La Repubblica del catch: la fiaba politica di Nicolas de Crécy

La Repubblica del catch: la fiaba politica di Nicolas de Crécy

La seconda opera di Nicolas de Crécy edita per Eris, nata per il Giappone, è una storia dinamica, avvincente e ricca di sottotesti ideologici.

Una poetica coesa

Mario è un ometto piccolo e occhialuto, molto solo, che gestisce un negozio di pianoforti tramandato dalla famiglia. I suoi parenti, potenti capi di un clan mafioso che ha al suo soldo i bellissimi e prestanti lottatori di catch della città, hanno però progetti differenti per il negozio.
È così che inizia un'inaspettata guerra contro i suoi familiari, fra spiriti, strani animali e pianoforti magici, in cui Mario si trova protagonista passivo e sperduto.

RepCatch0La nuova opera di  – pubblicata per la prima volta in Giappone a puntate sulla rivista Ultra Jump dell'editore  – è pregna di grottesco e ironia latente, un'allegoria e critica sferzante della società moderna. L'imprinting di de Crécy è anche qui ben visibile: l'autore continua sostanzialmente il percorso ideologico avviato nel Celestiale Bibendum, presentando una fiaba politica che aiuta a chiarire la sua poetica.

A un approccio più criptico e complesso, quale avevamo visto nell'opera precedente, l'autore sostituisce una narrazione più fulminea e coinvolgente, che riesce a intrattenere dall'inizio alla fine. De Crécy opta per dei toni più leggeri, senza sacrificare però quella componente di critica politicizzata che è tipica della sua produzione, e che qui diviene più manifesta ma non meno interessante.

Nella Repubblica del catch non c'è spazio per i deboli: personaggi minuti, sbilenchi e sfortunati (come Mario) vengono macinati da questa enorme macchina in cui tutto ciò che conta sono l'apparenza, la forza e la capacità d'imporsi sugli altri.
Oggetto dell'ammirazione sociale sono infatti i lottatori di catch, nei loro vestiti attillati e dai colori accesi, che ne mettono in risalto la prestanza. I lottatori e i mafiosi possiedono potere, donne, automobili e prestigio, tutto ciò che un uomo “dovrebbe” desiderare.

L'eredità marcusiana

In tutta l'opera si sente forte l'impronta ideologica delle teorie marcusiane de L'uomo a una dimensione.
Herbert Marcuse con il suo saggio tacciò la società capitalista di una nuova forma di totalitarismo mascherato. A differenza dei regimi totalitari che agivano apertamente, Marcuse rintracciò modalità di funzionamento analoghe ma celate nella struttura sociale contemporanea:

“Una confortevole, levigata, ragionevole, democratica non-libertà prevale nella civiltà industriale avanzata, segno del progresso tecnico”.

RepCatch3Una società di questo tipo tende all'appiattimento degli individui (“uomo a una dimensione”), alla loro massificazione e parificazione per una maggiore gestibilità e un finto senso di eguaglianza.

Nella società industriale avanzata i gap dovuti alle differenze di classe diventano molto labili: l'impiegato può permettersi un televisore, degli elettrodomestici, un'automobile, un profumo e di godere degli stessi programmi televisivi che anche il suo datore di lavoro guarda, sperando di parificarsi a questo.
Si genera dunque un circolo vizioso all'accrescimento, all'acquisto di nuovi beni, nuovi segnali esterni per fornire l'impressione di benessere e prestigio.

In questa società così appiattita nessuno ha più capacità di reagire: le classi operaie, che un tempo erano motori di rivolta, ora sono immobili e impegnate a costruire il sogno della loro parificazione esteriore ai più ricchi; sono represse da un sistema che ha imposto loro i medesimi valori conservatori e consumistici tipici della classe borghese.
Una società che dunque si autoalimenta e induce la mistificazione di essere l'unico modello possibile, senza vie alternative.

Se le componenti che storicamente avviavano il processo dialettico del cambiamento sono immobilizzate, l'unica soluzione prevista da Marcuse è incarnata dai parìa, i reietti della società. Gli ammalati, i disperati, i portatori di handicap e i discriminati sono gli unici individui a non essere contaminati da questo meccanismo, proprio in quanto esclusi (vivendo al di fuori della società); i reietti sono insomma l'ultimo baluardo per una speranza di cambiamento.

La “democratica non-libertà” a fumetti

Tutto questo lo ritroviamo nella Repubblica del catch. Nell'opera vediamo infatti in scena una vera e propria lotta “di classe”, o meglio dei senza classe: atti rivoluzionari e di guerriglia che provengono da strane creature rigettate dalla società, sostanzialmente dei “falliti”, che vengono definiti “fantasmi”.

La-repubblica-del-catch_02La loro esistenza disturba chi vive la routine e le regole della giunga della società del catch, tanto da renderli degli esseri incredibili, che nessuno vorrebbe vedere. Nella repubblica del catch notiamo gli stessi paradossi delle teorizzazioni marcusiane, e il nome stesso, “repubblica del catch”, costituisce un ossimoro.

Il termine “repubblica” dà l'idea di una società democratica e libera, mentre “del catch” chiarisce come a governare questa “repubblica” sono la lotta, la forza e l'apparenza; una democratica non-libertà appunto.

La repubblica del catch costituisce allora l'allegoria della società moderna, in cui la vita quotidiana diviene una lotta gli uni contro gli altri per farsi strada e a prevalere sono i più forti.
A godere di prestigio sono i più belli, i più forti, e tutti coloro che sanno lottare non temono i deboli, che diventano addirittura insignificanti, dei “fantasmi” appunto.

De Crécy rivela tuttavia in molti passaggi dell'opera le debolezze, le frustrazioni e le nevrosi di questi personaggi in apparenza così convinti e impettiti.

I meccanismi sono i medesimi rispetto alla società dipinta da Marcuse, e risultano anche evidenti: il grido di uno dei mafiosi “La repubblica del catch è la più forte!” durante la lotta contro i reietti, è l'esatta proiezione della volontà della società capitalista di imporsi quale unico modello di organizzazione sociale possibile.
Insomma, è una società che premia gli individui “pronti a combattere”, cioè a lavorare e produrre reddito, buttando via tutti coloro che non riescono a farlo.

Proseguendo questo parallelismo, vediamo nei reietti, disegnati come veri e propri spiriti stravaganti che “vegetano in raffineria” segregati, la rappresentazione di quella frangia potenzialmente motrice di rivoluzione teorizzata da Marcuse; e infatti sono loro a trascinare Mario nella lotta contro suoi parenti mafiosi.

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In questo marasma si colloca Mario, il protagonista, personaggio perennemente fuori luogo e a disagio perché escluso da entrambi i gruppi. Mario non può essere un membro del catch o un potente, visto il suo corpo minuto e la sua ingenuità, ma allo stesso tempo non riesce a far parte dei reietti, suoi amici, in quanto privo di deformità o altri motivi che lo escludano totalmente dalla società del catch.

Mario è insomma un moderno inetto, un debole calpestato dalla società, che nonostante tutto non vorrebbe cambiarla ma solo raggiungere i suoi vertici (come i suoi parenti), e questo gli impedisce di essere un “fantasma”.

Il protagonista diviene allora incarnazione di quella classe operaia ormai sopita, appiattita e resa conservatrice. Il suo intento è mantenere lo status quo per arrivare finalmente ad avere una donna, una bella macchina e del rispetto. Proprio per questo Mario, al pari del resto della società, odia i suoi amici deformi, che al contrario provano un sincero affetto per di lui.

Alla fine di tutto è il protagonista ad uscire comunque sconfitto: condannato a una perenne solitudine, impossibilitato a trovare uno scopo alla sua esistenza o dei compagni con cui identificarsi.

Al contrario, gli “spiriti” dimenticati hanno una forza esplosiva per vincere: vivendo al di fuori della repubblica hanno imparato a convivere ed accettare le proprie debolezza, a differenza dei lottatori di catch che fingono di non vedere i propri problemi, e hanno saputo trasformare questa debolezza in bellezza e forza attraverso l'unione. La loro condizione diviene dunque un canto di speranza da parte dell'autore:

“Noi siamo il futuro del mondo! Siamo la sconfitta, l'altra faccia della medaglia. Siamo i falliti, quelli che il mondo non vuole più vedere. Noi siamo la debolezza”.

Segnali di stile e commistioni dal manga

De Crécy intesse insomma una ricca sottotrama di rimandi, esprime concetti politici e filosofici con una brillante allegoria condotta da una storia fresca, leggera e piacevole.

40 blogIncalzato dal serrato ritmo di pubblicazione che il mercato giapponese richiede, de Crécy si ingegna con un tratto a penna veloce e sottile, movimentato e ricco di segni, riempito dai grigi acquerellati che sostituiscono il suo peculiare uso del colore.

L'autore francese confeziona una storia dinamica che diverte il lettore e ben si adatta al contesto in cui nasce, e la condisce con rimandi alla tradizione nipponica attraverso l'utilizzo degli yokai, spiriti dell'immaginario giapponese, per rappresentare l'esercito dei deboli.
L'autore è inoltre sapiente nel bilanciare il gioco di sottotesti con una narrazione brillante e fluida, tipica del manga, che non viene mai trascurata.

Complici anche le esigenze di speditezza dei lavori e di rendere piana la lettura (dovute alla rivista per cui la storia è concepita) La Repubblica del catch è un'opera più diretta e semplice rispetto a Il Celestiale Bibendum, ma non per questo meno interessante: una lettura certamente più piacevole e intelligibile alla luce della quale si può anche rileggere l'opera precedente con più consapevolezza e chiarimenti sulla poetica dell'autore.

De Crécy riconferma dunque il suo enorme talento attraverso un'opera audace che sa mescolare elementi della tradizione giapponese a una storia accattivante, riuscendo a convertire le limitazioni e le stringenti necessità editoriali in punti di forza per conferire dinamismo alla sua narrazione e al suo disegno; insomma, un piccolo capolavoro.

Abbiamo parlato di:
La Repubblica del catch
Nicolas de Crecy
Traduzione di Fay R. Ledvinka
, giugno 2016
224 pagine, brossurato, bianco e nero – 17,00€
ISBN: 9788898644230

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