All’inizio de Il loto blu troviamo Tintin ospite del Maharajah di Rawhajputalah, ancora sulle tracce dell’organizzazione di trafficanti di droga con la quale aveva combattuto nel precedente I sigari del faraone. Una chiamata di aiuto da Shanghai lo convince a lasciare la confortevole ospitalità del nobile indiano e lo catapulta in una nuova avventura, ricca di pericoli ed emozioni, in una Cina che non solo è luogo di loschi traffici, ma è anche al centro di intrighi politici, legati all’espansione della potenza giapponese: ecco allora che Tintin si deve districare non solo dalle manovre di gruppi malavitosi ma anche attraverso le trame e le operazioni di propaganda del governo di Tokio1.
Se già nel precedente I sigari del faraone era evidente la maturazione dello stile e dell’approccio di Hergé, Il loto blu non solo marca una discontinuità nella storia di Tintin ma si pone anche come pietra miliare della bande dessinée franco belga e capolavoro della nona arte. L’elemento all’origine del vero e proprio salto qualitativo dell’opera rispetto alle precedenti avventure è l’irruzione della realtà nella struttura profonda del racconto, una presenza che si manifesta nell’intreccio e nell’ambientazione.
Se finora Hergé si era affidato a una documentazione occasionale, che andava da fotografie del Petit Vingtiéme a giocattoli, passando per le rappresentazioni offerte dal cinema, per questa avventura cinese l’arista belga sfrutta la collaborazione di uno studente d’arte di Shanghai conosciuto a Bruxelles, Chang Chong-Jen. È grazie ai suoi racconti e al suo contributo che lo scenario attraversato da Tintin smette di essere luogo esotico e diventa luogo del mondo reale: dai cartelloni pubblicitari alle scritte di protesta sui muri, dalle case d’oppio all’attentato giapponese alla ferrovia, la cronaca stessa entra nelle tavole e muove gli eventi. Hergé stesso si riferiva a Il loto blu come alla sua prima avventura “documentata”.
Attenzione, però: questa ricerca della realtà di Hergé non richiede quella puntuale rappresentazione documentaristica di luoghi e oggetti che sarà addirittura ossessiva in Jacobs. Così, la rapprentazione della concessione internazionale di Shanghai che disegna è ispirata alla zona cinese; l’imponente porta di accesso alla città non esiste; lo stesso attentato alla ferrovia riprende quello di Mukden, ma è un’invenzione di Hergé e così via.
In questo senso, la dominante del racconto è ancora quella avventurosa.
Quello che accade è che Hergé smette di accontentarsi di raccontare stereotipi e questa scelta, che implica lo studio di luoghi, vicende e persone reali arricchisce scenari e personaggi. E se le decorazioni parietali delle tombe dei faraoni erano state uno stimolo per l’evoluzione del tratto, lo stesso si può dire per lo studio dei disegni cinesi, sia per quanto riguardo l’uso della linea (da ricordare che anche l’Art Noveau deve qualcosa al contatto con l’oriente), sia per la rappresentazione di grandiosi scenari naturali nei quali le figure umane si perdono, che caratterizzano lo stile Shan Shui2.
Leggendo Il loto blu a oltre ottanta anni dalla sua apparizione, resta magica la leggerezza con la quale Hergé dipana la vicenda: drammi, intrighi e siparietti comici si susseguono con fluidità, i cambi di registro non sono mai stridenti né sorge l’impressione di strumentalità o di occasionalità. Tutto scorre con naturalezza, anche quando, nelle seconda parte, il ritmo diventa frenetico.
E proprio la qualità de Il loto blu rende improvvisamente aliene le prime avventure del giovane reporter del Petit Vingtième, relegate irreversibilmente alla condizione di lavori preparatori di apprendistato. Questa quinta avventura, con il suo rapporto particolare con la cronaca e la realtà, è anche imprescindibile opera per analizzare le potenzialità del fumetto per ragazzi: non dimentichiamo infatti che il lettore di riferimento di Tintin era tanto il bambino quanto l’adolescente. Se la struttura a gag delle prime avventure facilitava i lettori alle prime armi, adesso la maggior complessità sia narrativa sia tematica della trama richiede una maggiore confidenza con la lettura.
Detto altrimenti, considerando anche I sigari del faraone, le avventure orientali di Tintin esplorano con grande ambizione il territorio della narrativa per l’infanzia. Per tutti questi motivi, Il loto blu rimarrà fra le più affascinanti avventure di Tintin e, curiosità significativa, l’attaccamento di Hergé a quest’opera è dimostrato dal fatto che, a differenza delle altre, ne conservò quasi tutte le tavole originali.
L’edizione portata in edicola da La Gazzetta dello Sport e Corriere della Sera, accompagna Il loto blu con una ricchissima sezione di editoriali, che forniscono il contesto storico dell’opera, tracciano l’evoluzione della cura dei personaggi, con particolare attenzione a quella del protagonista, ed evidenziano l’approccio di Hergé alla composizione di questo episodio. Oltre alla preziosa galleria delle copertine del Petit Vingtième dedicate all’avventura di Tintin, merita segnalare un “punto della situazione” della rivista belga che riassume l’avventura, impreziosito da alcuni ritratti dedicati da Hergé ai personaggi, e un’affascinante racconto della collaborazione fra Hergé e Chang Chong-Jen.
Abbiamo parlato di:
Il loto blu
Hergé
Traduzione di Giovanni Zucca
In allegato a La Gazzetta dello Sport, Corriere della Sera, Gennaio 2017
44+62 pagine, cartonato, colori – 7,99 €
ISBN: 977203975726270005
Il loto blu uscì su rivista fra l’agosto 1934 e il settembre 1935; le forze armate giapponesi avevano invaso la Manciuria nel 1931, prendendo a pretesto il cosiddetto incidente di Mukden, la distruzione di un tratto della ferrovia giapponese nei pressi dell’omonima località. L’attentato fu opera dell’esercito giapponese e fu usato dal governo nipponico, che ne addossò la responsabilità a gruppi terroristici cinesi, come giustificazione dell’invasione. ↩
Anne Cantin: L’ode à une culture millénaire, in Tintin – Les arts et les civilisations vus par le héros d’Hergé. Geo Hors Séries, 2015. ↩
Fra X
19 Dicembre 2017 a 23:39
In effetti questa doppia avventura sul solco della continuity mostra una trama più elaborata e Tin tin che va da qualche parte non è più il pretesto per una ridda di situazioni vorticose ed episodiche. Il ritmo rimane più alto e serrato delle avventure dal dopoguerra in poi, ma questo per un thriller così non è un difetto. Poi, come scritto, l’ autore inizia a dare maggior profondità a personaggi e situazioni ancor più di prima.
Simone Rastelli
21 Dicembre 2017 a 10:50
Sì, decisamente Il loto blu marca una discontinuità ne Le Avventure di Tintin