Intervista a(b)braccio a Frédéric Brrémaud e Federico Bertolucci

Intervista a(b)braccio a Frédéric Brrémaud e Federico Bertolucci

Dall’Accademia Disney al realismo della savana, dalla giungla a una foresta fatata: sette domande e un abbraccio con Frédéric Brrémaud e Federico Bertolucci, autori delle serie Love, Piccole Storie e Brindille.

Cosa c’è di più umano del raccontare storie? Il mondo del fumetto è un ambiente professionale, regolato da leggi di mercato, concorrenze, gerarchie e persino tasse. Ma il suo solo aspetto fondamentale sono le storie: raccontate e disegnate da autori che si divertono, si impegnano, si arrabbiano, si imbarazzano e sono, insomma, umani.

Con un abbraccio e qualche domanda si prova a ricordarlo.

Frédéric Brrémaud e Federico Bertolucci sono una coppia di autori ormai affiatata: la loro opera più celebre è Love, serie di volumi autoconclusivi che racconta, senza l’utilizzo di balloon o didascalie, la vita di animali selvatici come il leone, la tigre, la volpe. I due autori hanno realizzato insieme anche il volume storico Riccardo Cuor di Leone, la collana Piccole Storie (sempre con intenti naturalistici ma rivolta ai lettori più giovani) e Brindille, serie ambientata in una foresta misteriosa e dai risvolti magici, ancora in corso di realizzazione.
Federico Bertolucci ha iniziato la sua carriera di disegnatore alla fine degli anni ’90, collaborando con Disney Italia alla realizzazione di
W.I.T.C.H. e di storie per PK, Topolino, Monster Allergy. Brrémaud è uno sceneggiatore attivo principalmente sul mercato francese: in Italia, oltre ai lavori con Bertolucci, sono stati pubblicati i suoi fumetti Alienor, Daffodil, Gatti!.

Ciao Federico e Frédéric! Partiamo dal principio: come siete entrati nel mondo del fumetto, sia come lettori sia dal punto di vista professionale?
Federico Bertolucci (FBe):
Quando ero piccolo avevo un baule pieno di vecchi Topolino. Andavo lì, ne prendevo uno a caso e lo leggevo – in realtà non sapevo ancora leggere, quindi lo guardavo. Erano albi degli ’60, fatti talmente bene, dal punto di vista della semplicità e della narrazione, da poter essere capiti tranquillamente guardando solo le immagini. Molti anni più tardi ho frequentato l’Accademia Disney, e lì ho capito di poter davvero diventare un fumettista. Prima era un sogno: mi sarebbe piaciuto fare fumetti, ma mi sembrava qualcosa di irraggiungibile.
Frédéric Brrémaud (FBr): I miei primi fumetti sono stati Asterix en Hispanie (in Italia: Asterix in Iberia) e Arizona, con Lucky Luke. Ma anche io leggevo tante storie Disney, che in Francia venivano pubblicate su Mickey Parade o Picsou Géant: abitavo in una fattoria, e spesso quando uscivo a far pascolare le pecore li portavo con me. Poi una volta i miei genitori mi hanno portato in biblioteca: nella stessa giornata ho scoperto Hugo Pratt, Bilal, Moebius, Tardi. Le biblioteche mi hanno fatto scoprire di tutto, altro che internet.
FBe: Se avessimo avuto internet all’epoca, probabilmente avremmo avuto altro da fare e non saremmo diventati fumettisti!

Ormai internet però è alla portata di tutti: pensate che ci saranno meno fumettisti in futuro?
FBe:
Non è detto, probabilmente passeranno attraverso altri mezzi. Effettivamente noi avevamo la televisione, ma soltanto per alcune ore al giorno, dopodiché tutto il resto del tempo era libero, per pensare a quello che avevamo visto e magari creare le nostre storie. Oggi vedo che i piccoli, come le mie bimbe, guardano cartoni animati all’infinito, all’infinito, all’infinito – alcuni belli, alcuni anche brutti – ma non sviluppano proprie idee, assorbono e basta. Non so se sia positivo assorbire così tanto senza poi riuscire a elaborare. Poi magari questi ragazzi che vengono fuori ora saranno meglio di noi, perché magari rielaboreranno tutto più velocemente, chi lo sa.
FBr: Stamattina abbiamo partecipato a un dibattito sull’importanza dei fumetti per bambini. È a quell’età che si gioca tutto. Non si può proporre un Tex a 14 anni, se non si è mai letto nulla prima. Per questo ci fa piacere che ReNoir pubblichi Le Piccole Storie anche in Italia.

Si può quindi dire che avete creato Le Piccole Storie con un intento didattico?
FBe: Noi siamo entrambi genitori da qualche anno e in effetti siamo diventati più sensibili sulla necessità di “passare la cultura” alle giovani leve. Avevamo già lavorato su Love e avevamo visto che veniva comprato anche da tanti nonni e genitori, per farlo leggere ai bambini piccoli. Eppure Love tocca dei temi a volte un po’ crudi, non sempre adatti ai bambini. E ci siamo detto: perché non facciamo qualcosa di più leggero, più distensivo? E così sono nate Le Piccole Storie. Inizialmente le avevamo chiamate Baby Love!
FBr:  Le Piccole Storie sono un laboratorio di narrazione: presentiamo un mondo enorme ai bambini, ma lo facciamo attraverso le piccole cose.
FBe: Abbiamo creato un mix di strisce e illustrazioni che si incastrano fra loro. Ci sono due bambini che giocano e che immaginano avventure, e che facendo così spiegano il mondo, danno piccole informazioni, che poi si possono approfondire in fondo al volume, dove ci sono delle pagine un po’ più tecniche. L’incrociarsi di fantasia e realtà non lo abbiamo inventato noi, per carità: basta guardare Calvin & Hobbes di Bill Watterson. Le idee viaggiano, si modificano e vengono assorbite e ritirate fuori in modi sempre diversi. E le cose migliori, che funzionano di più, alla fine sono quelle che interpretano meglio l’idea che circola in più teste contemporaneamente. Penso a quando è uscito W.I.T.C.H.: c’era una voglia generale di manga, non solo in Italia, e la serie ha avuto un successo strepitoso.

A proposito delle W.I.T.C.H., Federico: tu hai cominciato a lavorare in quel periodo, più o meno, subito dopo l’Accademia Disney. Adesso lavori invece per il mercato francese, in cui ci siete solo tu e lo sceneggiatore. Quali differenze ci sono fra questi due metodi di lavoro?
FBe: La prima differenza che vedo è che lavorando sui prodotti commerciali, come erano le W.I.T.C.H. o Topolino, si è in tanti, perché bisogna produrre molte tavole ogni mese. E lavorando in squadra non si possono fare ritardi, perché si rischia l’effetto domino: bisogna essere molto puntuali. Lavorando invece per la Francia, come autori indipendenti, si è più rilassati. Gli editori sono molto comprensivi, se serve un mese in più lo concedono. Alla fine uno si prende un po’ più di tempo per sé… e si ritrova nelle ultime settimane a dover fare tutto di corsa! È un aspetto che bisogna imparare a gestire. Un’altra differenza è che in Francia l’autore è molto più conosciuto del personaggio – o perlomeno l’autore in Francia ha dei fan, il nome viene scritto in copertina bello grande, cosa che lavorando per le grandi case editrici di seriali in Italia non avviene. È un aspetto interessante, perché poi alla lunga dà agli autori una visibilità e una soddisfazione diverse.

Tornando a Love e alle Piccole Storie: entrambi hanno come protagonisti gli animali. Voi ne avete?
FBr: Da piccolo, in campagna, avevo centinaia di pecore, mucche, cavalli… adesso ho un cane.
FBe: Io in questo momento ho un gatto, una gattina rompiballe, terribile! Però anch’io abitavo in campagna e ho avuto decine di gatti, cani, due caprette e due paperi. Cattivissimi, fra l’altro! Avevo una paura terribile.

Avete già pensato ai soggetti per i prossimi Love?
FBr: Sì, anche se adesso stiamo lavorando a Brindille: è un progetto molto diverso, con le parole, un mondo di fantasia. Ma penso che continueremo Love, abbiamo alcune tematiche in mente. Mi piacerebbe molto esplorare il mondo dei fondali.
FBe: Aspetta, il mare è più difficile da disegnare, dovrebbe essere un lavoro interamente di regia, perché non è facile rendere espressivi i pesci! Ed è difficile anche rappresentare su carta le luminescenze del fondale, gli animali un po’ luminosi degli abissi… dovremo parlarne meglio, Frédéric.
FBr: Su Love corriamo sempre molti rischi. È difficile dire come verrà accolta ogni nuova uscita. Prima dell’uscita pensavo che Love – La Volpe fosse incomprensibile: c’erano un sacco di stacchi, molti personaggi. Ma continuiamo a lavorarci, perché crediamo nel progetto. Il problema per noi sarebbe fare qualcosa che ci annoia, o raccontare qualcosa di già sentito.
FBe: Prima o poi riusciremo a fare il fumetto più noioso del mondo: l’albero, o la rapa…

Ultima domanda, il classico delle interviste a(b)braccio: qual è il vostro momento imbarazzante?
FBr:… quella del naso, no, vero?
FBe: Oddio, no!
FBr: Io ne ho una terribile. A una seduta di dediche, un ragazzino voleva che disegnassimo un animale, mentre il padre chiedeva una donnina sexy. Abbiamo deciso di disegnare l’animale, perché era quello che voleva il bambino. Ma il padre insisteva per raccontarci la sua storia: che era bravissimo nel disegno, che avrebbe potuto fare una grande carriera, ma che poi… e ci ha indicato il bambino, come se fosse la causa della sua rovina! Gli ho detto che poteva lasciarci il piccolo, di sicuro non lo avremmo trattato peggio di lui.
FBe: A me invece è successa una cosa davvero imbarazzante qualche anno fa, durante una seduta di dediche insieme a Lorenzo de Felici. Lorenzo ne ha anche realizzato un fumettino pubblicato online, meraviglioso. Ma lo racconto anche qui. Dovevamo andare a una Fnac, a Parigi, a fare delle dediche: la sera prima eravamo arrivati in ritardo, quindi quel giorno volevamo essere puntuali. Quindi partiamo per tempo, un paio d’ore prima, per la Fnac alla Defense. Arriviamo, aspettiamo l’orario esatto al minuto, entriamo: “Eccoci qua per le dediche!” “Quali dediche?” “Come quali dediche?” “Noi non abbiamo dediche in programma oggi.” Noi ci guardiamo, loro controllano: “Ecco, vi aspettano a un’altra Fnac, a questo indirizzo”. “E dov’è?” “Dall’altra parte della città! Ci metterete un’ora.” Usciamo di corsa, come dei folli, per cercare un taxi. Fuori piove che dio la manda. Da lontano vediamo un taxi, fermo, con la luce accesa, e una persona a fianco. Facciamo un cenno da lontano con la mano, e quello ci risponde con un altro cenno. Allora ci avviciniamo. Non avevamo l’ombrello, quindi eravamo già terribilmente bagnati. Cominciamo a dirgli dove vogliamo andare, con il nostro francese orribile e la cartina in mano. L’uomo fa “no, no” con la testa e ci guarda con occhi strani, come se avesse avuto un ictus. E infatti io mi dicevo: “Ma siamo sicuri di volerci far portare in macchina da questo tipo? Sarà andato in bagno un attimo, avrà avuto un ictus e ora è qui che barcolla e non capisce niente!” Dopo un po’ che ci litighiamo, questo sbotta: “Ma insomma, io non capisco!” “Ma sei italiano?” “Eh sì, io cercavo un taxi!” Lui pensava che noi si fosse i tassisti! Alla fine siamo arrivati dove dovevamo arrivare con un’ora e mezza di ritardo, e non è venuto nessuno a farsi fare una dedica. Eravamo bagnati, gocciolanti e ridevamo e piangevamo insieme. Zero dediche, non mi era mai capitato!

Intervista realizzata dal vivo il 3 novembre 2017

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