagina de Lo scultore invece di vedere linee e forme e disegni, il lettore vede persone, oggetti, emozioni e luoghi .
Per questo libro ha voluto che l’autore andasse in secondo piano, che il lettore fosse risucchiato dalla storia e si sentisse coinvolto in prima persona.
Si è trattata di una presentazione molto interessante per i concetti emersi, come raramente se ne vedono. L’unica pecca è stata l’orario di chiusura della libreria, che ha, di fatto, impedito ad alcuni dei presenti di avere lo schizzo per cui stavano facendo la fila da un paio d’ore, accadimento per cui il povero McCloud si è veramente rattristato a dimostrazione della sua passione sincera per questa forma d’arte.