Otto Gabos: Egon Schiele e l’ossessione del corpo

Otto Gabos: Egon Schiele e l’ossessione del corpo

Egon Schiele è stato, nella sua seppur breve vita, una delle figure artistiche più di rottura del primo Novecento. Otto Gabos, con la sensibilità che lo contraddistingue, riesce a restituirne opera e ossessioni in una biografia a fumetti non convenzionale, ma assolutamente in linea con la poetica del pittore austriaco.

Non è un compito facile approcciarsi all’opera e all’estetica del pittore Egon Schiele con l’obiettivo di scriverne una biografia a fumetti. Otto Gabos si è subito reso conto di ciò, come ammette nella postfazione del suo ultimo lavoro Egon Schiele – Il corpo struggente, edito da Centauria Libri.

Confrontarsi con un’altra vita, entrarci, farsi risucchiare senza affogare non è molto facile” – mi raccontava Gabos in una mail di qualche tempo fa. Ancor di più se quell’esistenza appartiene a una delle figure più controverse della pittura del Novecento, un artista dalla vita effimera che, morto a soli ventotto anni, ha lasciato un corpus di opere impressionante: circa 340 dipinti e qualcosa come 2800 tra acquerelli e schizzi.

Schiele, per Gabos – lo dice lui stesso – è stata un’ossessione e una folgorazione, fin dalla fine del liceo. Il fumettista di origini sarde ma da anni “naturalizzato” bolognese ha vissuto quasi come un’esigenza di auto-analisi la stesura di questa biografia e il profondo studio propedeutico al lavoro al tavolo da disegno gli ha permesso di trovare la strada più efficace per raccontare la vita del pittore austriaco.

Un racconto puramente biografico non avrebbe permesso al lettore di capire la poetica, la grandezza artistica e la tragicità di Schiele. Era necessaria una chiave di volta, che Gabos ha individuato nella più grande fra le ossessioni che sconvolsero la breve vita del pittore: il corpo umano. Da qui il titolo, Il corpo struggente, e anche la struttura narrativa scelta per l’opera.

Gabos struttura il suo racconto su due piani narrativi che, pur correndo su binari paralleli e ben distinti nelle pagine del libro, grazie al loro contenuto si fondono nella mente del lettore durante la lettura. Da una parte troviamo il racconto in prima persona dello stesso Schiele, che descrive i momenti e gli episodi fondamentali della propria esistenza; dall’altra, la narrazione in terza persona che racconta – con taglio quasi divulgativo – le vicende storiche e artistiche tra le quali il pittore si mosse, fondamentali per la sua poetica e la sua esistenza.
Il risultato è “un flusso ondivago, a tratti rapsodico” come lo definisce lo stesso autore, un’immagine che coglie perfettamente il ritmo che accompagna la lettura.

Il racconto in soggettiva di Schiele si focalizza sui momenti fondamentali della sua vita e di quella della sua famiglia, sulla figura del padre capostazione – mancato troppo presto – e, soprattutto, svela i vari significati sottesi alla poetica e alla produzione del pittore, primo fra tutti il significato legato all’esigenza di ritrarre i corpi, in un lavoro quasi maniacale che costò a Schiele anche un’accusa di pornografia minorile e la prigione.
Non meno importanti, dalle parole del pittore vengono fuori il rapporto con Wally Neuzil, sua musa, modella e amante e l’altrettanto breve e intenso legame con la moglie Edith Harms che, incinta di sei mesi, morì stroncata dalla febbre spagnola nel 1918, tre giorni prima di Schiele stesso, che l’aveva accudita e ritratta più volte durante l’agonia della malattia.

È la figura umana l’elemento portante dell’intera narrazione, soprattutto in questa parte dell’opera. Gabos fa parlare Schiele sulle motivazioni e sui significati dietro le motivazioni della sua ossessione per i corpi umani (“Io voglio il corpo, lo voglio descrivere fino all’estremo”) e, al contempo, riempie le pagine di decine di ritratti e autoritratti realizzati riproducendo quelli prodotti dal pittore.

È il corpo il filtro attraverso il quale Schiele vede la realtà nella propria poetica: la potenza che scaturisce dalle pose, soprattutto dalle più estreme, è la risultante dell’energia che muove il mondo. Quello del pittore non è uno sguardo pornografico, anzi all’opposto, la sua ricerca del ritratto perfetto lo avvicina quasi a uno scienziato che con i suoi esperimenti testa la natura e la realtà.

Il piano narrativo in terza persona si concentra prima di tutto sulla Vienna dei primi anni del ‘900, crocevia culturale e politico del Vecchio Continente e, allo stesso tempo, metropoli destinata a un’irreversibile declino trascinata nel baratro del primo conflitto mondiale dall’impero austro-ungarico di cui era capitale.

Eppure, in quei primi venti anni del XX secolo, Vienna ospitò uno dei movimenti artistici fondamentali per l’intera storia dell’arte: la cosiddetta Wiener Secession, la Secessione Viennese.
Essa fu un movimento creato da 19 artisti, tra pittori e architetti, che rivendicarono una nuova poetica e una nuova arte lontane da quelle insegnate nelle accademia di belle arti del tempo, più vicina al contemporaneo e che mirava a una fusione delle arti stesse.
Insieme a Egon Schiele, i protagonisti della Secessione furono figure del calibro di Gustav Klimt, Otto Wagner, Jospeh Olbrich e Josef Hoffmann, molti di loro accomunati dal destino di una morte tragica che pose termine alle loro vite nel 1918.

Di tutto questo Gabos parla nelle pagine nelle quali illustra al lettore la società nella quale si muoveva Schiele, ma non si limita solo al racconto dell’atmosfera artistica dei tempi. L’autore illustra al lettore con dovizia di particolare l’impatto che ebbe sul mondo la Prima Guerra Mondiale, il primo conflitto universale che non si risolse solo in uno scontro tra eserciti – come era avvenuto nelle guerre combattute fino ad allora  – ma che coinvolse le popolazioni civili di buona parte dell’Europa continentale, soprattutto in alcune sue conseguenze come la terribile pandemia di influenza Spagnola.

Questo doppio flusso narrativo è ben scandito anche da un punto di vista grafico. Il racconto in soggettiva di Schiele viene strutturato da Gabos in tavole che si basano su una griglia più o meno variabile che accompagna l’azione insieme ai dialoghi tra i personaggi e le didascalie. Non mancano anche le splash page composte con corpi e primi piani scontornati che compongono pagine che paiono venire fuori da un quaderno di schizzi e appunti di un pittore, proprio come le decine riempiti da Schiele durante la sua esistenza.

A questa struttura fa da controcanto quella usata nelle parti “divulgative”, le cui tavole assomigliano più a illustrazioni dei libri di storia e di storia dell’arte, con i disegni che accompagnano le notizie storiche e artistiche vergate da Gabos. Proprio l’uso del lettering è uno degli elementi che il fumettista usa per distinguere nettamente i due piani narrativi. Uno stampatello maiuscolo preciso dà voce a Schiele, mentre un corsivo minuscolo viene usato nelle parti in terza persona, che necessitano di maggiori parti scritte per spiegare eventi storici e personaggi artistici.

Attraverso lo stile e il colore invece Gabos unisce le due parti in un unico omogeneo. Se si conoscono i precedenti lavori dell’autore, la sua cifra personale è riconoscibilissima. Tuttavia, egli al contempo sembra avvicinare il suo tratto allo stile spigoloso e nervoso tipico di Schiele, in una sorta di immedesimazione tra mezzo narrativo e oggetto narrato. È una scelta molto frequente ultimamente, specie quando il fumetto si mette a raccontare vite di artisti e pittori: di recente è accaduto, per esempio con le biografie di Magritte e Gaugin.

Anche Gabos, volontariamente o meno, si fa influenzare dallo stile del pittore raccontato, senza rinunciare al suo metodo di lavoro, però, che ha una sua peculiarità nell’uso di più tecniche di rappresentazione, dalla china all’acquerello, passando per il carboncino, fino ai pastelli. Una varietà che non risulta disomogenea, grazie al controllo artistico che Gabos riesce ad avere su tutte le pagine del fumetto.

I colori spenti, quello spettro che si muove tra i toni del grigio, del verde e del marrone – presenti in maniera preponderante anche nell’opera di Schiele, soprattutto in ritratti e autoritratti -, la fanno da padrone nell’elemento cromatico dell’opera.
Non mancano certo i rossi, i verdi e i gialli – specie quando nelle pagine si affaccia Gustav Klimt o nei passaggi più sensuali con protagonista la musa Wally. Ma la preponderanza dei toni spenti riflette quell’atmosfera di decadenza e il baratro che stava per aprirsi per l’intera Europa nel XX secolo e che avrebbe inghiottito Egon Schiele e, dopo di lui, tante personalità artistiche del Novecento.

Schiele nasce da una doppia esigenza personale di Gabos, quella di lavorare sul genere biografico e quella di “omaggiare” (o forse meglio, venire a patti) con un artista che lo ha colpito e ossessionato nella tarda adolescenza e dunque all’inizio del suo percorso professionale.
Da un punto di vista di stile, l’opera si colloca pienamente nel più recente percorso del fumettista, con l’uso di più tecniche grafiche e pittoriche all’interno della stessa opera – a seconda dello stato d’animo da trasmettere o, ancora, del proprio stato d’animo nel momento della realizzazione di quelle pagine, elemento già evidente e ampiamente usato anche in L’illusione della terraferma.

Il corpo struggente è dunque un’opera viva e sentita, attraverso le cui pagine si può percepire l’impegno e il travaglio artistico e psicologico che ha caratterizzato tanto la figura di Schiele, quanto la ricerca e il lavoro di Otto Gabos nella realizzazione di quest’opera.
“Una discesa verticale assolutamente totalizzante. Una tempesta”.

Abbiamo parlato di:
Egon Schiele – Il corpo struggente
Otto Gabos
Centauria Libri, 2018
112 pagine, cartonato, colori – 19,90 €
ISBN:9788869212512

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