Siamo ormai abituati a scattare decine di fotografie al giorno, possiamo scartare quelle venute male, tagliare, modificare, ingrandire e persino “falsare” la realtà di un momento vissuto. Ma c’è stato un tempo in cui una fotografia era un evento raro e dunque importante. Era il solo modo di fermare un momento speciale, di cristallizzarlo con l’idea di aggrapparcisi in un futuro presumibilmente meno felice.
Sono queste le premesse da cui parte Paco Roca in Ritorno all’Eden, graphic novel pubblicato ancora una volta da Tunué e premiato qui in Italia con il Gran Premio Romics 2022.
Il fulcro della storia è infatti una fotografia, datata 1946, un’immagine consumata dal tempo e dall’uso, mostrata ripetutamente, quasi ossessivamente. Vi appare una famiglia seduta presso un chiosco sulla spiaggetta di Nazaret, a Valencia. Una madre, Carmen e quattro ragazzi, Paco, Amparìn, Pepito e Antonia. Sarà proprio quest’ultima, la più giovane del gruppo, a conservare gelosamente quella foto per tutta la vita.
Perché è così legata a quell’immagine? Cosa racconta e cosa rappresenta per lei?
In un girotondo di ricordi, racconti, flashback e flashforward, Roca ci racconta la storia che c’è dietro quella fotografia, una storia che inevitabilmente abbraccia il vissuto di Antonia e della sua famiglia fino ad allargarsi a quello dell’intera classe “povera” nella Spagna del dopoguerra. Vediamo scorrere come in un vecchio documentario – effetto favorito dall’impiego di tinte seppiate o con una dominanza di giallo o verde, che ricordano i filtri usati nei primi film muti – la Spagna del periodo franchista, quando la società era suddivisa tra gli allineati che inneggiavano al caudillo e i “rossi”, i dissidenti, che meritavano la loro miseria e che rappresentavano un pericolo per la rinascita della Spagna.
Antonia vive la sua epoca con la scarsa consapevolezza politica che può avere una ragazza povera e analfabeta, i cui soli riferimenti culturali sono i film di Hollywood che va a vedere le poche volte che può permettersi un biglietto e i racconti della Bibbia.
Uno in particolare segna senza appello la sua esistenza: la cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre. Un racconto che sembra legittimare in toto la povertà della sua famiglia e il ruolo di secondo piano riservato alle donne come lei e sua madre, condannate a pagare per la disobbedienza di Eva. Se però da un lato il racconto della Genesi spegne in Antonia ogni afflato di ribellione, dall’altro lascia costantemente aperta la speranza di un ritorno all’Eden, a uno stato di felicità perfetta. Tale ritorno però – a ben vedere – appare più una sorta d’illusione, una favola sfruttata da chi sta “in alto” affinché il popolo e le donne sopportino pacificamente la loro sudditanza.
Chi già conosce Paco Roca (e chi non lo conosce può approfittare della mostra “Paco Roca: le case di carta”, organizzata dal festival Arf! in collaborazione con l’Instituto Cervantes di Roma, aperta dal 20 maggio al 19 giugno nella Capitale) non avrà troppe sorprese riguardo alla storia scelta e ai temi trattati, ritroviamo infatti la malinconia della terza età e l’inevitabile diaspora della famiglia raccontati in Rughe e La casa, e la storia della Spagna del ‘900, tra guerra mondiale e guerra civile, già affrontate ne L’inverno del disegnatore e I solchi del destino. Proprio rispetto a quest’ultima opera, Ritorno all’Eden si pone in maniera quasi speculare: laddove ne I solchi protagonista assoluto era il racconto storico, qui la Storia con la S maiuscola passa sullo sfondo, e se viene approfondita in qualche breve passaggio è solo per meglio inquadrare le vicende di Antonia e della sua famiglia. Se nell’opera precedente Paco Roca alternava le immagini del racconto storico con quelle in cui lui stesso intervista un sopravvissuto della guerra civile, qui sceglie di sparire e lasciare l’indagine fuori dal libro, facendosi sentire solo come voce narrante nelle didascalie.
Da un punto di vista visivo, Roca non si discosta dal suo stile ormai più che maturo, fatto di tavole dai riquadri ben suddivisi e un tratto prevalentemente cartoonistico, attento ai dettagli ma privo di fronzoli o virtuosismi tecnici. I volti dei personaggi sono realizzati con pochi tratti ma riescono comunque a restituire al lettore una gamma vastissima di espressioni. Le emozioni dei protagonisti sono raccontate visivamente anche attraverso le numerose “metafore disegnate” a cui Roca ricorre molto spesso strappando la narrazione al suo spietato realismo e colorandola di inattesi e vibranti guizzi poetici, come quando Amparìn si sente uscire di bocca le parole “SONO INCINTA” con un lettering diverso, come se non fosse nemmeno lei a dirlo tanta è la paura di comunicare la notizia a sua madre, o quando vediamo il vulcano della ribellione spegnersi nel petto di Antonia (metafora forse non originalissima, ma che nel complesso della storia, è resa comunque in modo efficace). Considerato il soggetto del graphic novel, Roca si diverte poi a giocare con l’uso delle scansioni fotografiche e la loro commistione coi disegni, come se questi ultimi coprissero i “buchi” lasciati dalle immagini reali, restituendo i pezzi di storia che le foto non riescono a raccontare, o mostrando quello che Roca non può o non vuole disegnare. Ad esempio, in una tavola l’autore realizza il corpo in divisa di Francisco Franco, poi, quasi non volesse tratteggiarne il volto, sceglie di appiccicarci sopra la scansione di una vecchia moneta del periodo Franchista su cui è disegnato appunto il profilo del dittatore.
Forse però la trovata grafica più sorprendente la troviamo fin da subito, sulla copertina. Qui Roca disegna in un certo senso il backstage della fotografia di Nazaret, scegliendo di mostrarcelo attraverso gli occhi della stessa Antonia, come in una soggettiva cinematografica. Lo sgabello che lei occupa è ancora vuoto, mentre i suoi familiari le rivolgono uno sguardo d’intesa guardando verso il lettore.
Sul fronte narrativo l’autore affina ancora di più la sua già spiccata capacità di equilibrare il testo e le immagini, lasciando parlare ora l’uno ora le altre, senza che queste si accavallino, senza che vi sia un dialogo fuori posto e lasciando spazio al silenzio ogni volta che un’azione, un’espressione o un dettaglio sono così significativi da parlare da sé.
Ritorno all’Eden rende chiaro fin dalle prime pagine il suo intento, quello di fermare il passato per dare un senso al presente. Ricordare chi eravamo significa dare un senso a ciò che siamo oggi. Raccontando per immagini la storia di un’immagine, Roca ci offre anche una riflessione sul fumetto in quanto medium. Un’arte visiva in grado di durare nel tempo, di fissare una storia che racconti tutte le storie, di creare un Eden a cui si può sempre tornare, come antidoto ai paradisi indefiniti e irraggiungibili che qualcuno, in mala fede, non smette di prometterci.
Abbiamo parlato di:
Ritorno all’Eden
Paco Roca
Traduzione di Diego Fiocco
Tunué, 2021
176 pagine, cartonato, a colori – 19,90 €
ISBN 9788867904167