L’arte e il desiderio di immortalità: Eternity #3

L’arte e il desiderio di immortalità: Eternity #3

Alessandro Bilotta e Francesco Ripoli raccontano la figura di un artista sulla cresta dell’onda, un soggetto tanto sfuggente da intrigare Sant’Alceste.

A Roma non si parla d’altro che di Ariovisto Carnovale, artista contemporaneo dalle origini umili e campagnole, appena scoperto dagli esperti del settore. I suoi dipinti sono caratterizzati da uno stile sintetico e infantile ma questo non impedisce a tali sgraziate opere di venire ospitate in mostre e gallerie d’arte, nelle quali presenzia anche l’autore dimostrando la propria natura animalesca, incivile e grottesca.
Per Alceste Santacroce, il gossipparo protagonista di Eternity temporaneamente in pausa dalla sua rubrica per la rivista L’Infinito, Carnovale risulta un centro di gravità a cui gli è impossibile resistere, una zona d’ombra che vuole illuminare durante una placida estate nella quale è impegnato a fare da anfitrione a un gruppo di turisti altolocati, tra i quali spiccano gli editori del libro che sta realizzando.

L’ARTE, L’ARTISTA E IL PUBBLICO

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Dopo aver raccontato nell’episodio precedente la parabola discendente di un popolare presentatore televisivo dal volto rassicurante ma con diversi scheletri nell’armadio, Alessandro Bilotta con La vita appesa ai chiodi delle opere immortali ribalta il punto di vista e mette al centro della narrazione una persona respingente, che dall’aspetto e dai modi risulta immediatamente sgradevole perché si colloca drasticamente fuori dalle regole del vivere civile e dell’essere umano.
Ariovisto Carnovale si esprime in un dialetto stretto e incomprensibile, non fa nulla per curare la propria immagine e lascia liberi i propri istinti bestiali, mantenendo queste caratteristiche intatte anche a fronte dell’imprevisto successo dei propri disegni. Questi ultimi rispecchiano la sua particolare incapacità di essere altro dal “tutto corpo”, una corporeità debordante con la quale non fa il paio uno sviluppo culturale critico e autocritico. Dalla relazione tra l’arte e la persona di Carnovale e il pubblico nasce una domanda: a che serve l’alfabetizzazione, quella che magari consente di scrivere (spesso male) sui social network, se i concetti espressi sono degni dei trogloditi? Testualmente, nel villaggio popolato da artisti Alceste dice: “Non farti colpire dall’alfabetizzazione, quella ormai ce l’hanno tutti. I concetti restano da troglodita“. Per citare il Qui-Gon Jinn di Star Wars: La minaccia fantasma: “La capacità di parlare non fa di te un essere intelligente“.

L’artista e le sue peculiarità permettono allo sceneggiatore romano da una parte di analizzare una figura fuori dai canoni e decisamente negativa, ma che sotto l’attenta lente di Alceste rivela una ricerca di annullamento interiore ed esteriore imprevedibilmente profonda, e dall’altra di mettere in scena la reazione della comunità intellettuale di fronte a quello che viene considerato un nuovo fenomeno artistico, esaltato innanzitutto perché “strano”.
Il corto circuito che Bilotta infatti propone è il ribaltamento della comune prospettiva: se solitamente si pensa alla creazione artistica come a un modo per raggiungere l’immortalità, nel caso specifico di Carnovale abbiamo una persona che anela all’autodistruzione, che punta a farsi odiare e mettere ai margini attraverso quello che esprimono i suoi disegni e lo sprezzo delle umane convenzioni di cui dà sfoggio in ogni occasione pubblica.
È più di un atteggiamento anticonvenzionale che tira uno schiaffo al perbenismo borghese, è un grido di dolore che viene però equivocato dagli intellettuali, ricondotto su una linea interpretativa invece già rodata.

TEMI E CONNESSIONI

I temi del tempo, dell’immortalità, dell’eternità e della morte come suo contrario, ai quali si aggiunge quello dell’invidia grazie a La vita appesa ai chiodi, sono ormai evidentemente centrali nell’affresco bilottiano.
Si intravede infatti un filo rosso che parte dal suicidio della influencer che Sant’Alceste frequentava nel primo volume, legame che viene ribadito prepotentemente da alcuni cenni: il riferimento al medium capace di parlare alle anime di chi non è più in questo mondo (che intuiamo essere il perno del prossimo capitolo, basandoci sull’anteprima offerta) o la sempre discreta presenza dell’Eternity, vecchio locale notturno ormai in disarmo e ora acquistato da Tito Forte per rilanciarlo. Inoltre, mentre in Morte di un dandy Bilotta citava i versi de La sera dei miracoli di Lucio Dalla, in questo terzo albo la parola “sprasolato” riporta a Quale allegria, dello stesso Dalla. Prestando attenzione, si individua poi un secondo rimando musicale: è il caso di C’è chi dice no di Vasco Rossi (“Tanta gente è convinta che ci sia nell’aldilà / Qualche cosa, chissà“).

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Altre connessioni evidenti sono quelle con il secondo cartonato, esplicitate nell’accenno alle rovine /qui si fa riferimento all’Impero Romano) e nella figura dell’hikikomori: lo sceneggiatore continua a tesserne la trama personale e inizia a intrecciarla a quella del protagonista.
A metà del primo arco narrativo c’è quindi curiosità nel vedere dove queste istanze possono portare. Intanto, in ogni episodio si ravvisa la presenza di una scena “forte”, quasi estrema, che sia di violenza, di suicidio, di tentativo di stupro. Tali avvenimenti danno ulteriore risalto alla quasi completa assenza di emotività mostrata da Alceste. “Quasi completa” perché si incrina in questo terzo volume: quando vede lo schizzo di sangue sulla teca, il gossipparo vomita. È un momento di improvvisa e accentuata emotività particolarmente significativo, che contribuisce a rendere più tridimensionale e meno statica la figura del protagonista.

Come già nelle prime due storie, quello che Bilotta racconta attraverso personaggi come Santacroce, il conduttore Tito Forte e Ariovisto Carnovale non sono tanto le loro personalità ma la società di cui si fanno in qualche modo superficie riflettente.
Una realtà festaiola, collocata in un futuro prossimo rispetto al nostro ma ossessionata da un passato idealizzato che ricalca e ripropone in diverse forme: l’autore si concentra deliberatamente sulla parte “bene” di questa Roma immaginaria ma a noi piuttosto vicina, quella del mondo dello spettacolo e di persone influenti e che vivono per apparire, sintetizzata forse nella rappresentazione della Galleria Alberto Sordi quale teatro dell’incontro tra il protagonista e i suoi svagati interlocutori.
Anche in questo caso il rapporto con il tempo, pur sotteso, è presente, come se queste persone facessero di tutto per non pensarci, attraverso la propria attività o tramite feste narcotizzanti, come l’evocativo silent party delle prime pagine, che richiama una delle mode reali degli ultimi anni.

Bilotta porta al pubblico questa densità tematica con una prosa solo apparentemente secca e succinta: se questo risulta infatti vero per quanto riguarda i dialoghi, che in generale si fanno taglienti e senza verbosità (in particolare nel caso di Alceste, che spicca per un lessico tanto sintetico quanto sornionamente sarcastico), non lo è nella sceneggiatura. Il lettore non può vederla, cionondimeno si può intuire dal risultato finale che dietro le tavole disegnate si cela un lavoro preciso e dettagliato per presentare al pubblico questo setting, con le sue caratteristiche e i suoi elementi fortemente identificativi. Dalle ambientazioni ai personaggi, dagli abiti alle espressioni facciali, dagli “oggetti di scena” alla solitudine di una Roma affollata, tutto dà l’impressione di essere importante ai fini della narrazione e dei contenuti trasmessi dalla stessa.

UNA DICHIARAZIONE D’INTENTI?

Tra i tanti aspetti fecondi de La vita appesa ai chiodi, fumetto in cui la riflessione sull’arte, sul suo essere popolare o elitaria, è assolutamente centrale, declinata anche nella misura in cui essa può conferire (o meno) l’immortalità, c’è un un dialogo che suscita riflessioni: “È un grande racconto popolare dai toni cupi, un libro oscuro che opprime il cuore, tende i nervi e mozza il respiro“.
Oltre a essere molto significativo di per sé, il passaggio assomiglia a una dichiarazione d’intenti dello stesso Bilotta. L’accezione di “racconto popolare” è assolutamente congrua con la poetica dell’autore, quella che lo porta a innestarsi nel fumetto seriale, si veda ciò che fa con il Dylan Dog di Tiziano Sclavi, rimanendovi in qualche modo ancorato, anche quando la narrazione assume toni più distanti dalle classiche modalità del fumetto “d’avventura”, più cupi, inusuali e atipici. Infatti, è difficile  non notare il fatto che il protagonista all’inizio del numero precedente tenga a portata di mano una pila di fumetti western (evidentemente Tex, o comunque un riferimento più o meno esplicito a Tex).

Va poi aggiungo che, pur potendo scegliere se fare di Eternity una miniserie o, ancor meglio, una graphic novel (formato forse più consono a un certo riconoscimento extra-fumettistico, a causa di strane convenzioni), Bilotta ha scelto ancora una volta il formato seriale ongoing, senza una conclusione già stabilita.

L’INTERPRETAZIONE DI RIPOLI

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Dopo il co-creatore della serie Sergio Gerasi e il contributo di Matteo Mosca (artefice anche dell’esordio di Mercurio Loi), i disegni di questo terzo volume vengono affidati a Francesco Ripoli, il quale fornisce una sua interpretazione credibile ed efficace del mondo di Eternity. Attraverso le sue tavole, l’apparente leggerezza del clima estivo, delle feste e delle gite in yacht non intacca la profondità degli sguardi, magnetici ed eloquenti, calati in un’ambientazione che sfugge dalle facili catalogazioni e mantiene la sua caratteristica atemporale, sommando in egual misura elementi nostalgici e uno sguardo distopico. Pur nell’apprezzabile gestione del ritmo e delle inquadrature, il lavoro dell’artista risulta a tratti forse un po’ più convenzionale e meno “atipico” rispetto alle prove dei due autori che l’hanno preceduto.

COLORI E PREMI

Il contributo di Adele Matera, con la sua colorazione, è fondamentale perché garantisce uniformità alle varie storie in termini stilistici e soprattutto prosegue con quell’effetto di luci squadrate che rendono più straniante e suggestiva l’intera estetica del fumetto. L’impatto dei colori è eccezionale, tanto che la colorista continua a ricevere meritati riconoscimenti, tra i quali il Premio Boscarato del TCBF 2023, segno che il suo lavoro, sotto la supervisione di Emiliano Mammucari, è stato ed è valutato determinante.

CONGEDO

Ne La vita appesa ai chiodi delle opere immortali, come anticipato, si inizia a percepire maggiormente la presenza di una trama orizzontale e, nonostante diversi spunti debbano ancora trovare una loro collocazione, la storia si dimostra in grado di generare riflessioni non banali sui temi trattati, talvolta ancor più interessanti degli sviluppi della trama. Inoltre, a prescindere da piacere e non piacere, è davvero importante avere a disposizione una serie che stuzzica e stimola ragionamenti sulla realtà e sull’immaginazione.

Abbiamo parlato di:
Eternity # 3 – La vita appesa ai chiodi delle opere immortali
Alessandro Bilotta, Francesco Ripoli, Adele Matera
Sergio Bonelli Editore, luglio 2023
72 pagine, cartonato, colori – 18,00 €
ISBN: 9788869618116

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