Tutti i bambini, tranne uno, crescono. Inizia così, con la voce del narratore che accompagna il lettore per tutta l’opera, Peter Pan pubblicato da Edizioni NPE nella collana Clouds.
Sceneggiato e disegnato da Stref (nome d’arte del disegnatore scozzese Stephen White), con colori di Fin Cramb, il libro è proposto in una bella edizione cartonata e non rappresenta né un prequel, né un sequel, né una reinterpretazione dell’opera originale. Si tratta invece della versione a fumetti della fiaba classica che Sir James Matthew Barrie portò in scena come piéce teatrale nel 1904 con il titolo Peter Pan – il ragazzo che non voleva crescere. Lo spettacolo derivava in parte dal romanzo L’uccellino bianco del 1902 (nel quale Peter compare per la prima volta) e fu in seguito riscritto e pubblicato come romanzo: nel 1906 con il titolo Peter Pan nei Giardini di Kensington e nel 1911, dopo ulteriori rivisitazioni della trama, come Peter e Wendy.
Va ricordato che Barrie, nel 1929, donò i diritti del copyright di Peter Pan al Great Ormond Street Hospital, il primo ospedale pediatrico d’Inghilterra, nei pressi del quale l’autore visse durante i suoi primi anni londinesi.
Stref, che per realizzare questa graphic novel ha dedicato anni di ricerca negli stessi luoghi dove Barrie (nato a Kirriemuir, in Scozia) visse e fu ispirato da ragazzo, lascia intuire subito la distanza che corre fra il suo lavoro e l’immaginario visivo e concettuale imposto dalla Disney con Le avventure di Peter Pan, il classico animato del 1953. Lo fa sia attraverso i testi, siano essi i dialoghi dei personaggi o le didascalie del narratore onnisciente, sia con i disegni. Il tono scelto da Stref è infatti quello sfrontato, cinico e a tratti crudo della fiaba di Barrie: lo dimostra ad esempio l’ultima vignetta della prima tavola, con il narratore che spiega come “i due anni – età in cui si acquisisce la consapevolezza della crescita – sono l’inizio della fine”.
Tutto il libro evita qualsiasi operazione di alleggerimento o smussatura delle tematiche e degli elementi emotivi più difficili da trattare, come invecchiare, l’oblio dei genitori o il narcisismo egocentrico di Peter. Non per questo Stref rifugge gli elementi tradizionali della fiaba, cioè quelle componenti puramente fantastiche, ma spesso riconducibili al vissuto di Barrie, che hanno reso celebre l’opera: Peter viene separato dalla sua ombra e cerca di riattaccarsela con il sapone, i baci diventano bottoni da scambiare, il primo sorriso del primo bambino, spezzandosi, ha dato vita alle fate, che possono salvarsi solo se i bimbi credono in loro e via dicendo. Su questi elementi, che nonostante gli oltre cento anni trascorsi mantengono immutata tutta la loro potenza immaginifica, l’autore àncora la trama dimostrando che proprio la fantasia, se bene utilizzata, suscita emozioni e coinvolge più di un’oculata gestione delle tecniche della narratologia.
È per questo che, anche per chi ha letto e riletto il romanzo originale o visto e rivisto i vari adattamenti cinematografici (non tutti all’altezza), la versione a fumetti di Peter Pan risulta ancora godibile. È un piacere, pur conoscendo i risvolti della trama, ritrovare Wendy, Gianni e Michele, la signora Darling, il papà Agenore e il cane bambinaia Nana. E poi l’Isola che non c’è, Capitan Uncino, la sua Jolly Roger, Spugna, il coccodrillo con la sveglia, le sirene, gli indiani, le belve feroci, Campanellino e i bimbi sperduti. Tutto ruota come sempre intorno a Peter, o almeno lui crede sia così: il bambino che non vuole crescere è sarcastico, impertinente, spiritoso e brillante come sempre, sia nelle sequenze descrittive sia in quelle di azione, restando sempre il fulcro di una trama sfaccettata che si presta a diversi livelli di lettura: da quello più divertente, con le varie peripezie compiute fra sirene, assedi dei pirati e litigi con Campanellino, a quelli più profondi e metaforici come il desiderio di restare bambini che si scontra con l’inevitabilità della crescita, o il bisogno quasi morboso di una figura materna.
Stref utilizza una tavola a tre o quattro strisce con vignette regolari, e sfrutta un segno pulito con una linea sottile. La stilizzazione dei personaggi risulta adatta al genere fiabesco ed è evidente la ricerca svolta per rendere al meglio le ambientazioni della Londra vittoriana, con grande attenzione alle architetture esterne, all’arredamento (ad esempio le carte da parati) e al vestiario. Proprio riguardo l’abbigliamento va detto che qualcuno, abituato al costume tipicamente verde di Peter, potrebbe non apprezzare la tunica marrone qui indossata dal protagonista.
Spiccano invece alcune tavole con composizioni particolarmente ispirate e utili alla narrazione: la 19 sfrutta ad esempio un’immagine come sfondo con incastonate vignette su ciascun lato, a sottolineare un momento di frattura fra Wendy, rivolta fra l’altro verso l’esterno della pagina, e Peter; la 20, con gli spazi bianchi che disegnano un ciondolo al centro della tavola, lo stesso che poi Wendy mette al collo. Molto evocative anche alcune pagine costruite intorno a una serie di vignette verticali, abbinate al volo dei protagonisti, o a suggestivi campi lunghi e riprese dall’alto. Non sfugge una certa staticità nel disegno, probabilmente ricercata dall’autore, che rende ogni singola vignetta di Peter Pan quasi un piccolo dipinto, da leggere in sequenza ma sul quale ci si può anche soffermare. Per questo motivo le scene più movimentate possono apparire penalizzate o poco dinamiche, almeno per chi è abituato a un genere di fumetto moderno in cui l’azione è frenetica, basata sull’intensità, su linee cinetiche e prospettive vertiginose.
Per i colori, Fin Cramb sceglie tinte luminose che esaltano il disegno dettagliato di Stref. La tavola risulta ariosa e le ombreggiature sono quasi timide, nascoste, ma contribuiscono ad aumentare i volumi dei personaggi e conferiscono maggiore profondità agli sfondi, spesso molto particolareggiati. La colorazione è determinante per il volo di Campanellino, che sembra una minuscola stella cometa impazzita.
Peter Pan può apparire come un fumetto d’altri tempi, per via della recitazione quasi teatrale dei personaggi (soprattutto Uncino), e delle didascalie che sostengono costantemente la narrazione. Questo tipo di impostazione è però voluta e ricercata dall’autore, la cui passione per l’opera originale trasuda da ogni pagina, rendendo il tutto accattivante e per nulla anacronistico. Il risultato è che l’intero potenziale della fiaba viene espresso: sia il libro originale di Barrie, sia la graphic novel di Stref sono letture in grado di conquistare bambini e adulti, in modi ovviamente differenti: da piccoli ci si riconosce in Peter, con l’esaltante sensazione di poter smettere di crescere e restare un eterno bambino desideroso di ascoltare storie e vivere avventure; da adulti si compie il tentativo di immedesimarsi ancora con Peter, ma si è invece costretti a farlo con Wendy, in un finale che è sempre pronto a colpire al cuore. Perché Wendy si accorge di essere invecchiata. E di non saper più volare.
Ma la fiaba ricomincia: Peter Pan giocherà anche con la figlia di Wendy, e poi con sua nipote e così via, all’infinito.
Abbiamo parlato di:
Peter Pan
Stref, Cramb Fin
Traduzione di smoky man
Edizioni NPE, 2022
104 pagine, cartonato, a colori – 19,90 €
ISBN: 9788894818932
Christian
18 Marzo 2022 a 16:20
Un vero capolavoro di J.M. Barrie. Se oltre la bella graphic novel voleste avventurarvi nella lettura del romanzo originale de L’uccellino bianco, segnalo la curatissima edizione uscita del 2020 per Marsilio nella superba traduzione di Carla Vannuccini.