Simone Lucciola, tra un concerto punk rock dei Blood ’77 e l’altro, è scrittore, illustratore, fumettista. Cura la rivista e il blog “Lamette Comics” e, tra le tante pubblicazioni su fanzine e riviste underground, nel 2011 ha pubblicato con Rocco Lombardi Campana, (molto più di) una biografia a fumetti del poeta oscuro.
Rocco Lombardi, oltre ad essere con Simone Lucciola autore di Campana, ha contribuito con lui alla fondazione di “Lamette Comics” e dal 2001 ha pubblicato i suoi fumetti su svariate riviste dela scena indipendente. Nel 2006 ha pubblicato per Lamette il volume di racconti illustrati “L’albero sfregiato” e cura tuttora un omonimo blog.
Si potrebbe erroneamente pensare all’espressione “fumetto di realtà” come ad un ossimoro, una contraddizione che connette il mondo fantastico e finzionale, a cui si pensa solitamente dicendo “fumetto”, a quello concreto da cui l’arte sequenziale, si crede, dovrebbe distanziarsi. Non è così, vi sono innanzitutto differenti piani di “fedeltà” al reale, e in questo caso non si tratta banalmente di realismo come riproduzione del reale, quanto dell’arte quale ponte tra ciò che in essa si rappresenta e si dice riguardo al mondo. Detto questo, cosa significa allora per voi “fumetto di realtà”?
SIMONE: Per come lo intendo io, il “fumetto di realtà” è una qualsiasi storia narrata per immagini e testi che rimandi a persone realmente esistenti o esistite, anche se nel secondo caso si parla più che altro di personaggi, dal momento che è cronologicamente impossibile l’incontro fisico con l’individuo o gli individui interessati, i quali – per dirla con una bella definizione di Topor – “hanno cambiato tempo, passando dal presente indicativo all’imperfetto”. Però a pensarci bene “fumetto di realtà” è anche un qualsiasi fumetto che rielabori o includa dei testi preesistenti in versione integrale o parziale, in forma di semplice citazione/tributo o anche con l’intento più complesso di generare un pastiche postmoderno, o post-postmoderno, che stia al passo coi tempi. In definitiva, probabilmente gran parte della produzione a fumetti dell’ultima generazione è in qualche modo “fumetto di realtà”, o quantomeno un suo parente stretto. Fanno eccezione, naturalmente, personaggi e storie che nascono ex novo dall’incredibile fantasia degli autori o, meno auspicabilmente, dall’ennesima rifrittura di qualche stereotipo nel medesimo, e ormai indigesto, olio di semi.
ROCCO: Secondo me, il “fumetto di realtà” si distingue per il coinvolgimento dell’autore. Egli è messo fortemente in gioco, quando sta parlando di se stesso o di persone e luoghi in cui è coinvolto direttamente. L’aderenza alla realtà trasuda inequivocabilmente anche attraverso una visione che è filtrata dall’autore, e aldilà del racconto fedele è proprio il suo punto di vista estremamente personale che ci colpisce. In tutto questo l’onestà delle intenzioni non ha scampo e passa nuda davanti agli occhi del lettore.
La fama internazionale di molti autori legati al fumetto di realtà (sia esso un diario, una biografia, un reportage giornalistico o una ricostruzione storica) ha contribuito a far riscoprire l’arte sequenziale. Secondo voi perché questo fenomeno si è verificato proprio ora e che cosa può aggiungere il linguaggio del fumettista a quello dello storico o del giornalista?
ROCCO: La rappresentazione della realtà attraverso il disegno gioca un ruolo decisivo. Tornando al discorso di prima, è il punto di vista dell’autore che fa la differenza. E il suo punto di vista si traduce in immagine disegnata, fortemente personale, riconoscibile e pregna di una sensibilità particolare. Il tutto reso attraverso una scansione sequenziale che crea un ritmo coinvolgente e appassionante. Le storie a fumetti possono dire molto con poche parole e con pochi segni, l’opportunità di far interagire due linguaggi diversi dona possibilità ampie a chi le utilizza e di riflesso un messaggio potente per chi le riceve.
SIMONE: Non saprei dirti perché le graphic novel ultimamente spopolino. Però posso ipotizzare che sia semplicemente variata l’esigenza del lettore, o quantomeno l’esigenza di una buona fetta di lettori, rispetto al fumetto. Sicuramente c’entra il fatto che l’edicola non dà più una soddisfazione che non abbia la durata effimera del mero intrattenimento calcolato a tavolino. Ma ti direi che è anche la concezione stessa del medium fumetto che ha subito un’evoluzione. Ultimamente, pensando in particolare alla Francia, è chiaro che non c’è più un grosso distinguo tra fumetto e romanzo, né come qualità dei contenuti né per quanto riguarda la collocazione fisica ideale. Non so, oggi ho tanti fumetti che fanno la loro porca figura su uno scaffale della mia biblioteca; in passato, salvo rare eccezioni, la mensola del cesso era un’ubicazione più che logica. Ma penso anche a mio padre che continua a leggere fumetti e a buttarli via non appena arriva alla fine, come molti lettori della sua generazione erano abituati a fare.
Per rispondere alla seconda parte della tua domanda, invece, il fumetto di realtà può certamente aggiungere, compendiare, arricchire, per il semplice fatto che il potere dell’iconografia è una marcia in più rispetto alla semplice parola scritta nero su bianco.
Tra gli autori internazionali o tra quelli nostrani c’è qualcuno che vi ha colpiti in modo particolare, un’opera che magari vi ha consentito di vedere sotto un’altra ottica un evento, una storia, una personalità contemporanea o del passato rispetto a come ve l’aspettavate?
SIMONE: Ho appena finito di leggere Sweet Salgari di Paolo Bacilieri e posso tranquillamente dire che mi ha colpito moltissimo, come mi colpì moltissimo a suo tempo la Frida Kahlo di Marco Corona e ancora, in tempi più recenti, il Garibaldi di Tuono Pettinato. Sono fumetti dove ogni pagina è pregna, imbevuta della passione – direi quasi dell’amore – dell’autore nei confronti del personaggio e della sua storia. Alla base di opere del genere (perché di “opere” si tratta) ci sono evidenti ricerche storiche, geografiche, iconografiche che si shakerano con la fantasia del fumettista e vanno spesso a dire molto di più di quanto non abbiano già detto i testi preesistenti sull’argomento. La vita di Salgari, per esempio, se letta su una semplice enciclopedia può risultare piatta e per lo più drammatica. Se disegnata da Bacilieri, e incastonata nella cartolina iperrealista della Torino a cavallo tra ottocento e novecento, assume inevitabilmente mille altri registri.
ROCCO: Il fumetto di realtà rende più “accessibile” la lettura di eventi e personaggi del presente e del passato. Tra le ultime cose lette ricordo Quaderni Ucraini di Igort di cui avevo visto le tavole originali prima ancora di leggere il libro. Sottolineo, ancora, come la capacità fortemente evocativa del disegno aggiunga una marcia in più al racconto.
La vostra partecipazione al Komikazen è legata alla pubblicazione di un fumetto incentrato sulla figura di Dino Campana. Vi siete avvicinati anche voi ad una delle tante declinazioni che può seguire il “fumetto di realtà”, quello della monografia-biografia. Una corrente piuttosto praticata anche a livello italiano, si pensi alle recenti pubblicazioni di Superzelda (Lo Porto, Marotta) e del già citato Sweet Salgari, anche se molteplici sono poi le modalità con cui percorrerla. In che modo si inserisce la vostra opera in questa corrente?
ROCCO: Per il carattere poco narrativo e ancor meno lineare il nostro lavoro risulta atipico rispetto a quanto prodotto finora tra i fumetti biografici. Ci siamo premurati di far esplodere visivamente i versi di Campana abbozzando situazioni, persone e luoghi che il poeta ha attraversato. Un percorso dentro l’uomo che guarda fuori di sé, che coglie il suo sguardo sugli altri, il suo conflitto insanabile.
SIMONE: Abbiamo realizzato Campana cercando di giocare le stesse carte degli altri, sullo stesso tavolo da gioco, ma con il nostro personale mazzo da poker: le nere a me, le rosse a Rocco. L’intenzione di partenza è sempre quella: trasmettere la nostra passione nei confronti del personaggio, dire di più, creare una sorta di ipertesto. Nel caso specifico di Campana, che è stato un poeta più visivo che visionario e un uomo dalla biografia controversa, leggendaria e ancora in parte sconosciuta, ci è stato impossibile prescindere dai testi (poesie, missive, testimonianze, tributi) – di cui infatti il fumetto abbonda – così come ci è stato pressoché impossibile seguire un ordine cronologico degli eventi. Abbiamo preferito scompaginare tutto fin dall’inizio, disegnando le singole tavole in base al loro potere evocativo e poi incastrandole in un domino da cui il lettore possa ricavare una molteplicità di senso. Del resto lasciare l’interpretazione del testo all’arbitrio del fruitore individuale è anche una caratteristica peculiare di gran parte della poesia del novecento.
La scelta di parlare di questo autore vi pone davanti ad una visione in parte ambigua di ciò che si definisce “reale”. Mi spiego meglio: Campana, quale poeta onirico, quale personalità al di là delle convenzioni sociali del suo tempo, ha sempre vissuto e impostato la sua arte in funzione di una trasgressione nei confronti dei confini del reale stesso. Perché allora avete scelto proprio lui? Per la sua forza “critica” e liberatoria forse?
SIMONE: Certamente. Campana è stato un intellettuale di rottura, sia rispetto all’approccio poetico tradizionale che rispetto all’approccio sociale convenzionale. E se da un lato la cosa gli è costata il suo famoso “boy’s blood”, dall’altro ha fatto di lui un artista enormemente interessante per i posteri, anche se leggendo l’epistolario raccolto da Cacho Millet in Lettere di un povero diavolo mi sono reso conto, con meraviglia, del fatto che in realtà ha goduto di enorme stima e considerazione anche in vita: i complimenti gli arrivavano pure da illustri e rinomati addetti ai lavori, gli stessi con cui poi litigava spesso e volentieri. La sua forza liberatoria, se vogliamo anche libertaria, gli ha precluso di certo ogni possibilità di carriera, ma ha fatto di lui un personaggio da romanzo. Quindi da graphic novel.
ROCCO: Non credo che Dino abbia avuto grosse ambizioni nel trasgredire il reale. La sua scelta poetica lo rendeva difficilmente collocabile nell’ambiente letterario, mentre le vicende della sua vita, profondamente segnate dai rapporti familiari, lo hanno posto ai margini dell’ambiente sociale. Ho avuto l’impressione che lui si sia trovato a lottare suo malgrado e non per una scelta deliberata. Infine è indubbio che l’elevata condizione di conflittualità che viveva ha donato ai suoi versi una forte carica liberatoria. Dino è stato un outsider, ed infine un “perdente” e per questo lo sentiamo vicino.
Le scelte strutturali che avete perseguito in Campana rispecchiano, sempre a mio avviso, questa tensione tra fuga dalla realtà e ritorno costante alla verità del documento. Nell’appendice vi siete infatti premurati di ripercorrere attentamente i passi della ricerca filologica che avete condotto. Una ricerca scientifica che si alterna, però, come i vostri tratti all’interno dell’opera, ad una raffigurazione astratta, onirica ed evocativa e per questo fedele ai versi stessi dell’autore. Una costante oscillazione strutturale insomma, dall’ordine al suo rifiuto, come è stato del resto nella vita di Dino. Si tratta di una scelta stilistica voluta quella che persegue questa costante tensione tra visione onirica e documento, tra tratto che incide e morbidezza dei contorni? Se sì, è per questo motivo che avete deciso di impostare un lavoro a quattro mani? Altrimenti per quale motivo?
ROCCO: Per quanto mi riguarda ho iniziato ha sperimentare questo tratto proprio nell’affrontare questo lavoro. Si è subito rivelato congeniale a raccontare allo stesso tempo un’epoca e la poesia di Dino, perfetto contraltare al tratto direi quasi più “cronachistico” di Simone che assolve bene il compito anche quando si affaccia sulla poesia. E del resto anche io ho trattato stralci della biografia del poeta, invadendo a mia volta il compito spettante a lui. Volevamo fare un ritratto di Dino Campana e abbiamo capito sul campo che potevamo farlo insieme, senza stonature, offrendo due piani visivi SIMONE: Si tratta certamente di una scelta stilistica voluta, in base alla quale abbiamo deciso di lavorare in tandem e ci siamo poi ripartiti i ruoli. A Rocco e ai suoi scratchboard, prevalentemente, l’onere di rendere le visioni campaniane, la parte fantastica, il mondo a parte; io invece mi sono riservato per lo più la porzione filologica del discorso, quindi gli spaccati biografici e documentari, che ho cercato di rendere in modo più tradizionale con i miei pennarelli da cartoleria. Va però detto che senza la consulenza provvidenziale di amici come Giampiero Neri, noto e stimatissimo poeta italiano, e di critici esperti, come Paolo Pianigiani e Gabriel Cacho Millet, non sarei approdato molto lontano con la mia ricerca, anzi, mi sarei arenato quasi subito. In particolare ringrazio Gabriel, che è sicuramente il massimo studioso di Campana al mondo, per una lunga serie di telefonate sull’asse Roma-Formia che ha portato alla correzione delle sviste e mancanze della prima edizione, in vista della ristampa annunciata da G.I.U.D.A Edizioni.
Ritornando al Festival, l’argomento intorno a cui ruota questa ottava edizione è la Storia d’Italia. Secondo voi, in questo preciso momento storico, che cosa sta dicendo e che cosa può e potrà dire in più il fumetto, rispetto ai canonici mezzi di informazione e comunicazione, sulla condizione e il futuro del nostro Paese?
SIMONE: Rispetto ai mezzi canonici di informazione e comunicazione, il fumetto non è ancora controllato, edulcorato, direzionato. È potenzialmente più uno strumento di resistenza che un’arma mediatica funzionale al mantenimento dello status quo. Almeno per il momento. E il nostro Paese ha un infinito bisogno di verità, gli serve come il pane.
ROCCO: Tornando sulla questione del fumetto come linguaggio ci tengo ancora a ribadire l’importanza della combinazione parole-immagine utilizzata. Le varie declinazioni del fumetto di realtà offrono poi ai lettori di ogni età uno strumento efficace per avvicinarsi a tematiche passate o attuali, e l’allargarsi della produzione in questo senso ha convinto e appassionato più di un lettore.
In ultimo vorrei concludere con una domanda che valica, forse, i confini di questa intervista e del tema intorno a cui si è costruita. Come un filo rosso che percorre le opere e la produzione artistica di un autore si trova, a mio parere, la personale concezione di ciò che è per lui la “militanza dell’arte”. In alcuni casi è appunto un valicare i confini del reale per spostarsi verso la fondazione di mondi e linguaggi immaginari, in altri è invece la fedeltà a ciò che si intende per “verità”. E per voi, che cosa significa?
SIMONE: Per me significa veicolare un immaginario senza censure, anche quando la materia prima scotti o addirittura bruci, come nel caso in cui è volutamente o inconsciamente autobiografica. Il fruitore di un’opera d’arte non vuole e non deve essere preso per il culo, e il produttore di arte o artefatti, se vuole ottenere un feedback di qualche tipo, deve sbatterci dentro carne e sangue. La sua. Il suo.
ROCCO: Vivere il futuro immediatamente documentando il presente, mi sembra un’utopia praticabile…
Se pensate al fumetto lo pensate allora come un’arte militante?
ROCCO: Certo, ma è ora di inventarsi una nuova definizione, non dimenticandosi di passare per le modalità pratiche.
SIMONE: Il fumetto può essere tanto militante quanto reazionario. Dipende da chi lo scrive e da chi lo disegna. È a doppio taglio come tutte le altre armi.