La mia storia personale con Bone è una storia di passione molto speciale. È la storia di un ritorno di fiamma di quelli seri per il fumetto. Il primo amore (che è quello che non si dovrebbe scordare mai) risaliva a tanto tempo prima, a quando ero bambino e scoprivo le storie a fumetti di Topolino, Superman e l’Uomo Ragno, Tex. Poi, col passare del tempo, con i fumetti mi sono prima fidanzato e poi sposato. Sono diventati la mia vita quotidiana e quindi, con tutto l’affetto possibile, il rapporto è andato avanti. Poi è arrivato Bone e mi ha ricordato del perché mi piacevano i fumetti. Non che me ne fossi dimenticato ma, un po’ come avviene nei matrimoni, iniziavo a dare l’amore per scontato. Fare e leggere fumetti era la normalità; li facevo sul lavoro, li leggevo dopo il lavoro. I personaggi di Jeff Smith, nel 1995, arrivarono a ricordarmi anche perché.
Quello con Bone, è stato un incontro del tutto casuale; avevo letto del lavoro di Smith su qualche rivista americana e quindi, attraverso alcune fumetterie romane ero riuscito a recuperare i primi numeri in lingua originale usciti agli inizi degli anni novanta. Il disegno, la storia, le invenzioni che linguistiche e grafiche che c’erano dentro e l’idea del progetto: tutto raccontava meraviglia e gioia da parte dell’autore. La gioia era quella della narrazione e il piacere, per me lettore, era poter partecipare a quell’esperienza dove capivi che niente era improvvisato. Non capita spesso di leggere una storia a fumetti dove, in una manciata di pagine, senti di avere a che fare con personaggi completi, “tondi” e vivi. Con quegli albi tra le mani cercavo di rivelare il verbo a chi mi stava intorno; era impensabile che quella serie e quei personaggi fossero sconosciuti all’universo.
Con uno slancio da pellegrino del Mayflower mi catapultai così in redazione da Macchia Nera, la casa editrice per cui, dieci anni fa, scrivevo le storie di Lupo Alberto e le strissie dell’Omino Bufo. Lì il potere di Bone si scateno’ in maniera contagiosa e, in poco tempo, a sostenerlo c’erano Stefania Bitta, che seguiva l’apparato redazionale, Paolo Altibrandi, grandissimo grafico, Michela Orazzini, che si sarebbe sobbarcata con me il lavoro di traduzione e supervisione, e, infine, l’editore Francesco Coniglio. Convinto anche Silver (il grande capo), partì la trattativa con Vijaya Iyer (che allora come oggi seguiva tutta la parte burocratica della Cartoon Books, la casa editrice di Bone) e, poco tempo dopo, arrivò la notizia tanto attesa.
L’anno dopo, nel giugno 1996 il primo numero di Bone arrivò nelle edicole e nelle fumetterie. In quel periodo di superamore riuscii a raccogliere tutto quello che c’era da raccogliere in termini di gadget, statuine (le primissime) gli albetti speciali, le cards allegate con la rivista “Combo”, il flip book arrivando a organizzare addirittura per un brevissimo momento, una sorta di catalogo per corrispondenza per acquistare tramite Macchia Nera il merchandising di Bone (un’operazione commerciale assolutamente in perdita per l’editore italiano che però permise ai fan di impadronirsi a caro prezzo delle leggendarie magliette, dei poster, delle spillette e di tante altre cose firmate Smith…). Probabilmente all’epoca ero pazzo ma chi mi seguiva nella casa editrice non stava meglio di me.
A coronare quell’idillio arrivò infine l’incontro con Jeff Smith e sua moglie Vijaya al salone di Lucca. La prima cosa che facemmo non fu parlare di Bone ma correre in un negozio di biancheria per comperare degli effetti personali di prima necessità: il bagaglio della famiglia Smith era andato smarrito e per questa ragione mi trovai a interrogare Jeff sulla tipologia delle sue mutande per esporre meglio alla commessa del negozio le sue richieste. Malgrado tutto furono bei momenti, tra i più belli di tutta la mia vita professionale (figuratevi gli altri). Il signore e la signora Smith sono davvero due persone eccezionali; personalmente sono un esempio di talento, dedizione e passione uniti a una capacità imprenditoriale che li ha portati a investire tutto nella propria creazione, lavorando ogni giorno perché questa crescesse.
Probabilmente non riuscirò mai a realizzare una serie stupefacente e delicata come Bone ma almeno, da questa esperienza, ho capito con chiarezza che cosa serve per continuare a fare i fumetti tutti i santi giorni, qual è lo slancio giusto indispensabile per non abbrutirsi e non cadere nella routine della paginetta. Non mi è più capitato di provare tanta apprensione e amore paterno per una serie a fumetti, proprio perché Bone nasceva come una cosa fragile che diventava via via sempre più autonoma e autosufficiente. La vita editoriale del personaggio, in America come in Italia, non è stata delle più facili. Bone, nel nostro paese, è rimasta per lungo tempo la classica serie bellissima che non riesce a conquistare il successo che merita, bissando il destino del Pogo di Kelly che tanta ispirazione aveva fornito a Smith. Negli Stati Uniti, dopo dieci anni di lavoro e al di là dei premi e delle belle parole, sta raccogliendo oggi il riscontro di pubblico adeguato grazie all’edizione a colori della Scholastic e, dopo alcune vicissitudini nostrane, spero davvero che con le edizioni Panini il vecchio Bone possa arrivare dove merita.
Francesco Artibani (Roma, 1968) disegnatore e sceneggiatore con esperienze sia nel mondo del fumetto che in quello dell’animazione, collabora con la Disney italiana sin dal 1991, anno in cui inizia a realizzare sceneggiature per Topolino, X-Mickey, Pk e altre collane. Ha sceneggiato storie di Lupo Alberto ed e’ stato curatore e traduttore delle prime edizioni italiane di Bone e dei Simpson editi da Macchia Nera. In anni piu’ recenti scrive per Witch e nel 2002 e’ co-creatore con Katja Centomo del granderande successo Monster Allergy, la cui versione animata realizzata da Rainbow e’ attualmente in programmazione su Rai Due. Nel 2004 sempre per la Disney ha creato la serie fantascientifica per ragazzi Kylion. Assieme a Katja Centomo ha fondato e gestisce lsce l’agenzia Red Whale.