Valla a capire sta’ mocciosa! Quando aveva quei mozziconi di ala si buttava giù da qualsiasi altezza. Ora che è perfettamente equipaggiata NON VOLA!”
[Giulio Cesare, chiamato “Il Nonno”]
Leila Marzocchi, bolognese, classe 1985, è illustratrice per l’infanzia e per il teatro, scenografa e fumettista pubblicata, oltre che in Italia, anche in Giappone e negli Stati Uniti.
Tra i suoi titoli sono presenti sia opere autonome, quali Luna, L’Enigma, Dieci elegie per un ossobuco, Il diario del verme del pino, L’ombra non è mai così lontana, che La ballata di Hambone, basata sui testi di Igort. Nel 2007 riceve il prestigioso premio Lo Straniero e inizia la collaborazione col Teatro delle Albe presso cui realizza la mostra Harpage, il manifesto per L’Avaro di Molière, l’immagine per il Festival di Santarcangelo 41 e il cortometraggio Gandersheim, in Rosvita, libro-dvd di Luca Sossella editore.
Il suo capolavoro, Niger, ha ricevuto il Gran Premio della Giuria al Festival di Lucca Comics 2017. Il mistero del ramo suicida (Oblomov 2018), in cui ritornano luoghi e personaggi di Niger, è stata serializzata su Linus. Collabora con la rivista Internazionale e con La Lettura del Corriere della Sera.
Il volume di Niger raccoglie i sei albi sui quali era stata originariamente pubblicata la storia. Vi si racconta la vicenda di Pupa, una strana creatura finita in una casa sull’albero, in mezzo a un bosco. Piccola e indifesa, viene adottata e custodita da un bizzarro gruppo di uccelli notturni, che la la segue fino all’età adulta.
Il fumetto, sebbene incentrato sulla piccola protagonista, ha una dimensione corale, di cui è espressione il sistema dei personaggi.
Al piccolo stormo dei rapaci alati, che s’incarica sin dall’inizio della cura della nuova arrivata, si uniscono anche un albero di tasso, chiamato Taxus; una Mano di Fatima, ansiosa custode della vita e delle norme della selva; l’arcigno Giulio Cesare, soprannominato Il nonno, altro volatile, stabilitosi nella casa dove dimora la protagonista perché sfrattato dal proprio nido da un’agguerrita cricca di scoiattoli che vantano diritti d’usucapione sulla tana del povero uccello, caratterizzato dal puzzo di zolfo per essere stato troppo tempo vicino alle Terre sulfuree; e dal Capitano Achab, ancora un rapace, privato d’un’ala e costretto a cibarsi di viscide rane.
A proposito dei personaggi, spicca, per particolarità, la Mano di Fatima: custode del bosco, potrebbe rappresentare la manifestazione di un’entità superiore; tuttavia, per effetto delle ansie e della pignoleria che la caratterizzano (e delle quali si lamentano i rapaci convocati a frequenti assemblee), questa è integrata nel coro delle figure che abitano le selve di Niger: potrebbe trattarsi di un simbolo o di un’allegoria, ma i difetti che l’autrice le attribuisce la rendono stranamente plausibile nella finzione del racconto.
All’assortito gruppo dei comprimari, si affiancano personaggi secondari, ma ricorrenti, fra ùi quali spiccano La lumaca sonnambula e Il ragno delle rovine di Ponente, i cui dialoghi rappresentano una sorta di cantuccio da cui prendono avvio osservazioni e commenti sulle vicende principali.
Importante anche la comparsa di uno “strano animale”, di difficile identificazione per i volatili del bosco, ovvero una tartaruga, portata per errore da uno dei primi protagonisti nel proprio nido quand’era ancora uovo, visto l’interesse per pietre tonde e per rami secchi, con i quali il poco accorto rapace abbellisce la propria dimora. Questa tartaruga rappresenta un’eccezione alla maggior parte degli animali presenti nella vicenda, appartenenti per lo più al mondo dei boschi che non a quello equoreo.
A questi altri personaggi bisogna affiancare figure meno ricorrenti, ma importanti per lo sviluppo della trama: ad esempio, è grazie a un’arpia che Pupa capisce di poter volare; così come è proprio ad un ragno predatore, pronto a divorare la piccola protagonista, che si deve l’invenzione del nome “Pupa”.
Il sistema dei personaggi è quindi ricco e variegato e pochi tratti caratteriali o fisici (quali il puzzo di zolfo) danno personalità a ciascuno anche grazie a semplici e quotidiane manie, capaci di strappare un sorriso. Spicca, in questo senso, Gualtiero, una cinciallegra dallo stomaco delicato, costretta a uccidere a beccate un malintenzionato ragno e, poi, a beccare un’orribile scolopendra, sempre per salvare l’indifesa creatura.
La storia, nella sua essenza, è una sorta di fiaba selvatica, di un’oscurità suggerita dalla sfondo prevalentemente nero delle tavole e dalla presenza di animali soprattutto notturni. Si tratta di una oscurità umbratile, che non ha nulla di orrorifico né di pauroso, ma che suggerisce una tensione di fondo, più un limite che un effettivo turbamento. Per questa essenzialità fiabesca, la storia può anche accostarsi al romanzo di formazione, vista la natura della protagonista, così diversa dal resto delle creature del bosco da sviluppare dubbi sulla propria identità.
Tuttavia, basta poco per capire che oltre la linearità degli eventi si cela una trama più profonda: tutta la storia è intrisa di rimandi al mondo delle metamorfosi (la stessa Pupa sperimenta diversi stadi di crescita e di mutamenti), trasformazioni che richiedono un allineamento anche nominale: quando la protagonista cresce, chiede di essere chiamata in un altro modo e non più con l’infantile nome usato fino a quel momento.
Altro fattore degno di nota è la relazione che alcune creature instaurano con il mondo circostante: ad esempio, la tartaruga comunica facendo comparire delle rune sul carapace. Se si considera l’antichità dei rettili rispetto al mondo dei mammiferi e dei volatili, pare esserci un legame ben specifico fra un animale antico come la tartaruga e l’uso di una lingua a così alto grado di mistero e arcaicità.
Notevoli anche alcuni parallelismi presenti nella storia: Taxus diventa sempre più debole, di contro alla crescita e alla potenza in aumento della protagonista.
Ancora la tartaruga suggerisce una lettura doppia: all’inizio, quando sguscia dall’uovo, le pinne vengono scambiate per ali e il suo nuoto (quando si scopre che il suo habitat è nell’acqua) è simile al volo degli uccelli. Altro parallelismo è quello che intercorre fra gli animali legati alla sfera del cielo, in genere portatori di salvezza e di aiuto, e gli insetti e gli animali terrigeni, i quali sembrano recare messaggi di morte. In questi casi, però, la faccenda si complica (o si arricchisce), perché nell’incontro con i potenziali predatori la protagonista ottiene sempre qualcosa, che ne rimarca l’identità o ne indica la crescita.
Infine, bisogna rilevare un tipo specifico di parallelismo caratterizzato dal segno dell’opposizione: curioso che Pupa riceva lezioni di volo dall’unico uccello che non può volare, il Capitano Achab, e curiosa la relazione che si crea fra i due.
Merita una considerazione a sé la tecnica alla base dei disegni del fumetto: l’autrice ricorre allo scratchboard, cioè dei disegni ricavato per azione del graffio; tuttavia, Leila Marzocchi personalizza ulteriormente questa pratica dato che costruisce la propria carta, prendendo un supporto cartaceo di un certo spessore, semi trasparente e stendendo ben tre stesure di china giapponese (molto coprente e opaca), per poi incidere il proprio graffio dopo tre giorni di asciugatura (come descrive Igort al seguente link: www.youtube.com/watch?v=fmVC_NlE0ys).
Dalla tecnica utilizzata dall’autrice derivano tavole evocative, dove prevale l’elemento nero, al quale Leila Marzocchi aggiunge un diverso colore per ogni diversa fase delle avventure rappresentate: ne risultano vignette quasi sempre bicrome.
I disegni subiscono un processo di arrotondamento e di levigatezza lungo il procedere dei volumi. Tuttavia, possiamo individuare delle costanti che ne definiscono il tratto: i corpi e gli oggetti sono caratterizzati ora da plasticità e pienezza, ora da un segno sintetico e semplice, il quale caratterizza anche gli sfondi (che oscillano fra fondi scuri e scenografie più articolate); la linea essenziale, poi, restituisce oggetti ben definiti nei limiti dei contorni, ma grotteschi e caricaturali, con un effetto generale di grande efficacia espressiva.
In conclusione, Niger è un’opera pregevole, per qualità della storia, dei disegni e dell’edizione. La trama pesca nelle pieghe dell’inconscio, con i fitti rimandi a un mondo altro, buio, eppure vicino. La qualità maggiore però si coglie proprio nel fatto che la storia superficiale non è mero strumento dei rimandi più profondi, ma mantiene una sua autonoma grazia, in virtù di un buon ritmo narrativo, di un bel gruppo di personaggi e della fascinazione delle atmosfere boschive.
Abbiamo parlato di:
Niger (edizione integrale)
Leila Marzocchi
Coconino Press, 2018
208 pagine, brossurato, colori – 29,00 €
ISBN: 9788876184116