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Le molte forme della memoria: intervista a Paco Roca

27 Novembre 2025
Al festival del fumetto di Monaco abbiamo intervistato Paco Roca sulle sue ultime opere.
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Se bisognasse trovare un solo tema che percorre le opere di Paco Roca questo sarebbe la memoria: sin dal grande successo di Rughe, in cui racconta la storia di un uomo malato di Alzheimer e della perdita dei suoi ricordi, l’autore valenciano ha raccontato questo tema affrontandolo da tante diverse angolazioni, e con diversi toni. E non sono diverse le ultime sue opere: in Ritorno all’Eden una vecchia foto della madre con la nonna apre le porte a un racconto famigliare intimo e intenso; ne L’abisso dell’Oblio (realizzato con Rodrigo Terrasa) la memoria è quella di un intero paese che deve fare i conti con il suo passato, quello franchista, che ha negato il ricordo a migliai di famiglie di dissidenti fucilati e sepolti in anonime fosse comuni; anche Il tesoro del Cigno Nero racconta, in maniera avventurosa e piena di ritmo, il patrimonio di un paese e l’avidità umana.

Proprio di queste sue opere, pubblicate in Italia da Tunuè e in Germania da Reprodukt, abbiamo parlato con lui durante il Festival del fumetto di Monaco 2025.

Buongiorno Paco e grazie per il tuo tempo. L’ultima intervista che hai fatto per lo Spazio Bianco risale al 2019 e da allora hai realizzato diversi lavori: Ritorno all’Eden, Il tesoro del Cigno Nero e L’abisso dell’oblio. Sono tre storie diverse, ma c’è un filo conduttore tra di loro. Come hai lavorato su questo aspetto?
Beh, alla fine mi ritrovo sempre a parlare dello stesso tema: la memoria, in tutte le sue sfaccettature. Nel caso de Il tesoro del Cigno Nero la storia non è mia ed è anche una storia vera scritta da Guillermo Corral, che è un diplomatico che l’ha vissuta in prima persona. Ma in fondo parla anche di patrimonio, della storia di un paese, di una nave affondata, però dal punto di vista dell’avventura – un genere in cui non mi muovo spesso, ma che mi piace. Amo molto i fumetti d’avventura e questo progetto mi ha dato l’occasione di rendere omaggio a quei romanzi, a Emilio Salgari, a Stevenson, a Hergé e a tutti quegli autori legati all’avventura che per me sono stati importanti.
In Ritorno all’Eden si trattava invece della memoria famigliare, la storia di mia madre, che parte da una fotografia: l’unica che ha con sua madre. Mi sembrava un buon esperimento cercare di far sentire quella fotografia al lettore. Per chiunque non significherebbe nulla, ma per mia madre è tutto. Così ho costruito una storia intorno a quell’immagine, per riflettere su come spesso falsiamo il racconto della memoria, su come ci costruiamo le nostre storie del passato.
E in L’abisso dell’oblio, Rodrigo (Terrasa, NdR) e io volevamo recuperare una parte della storia della Spagna, una parte che risale a più di 80 anni fa, ma che purtroppo è ancora attuale. Non è solo passato, è anche presente. Per questo la storia si sviluppa su due livelli temporali: il passato e il presente, perché quello di cui abbiamo scritto è ancora un tema irrisolto. Ci sono ancora famiglie che non hanno potuto recuperare i resti dei propri cari. Quindi sì, è vero che in questi anni ho continuato a lavorare sul tema della memoria, ma da angolazioni diverse.

AbissoOblio

In particolare un tema ricorrente nelle tue storie è la storia del tuo paese, e per la precisione del periodo franchista. Che tipo di rapporto hai con quel periodo? Perché ci torni così spesso?
Credo che sia un tema pieno di sfumature da esplorare. Inoltre, trovo importante portare nei fumetti la vita di persone che non hanno mai potuto raccontare la propria storia, perché sono morte durante la repressione o perché la dittatura le ha costrette al silenzio.
Mi interessa usare il fumetto per dare voce a queste persone, perché la storia di un paese non può essere raccontata solo dal punto di vista della dittatura o dei vincitori. L’altra metà della Spagna, quella che è stata zittita, deve poter raccontare anche la sua versione.
Usare il fumetto per questo mi sembra fondamentale, anche per costruire una memoria visiva.
È qualcosa di cui Rodrigo e io ci siamo resi conto lavorando a L’abisso dell’oblio: non esisteva documentazione visiva sulla repressione, su com’erano le fosse comuni, su come venivano fucilate e sepolte le persone. Non esisteva una memoria visiva dell’orrore della dittatura. Per questo mi interessa guardare al passato: usare il tema della memoria per cercare di costruire questa componente visiva.

Da dove nascono le tue storie? Dalle immagini, dai personaggi? Da cosa cominci a costruirle?
Nascono da molte cose. Nel caso de L’abisso dell’oblio tutto è nato da un articolo che Rodrigo aveva scritto per la stampa. Di solito non è un’immagine a muovermi, ma l’interesse per un tema.
In questo caso volevamo capire perché i familiari delle vittime della dittatura vogliono recuperare i resti dei loro cari da una fossa comune. Volevamo comprendere perché qualcuno si oppone, e come quelle persone sono finite lì. Si può avere un’idea generale, ma fare un fumetto ci obbliga ad approfondire, a capire davvero. Per me non si tratta tanto del desiderio di disegnare un’immagine precisa, ma del bisogno di conoscere, di comprendere una storia.

AbissoOblio2

E cambia molto il lavoro se lo fai da solo o con qualcuno come Rodrigo?
In realtà il processo è abbastanza simile. Io mi occupo sempre di tutto: disegno, colore, parte tecnica. Ma lavorare con Rodrigo mi permette di condividere dubbi e incertezze che emergono lungo il percorso. Anche se scrivo io la sceneggiatura, siamo in contatto costante. Rodrigo non la scrive direttamente, ma dà idee, punti di vista, suggerimenti.
Quindi, quando lavoro con qualcun altro posso condividere tutto questo ed è qualcosa che apprezzo molto. Ma il lavoro finale, in fondo, è molto simile.

Un’altra cosa su cui lavori è il formato del libro stesso: L’abisso o Ritorno all’Eden hanno un formato orizzontale. Come mai questa scelta? Come l’hai sviluppato?
La prima volta che l’ho usato è stato con La casa. L’ho fatto come un gioco. Pensavo che con il formato verticale avevo già soluzioni narrative troppo automatiche, che venivano da sole. Volevo liberarmene, tornare a sperimentare, a trovare un modo mio di raccontare. Cambiare formato mi ha aiutato e mi sono reso conto che funzionava molto bene con le mie storie.
Credo che il formato orizzontale dia una lettura più intima, più lenta, e questo si sposa con il mio modo di narrare. Mi permette anche di giocare con la narrazione in modo diverso, persino dividere la pagina in due linee narrative. È diventato un formato che mi piace molto e che credo si adatti bene a ciò che faccio.

TesoroCignoNero

Il tesoro del Cigno Nero non è proprio il tuo tipo di storia abituale. Com’è stato lavorare con questo ritmo, con l’avventura, con l’azione?
Sì, è vero, come dicevo di solito non mi occupo di avventura o azione: proprio per questo avevo voglia di farlo. Inoltre, non essendo una sceneggiatura mia, sono stato costretto a muovermi in un terreno diverso.
Se fosse stata una storia mia forse l’avrei sviluppata in modo diverso. Ma con la sceneggiatura di Guillermo ho dovuto disegnare cose che non faccio spesso, anche se le leggo. Come dicevo, sono un grande fan di Tintin, dei fumetti d’avventura e d’azione. È stata un’opportunità per sperimentare.
È stato un bel confronto, ma presto ho trovato la mia strada. È un fumetto d’azione, sì, ma con un’azione molto realistica. Non mi sono allontanato dal mio modo abituale di raccontare, non c’è nulla di esagerato. Le inquadrature, la narrazione, tutto resta fedele al mio stile. L’ho affrontato come il fumetto d’azione che avrei voluto fare io, con un taglio quasi documentaristico.

E com’è andata con l’adattamento in serie televisiva?
Di solito non partecipo molto alle trasposizioni. Vendo i diritti e mi fido che lo facciano bene e finora sono stato fortunato. Tutto è stato fatto con rispetto, con persone che conoscevano e apprezzavano i miei fumetti. È stato così anche con Alejandro Amenábar, che già conoscevo perché aveva voluto adattare un altro dei miei fumetti in passato. Alla fine, quello che si è prestato meglio è stato Il tesoro del Cigno Nero, e ha deciso di farne una serie.
Ho avuto alcuni incontri con lui per parlare del fumetto, di ciò che Guillermo e io volevamo trasmettere, anche di cose che non erano nel libro, ma che conoscevamo. Poi lui ha lavorato con il suo sceneggiatore e io non ho più saputo molto del progetto. È capitato proprio durante la pandemia, quindi non ho potuto nemmeno andare sul set.
Amo il cinema, ma il mio mondo è il fumetto. Se mi chiedono di collaborare lo faccio volentieri, ma altrimenti mi piace anche restare spettatore. È interessante vedere come un regista come Amenábar, che ha vinto un Oscar, prende la tua storia e la trasformi in qualcos’altro.
Quando lavori a un fumetto pensi che il tuo modo di raccontare sia il migliore o l’unico possibile. Ma vedere come un’altra persona smonta la tua opera, cambia personaggi, semplifica, allunga… è affascinante. A volte lo fa per esigenze di formato, altre per intensificare il dramma. È stata anche la prima volta che uno dei miei fumetti veniva adattato con attori in carne e ossa. Ti rendi conto della grande differenza nella recitazione: per quanto espressivi siano i tuoi disegni, non raggiungeranno mai la sottigliezza di un attore.
Quella stessa emozione la ottieni nel fumetto attraverso lo sviluppo della storia, delle situazioni. In una serie, invece, un primo piano può dire molto di più di quanto tu possa trasmettere con un disegno. Soprattutto con un cast come quello di questa serie, con attori spagnoli e anche internazionali. È stata un’esperienza molto diversa.

IL tesoro del cigno nero p37

Che impressione hai dello stato attuale del fumetto spagnolo?
Credo stia molto bene. Per esempio, se guardo al mercato francese del fumetto, non sarebbe quello che è senza gli autori spagnoli – e anche italiani, ovviamente. Ci sono sempre stati grandi autori che hanno lavorato per il mercato internazionale.
Lo stesso vale per i fumetti di supereroi negli Stati Uniti: ci sono molti autori spagnoli.
Ma forse la vera novità degli ultimi anni è che ora stiamo iniziando ad avere un’industria nostra, editori e autori che lavorano per un pubblico spagnolo, che creano un’identità locale e da lì esportano.
Anche in Italia succede lo stesso. Autori come Hugo Pratt, Vittorio Giardino o Mattotti hanno lavorato per l’estero, ma oggi avete figure come Zerocalcare che parla direttamente al pubblico italiano e poi viene venduto all’estero.
Fino a poco tempo fa per essere internazionali dovevamo passare per la Francia o gli Stati Uniti e da lì arrivare al resto del mondo. Ora in Spagna abbiamo un mercato nostro, con opere realizzate qui, con un’identità spagnola che può essere esportata in Francia, Italia, Germania o ovunque. Questa è la grande differenza.

Su cosa stai lavorando adesso?
Sto lavorando su tre progetti. Uno è un nuovo fumetto, una storia più personale, più intima, simile per tono a La casa. Parla ancora di memoria, ma centrata su come gestiamo il ricordo di una relazione quando finisce. Di come guardiamo indietro per ricostruire ciò che è stato. È, in fondo, una riflessione su tutto questo: le relazioni di coppia, la memoria, l’amore dopo l’amore.
Il secondo progetto è con Rodrigo. Ancora una volta, affrontiamo il tema della memoria in Spagna, ma in un’epoca diversa della nostra storia. E, di nuovo, lo facciamo unendo giornalismo e narrativa, come abbiamo già fatto, mescolando entrambi i linguaggi in un fumetto.
Il terzo progetto è, in principio, per Panini Italia, in collaborazione con DC: una miniserie su Catwoman. Questi sono i tre progetti su cui sto lavorando, probabilmente in quest’ordine.

Grazie mille Paco per il tuo tempo, e alla prossima.

Intervista realizzata dal vivo al Festival del fumetto di Monaco il 20 giugno 2025.Un ringraziamento agli organizzatori e a tutti il team di Reprodukt.

Paco Roca

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Paco Roca (Valencia, 1969) è uno dei maggiori esponenti del fumetto spagnolo. È diventato uno degli autori di riferimento con Rughe, considerato un capolavoro del fumetto contemporaneo, vincitore di numerosi premi internazionali – Premio nazionale di Spagna, Miglior fumetto spagnolo per il Diario de Avisos di Tenerife, Miglior opera al Salone internazionale del fumetto di Barcellona, il Gran Guinigi di Lucca Comics and Games. Dai suoi fumetti sono stati tratti due film, Rughe di Ignacio Ferreras e Memorie di un uomo in pigiama diretto dallo stesso Roca e dal regista Carlos Fernández, e una serie tv, La fortuna di Alejandro Amenábar tratta da ll tesoro del Cigno Nero.

Emilio Cirri

Emilio Cirri

Nato a Firenze una mattina di Gennaio del 1990, cresce dividendosi tra due mondi: quello della scienza e quello dell'arte. Si laurea in Chimica e sogna di fare il ricercatore. E nel frattempo si nutre di fumetti e spera di poterne sceneggiare uno, un giorno. Il primo amore della sua vita è Batman, amico fedele dei lunghi pomeriggi passati a giocare in camera sua. Dai supereroi ha piano piano esteso il suo campo di interesse fumetto, sia esso italiano, americano, francese, spagnolo o giapponese. Nel tempo che non dedica ai fumetti, guarda film e serie tv, scrive recensioni e piccole storielle, e forse un giorno le pubblicherà su un blog o in qualche altro modo.

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