Un lavoro durato “quasi quindici anni”. Questo Otto Gabos affermava nella postfazione di Atlantica, primo volume del Viaggiatore Distante uscito nel 2016 per Coconino Press e che a sua volta raccoglieva, rielaborava e ampliava il contenuto di due volumi usciti per Black Velvet negli anni 0 del Duemila.
Quegli anni sono diventati venti in questo 2022 che porta con sé l’uscita di Empire State, secondo e conclusivo libro del “viaggiatore distante” Romeo, alter ego dell’autore. In questo nuovo tomo, sempre edito da Coconino, Gabos porta a compimento l’arco della parabola narrativa del suo protagonista e delle varie vicende che a lui ha fatto ruotare attorno, raccontandoci (finalmente) la paternità di Romeo che si concretizza con la nascita del figlio Morgan finora conosciuto solo nelle sequenze oniriche della storia.
Proprio le sequenze oniriche sono il trait d’union tra i due volumi, poiché Gabos continua in Empire State la stessa impostazione di Atlantica, facendo iniziare ogni capitolo con un sogno/incubo di Romeo (tutti rigorosamente veri, messi su pagina dal quaderno che l’autore tiene sul suo comodino e sul quale al mattino appunta i suoi viaggi onirici della notte appena trascorsa).
Il secondo volume riprende dunque nel punto esatto in cui si concludeva il primo e ne prosegue la narrazione senza alcun salto temporale: avevamo lasciato Romeo che correva in ospedale insieme alla moglie per la nascita del suo primo figlio e lì lo ritroviamo. Tuttavia la sequenza iniziale è un flash forward con un Romeo con qualche anno in più che accompagna i suoi due figli (Morgan ha adesso una sorella più piccola) in aeroporto a prendere un volo per gli USA, per andare dai nonni materni.
Quella sequenza è una sorta di balzo quantico della narrazione, che porta il lettore a pensare (specie se genitore) quanto gli anni con i nostri figli siano attimi troppo effimeri e della cui velocità non ci rendiamo conto fino a che non sono passati. Quelle pagine – e altre temporalmente attigue che ci sono nel volume – aprono a una sorta di riflessione su come spesso siamo così concentrati su noi stessi e i nostri stati d’animo da non percepire il fluire del tempo che rende tutto – cose e persone – dinamico e in continuo divenire. È un contrasto forte alla linearità cronologica che caratterizza tutto Il viaggiatore distante e Gabos lo spiega così:
“Tra le mie tante ossessioni, una che mi assilla maggiormente è il tempo in tutte le sue forme. Con il passare degli anni ed entrando di fatto nel secondo tempo dell’esistenza terrena, questa tendenza è andata aumentando. Faccio sempre più spesso paragoni, ricognizioni, pensando a quello che ho fatto, non ho fatto, ai segni sul corpo e sul volto, all’oblio di certi momenti, all’eterno ritorno di altri.
Quando ho iniziato con il Viaggiatore mio figlio era appena nato; quando dovevo aprire il secondo volume, aveva ormai sedici anni e, quando l’ho finalmente portato a termine, ne aveva diciannove e nel mentre l’altra figlia era già arrivata a undici. Tutto troppo veloce, troppo imprendibile, inarrestabile.
Fissare un frammento futuro, se rapportato alla narrazione, diventava una presa di coscienza di questo scorrere degli anni. Non è un caso che abbia scelto il momento della partenza dei figli per un viaggio da soli in America proprio dov’era partito tutto. Il distacco come punto di arrivo ineluttabile.
Il capitolo non era programmato, è arrivato in corsa dopo che stavo riprendendo la narrazione proprio dalla scena nella nursery in ospedale. Riguardandola mi sembrava troppo brusca, quasi presuntuosa, come se dessi per scontato che il lettore fosse, dopo anni, ancora sintonizzato sulla mia stessa lunghezza d’onda. Dava per scontata una serie di meccanismi che invece andavano presentati in un altro modo e così ho aperto con l’incubo dell’esondazione dell’Arno con mio figlio già nella sua prima adolescenza, che è più sveglio e più scaltro di me, per approdare al presente in cui stavo disegnando proprio quelle tavole.
Ho ripreso il filo dove si era interrotto il primo volume dopo avere creato i presupposti con i temi centrali: affetti, paternità, crescita.”
In effetti l’inizio di Empire State è assolutamente efficace nel mettere a proprio agio chi magari ha letto Atlantica da molto tempo e ha bisogno di riallacciare i fili del discorso. Dopo l’incipit Gabos riprende l’impostazione diaristica del primo volume (che spesso, ma non sempre, si sovrappone a quella autobiografica) e tutte le diramazioni del racconto laddove si erano interrotte. Ritroviamo l’ambientazione di White Plains, nella contea di Westchester (NY), e tutti i personaggi che avevamo conosciuto nel primo volume, a cominciare da donna Acheropita Marino, l’anziana nonna della compagna di Romeo, che ospita la coppia nella propria abitazione.
La narrazione prosegue tanto nello sviluppo delle vicende quotidiane e familiari del neo papà Romeo, che prova ad abituarsi giorno dopo giorno a quel ruolo tanto temuto e che tanto lo aveva turbato in Atlantica, quanto nella trama mistery che Gabos aveva fatto partire nel volume precedente, con Romeo impegnato a investigare sulla misteriosa morte di Sal Bagatta, un architetto che quaranta anni prima aveva progettato una possibile urbanistica di Coney Island, rifiutata dall’amministrazione e poi dimenticata.
Gabos porta dunque a compimento sia il racconto autoreferenziale sia quello di genere con un tono a tratti più amaro rispetto a quello messo in campo in Atlantica e sicuramente più commovente e lirico, soprattutto nel rapporto genitoriale di Romeo e nella conclusione dell’arco narrativo ed esistenziale di donna Acheropita.
Se rimane sempre Romeo il fulcro del racconto, con il suo punto di vista che accompagna il lettore, è interessante notare come la narrazione si faccia più corale in questo secondo volume. Lo sguardo diventa più ampio e finalmente abbraccia gli altri personaggi, quasi che il protagonista raggiunga una consapevolezza interiore e che piano piano smetta di guardare solo dentro sé stesso e, in modo naturale, si apra al mondo che lo circonda e alle vicende che lo compongono. Quel mondo e quelle vicende che in Atlantica sembravano essere solo distrazioni dal proprio pensiero interiore focalizzato su sé stesso.
Gabos, con la sua straordinaria profondità, spiega così questa evoluzione narrativa:
“In Empire State il ruolo di Romeo all’interno della famiglia diventa più marginale, è emblematico il momento in cui con moglie e suocera va a comprare culla e fasciatoio. Il distacco indotto avviene in questo frangente e questo fa aumentare dubbi e insicurezze sul suo ruolo di padre. Va da sé che emergano allora altri canali di contatto con personaggi che aspettavano solo di avere maggior spazio. Il suo deambulare da flaneur diventa sempre meno estetizzante e sempre più simile a una sorta di deriva in un flusso disordinato a cui cerca di imprimere una rotta sensata. Prima andando a visitare a Staten Island il museo dedicato a Meucci e Garibaldi e poi immergendosi a Brooklyn per risolvere il mistero dell’architetto morto in circostanze tragiche.
C’è molto meno Manhattan e c’è molto di più una New York periferica a tratti sconosciuta, a tratti quasi astratta.
Questo spingersi lontano dal centro è anche un po’ prendere le distanze dal viaggio interiore. Anche i pensieri che in Atlantica facevano sempre da contrappeso al vagare, qua invece lo affrontano, lo vivono proprio nel momento. In Empire State Romeo diventa molto meno viaggiatore distante. Vive maggiormente la realtà contingente. E qui si torna di nuovo al tempo che passa. Dovendo concludere la narrazione del dittico, tutto ciò che era in sospeso doveva avviarsi verso un compimento. Ho chiuso quasi tutti i fili a parte quello di Mr. Pretzel che ho invece lasciato fluttuare nella sua ambiguità. È lui l’elemento fantastico della storia, il dubbio, l’attimo di sospensione che permette a scrittore e lettore di condurre la storia in più direzioni. L’amarezza di fondo è racchiusa soprattutto nelle cose che cambiano e spesso non in meglio, nelle esperienze che si concludono, nelle vite e negli affetti che si estinguono. La sequenza della signora Acheropita rinchiusa nella casa di riposo è emblematica e quando l’ho vissuta, perché c’ero anch’io, è stata straziante. È diventata un momento cardine che poi ritorna in un breve frammento anche nel finale. Il commiato prima del distacco che si trasforma in reliquia laica. Due anni fa se n’è andata anche mia madre e aggrapparsi a istanti ultimi, anche se devastanti, diventa comunque un ricordo formidabile che si frequenta instancabile negli anni a seguire.
Ho voluto chiudere il romanzo con il legame inesauribile tra genitore e figlio. Ho voluto in qualche modo porre l’accento su quando si smette di essere figli e si resta solo genitori. Per me è stato un passaggio tremendo che però mi ha dato la forza di correre e intraprendere questo ruolo orfano in cui confluisce la mia vita di prima e quella da adesso in poi.”
Il personaggio di Mr. Pretzel, che già nel primo volume assurge a un ruolo che trasforma la realtà di Romeo in una sorta di realismo magico, in Empire State diventa il catalizzatore poetico della vicenda, quell’elemento che il protagonista non riesce a collocare razionalmente nel suo mondo, quell’indefinito che trasforma il quotidiano in narrazione, la vita in racconto.
Per quanto forte sia il lavoro di Gabos nel romanzare la vicenda, la componente autobiografica della stessa diventa molto evidente nel secondo volume, soprattutto nella parte finale. Proprio perché i confini tra autobiografia e fiction sono estremamente sfumati, questo li rende ancora più affascinanti da esplorare per riflettere su esperienze che dal particolare di questo fumetto diventano universali.
La continuità narrativa dei due volumi trova un riflesso anche nella parte grafica del fumetto. Gabos mantiene l’estrema varietà compositiva presente già in Atlantica, accompagnata da un elevato numero di vignette che si allargano e si restringono a seconda che inquadrino scorci di paesaggi o primi piani dei volti dei personaggi. Quegli stessi volti ormai denotati da caratteristiche immediatamente riconoscibili, come i due piccoli cerchi che sono da sempre gli occhi di Romeo.
Nella bella postfazione al volume l’autore fa poi una riflessione sulla scelta grafica “non filologica” da lui adottata in Empire State rispetto al volume precedente. Per motivi di salute (un forte mal di schiena che lo tormentava) c’è stato un passaggio di testimone tra disegno analogico e digitale durante la stesura del fumetto, ma nonostante questo la sua cifra stilistica resta forte e nitida e la lettura dei due libri in sequenza non crea nell’occhio del lettore una sensazione di discontinuità. Posto che cercare di migliorare e innovarsi è sempre un elemento positivo nel corso di una carriera artistica e professionale, Gabos è arrivato a un punto del suo percorso in cui alcuni elementi grafici e di narrazione sono per lui ormai imprescindibili – e per i suoi lettori riconoscibili – e attorno a essi può continuare una ricerca artistica e una evoluzione del segno. Questa sorta di dinamica sfida continua al proprio stile, l’autore la spiega così:
“Il segno è stato uno dei tormenti di tutta la storia. Non ho idea di quante prove ho fatto prima di riuscire a produrre qualche tavola decente. Qualcuno di questi esempi fa parte di Vite. Istruzioni per l’uso, una mostra di tavole originali che mi ha visto in compagnia di Sara Colaone, Cristina Portolano e Miguel Vila alla Fondazione Sapegno di Morgex dal 28 luglio al 24 settembre 2022.
Ho provato a disegnare con il pennino americano, quello giapponese, su carta ruvida, poi liscia, con il pennello, il pennarello, e poi ancora cambiando faccia a Romeo. Non era mai come l’avevo in mente. Alla fine avevo scelto un segno ruvido, quasi barbarico, che non lasciava spazio a preziosismi.
Anche il secondo volume si è rivelato complicato alla partenza. Anche in questo caso per problemi di segno, non per l’incertezza del tratto ma più che altro per la coerenza narrativa. Volevo evitare l’effetto a volte stridente delle antologie di racconti brevi di un autore in cui l’assemblaggio delle storie mette in evidenza l’evoluzione e i cambiamenti di stile. E se in un’antologia lo si può accettare, in un romanzo unico, per quanto diluito nel tempo, io stesso faccio più fatica ad accettarlo. Ma del resto non avrebbe avuto senso ridisegnare tutto da capo e farlo imitando un me stesso che non c’è più. Così ho deciso di lasciarmi andare e disegnare come sentivo di fare e come la storia richiedeva di esprimersi. Penso che sia stata la scelta migliore e anche la più semplice. Alla fine è l’atto sul foglio che prende le decisioni. È sempre così.
Ho disegnato le matite su carta e poi, dopo averle trasferite su iPad, le ho inchiostrate in digitale usando i pennelli esattamente come la brush pen del primo volume. Non amo particolarmente gli effetti speciali e il digitale mi piace quando è invisibile. C’è da dire che non avevo mai disegnato una storia così lunga, in tutto saranno oltre 250 tavole (non le ho contate) e a rivederle in sequenza i cambiamenti di umore del segno si notano meno di quanto mi fossi immaginato.
Diciamo che il Viaggiatore è un punto di riferimento stilistico. La sua tipologia di segno torna in altre storie, anche perché Romeo è il mio doppio e si presta a dar voce e sostanza a svariate situazioni. È apparso in una cartolina su Internazionale, ma anche sulla Lettura, Scuola di Fumetto e credo che apparirà ancora in altre occasioni. Ormai è il mio diario condiviso.
Invece non penso di rinunciare a quell’atteggiamento che ho scelto a inizio carriera e che mi viene spontaneo, ovvia lasciare libera una certa natura camaleontica del segno a seconda della narrazione. Ogni storia ha un suo abito espressivo, ogni storia per me è un esordio assoluto. La ricerca per me è questo. Se così non fosse e diventasse l’esecuzione di una ricetta collaudata e magari pure apprezzata mi sentirei poco sincero ed entrerebbe in gioco il grande nemico: la noia.”
Partendo dal presupposto che resta imprescindibile la lettura di Atlantica prima di cimentarsi con le pagine di Empire State, possiamo affermare che Il viaggiatore distante, che conclude dopo due decenni il suo percorso, rappresenta una delle pietre miliari del cammino professionale di Otto Gabos. L’autore non chiude però la porta a un ritorno futuro di Romeo che, per il momento, ha posto la parola fine a questa parte del suo viaggio. Un viaggio che affascina e coinvolge perché, a conti fatti, non è poi così distante dalla realtà dell’esistenza di ciascuno di noi.
Abbiamo parlato di:
Il viaggiatore distante – Empire State
Otto Gabos
Coconino Press, 2022
156 pagine, brossurato, bicromia – 20,00 €
ISBN: 9788876183805
[Le parole di Otto Gabos sono state raccolte, via mail, nel mese di agosto 2022. Si ringrazia l’autore per la disponibilità]
Il Viaggiatore Distante 1 – L’Inverno Atlantico
Il Viaggiatore Distante #2 – Esilio Interiore