Nodi è l’esordio fumettistico di Fiamma, un racconto personale, una autofiction che indaga profondamente sui traumi del lockdown del 2021 a causa del Covid. Pubblicato da Bao Publishing, abbiamo raggiunto l’autrice qualche giorno prima di Lucca Comics & Games 2025 per parlare con lei della sua opera.

Benvenuta Fiamma su Lo Spazio Bianco. Com’è vivere con un nome che sembra già un nome d’arte? Ti piace nonostante tutte le domande che avrai sentito su quale fosse il tuo “vero” nome?
Ciao! Direi che è un nome che da bambina hanno provato in molti a farmi odiare con battute e prese in giro di ogni tipo. La verità è che lo amo e l’ho sempre amato. Poi è un nome-immagine, ogni volta che scrivo “fiamma” sul cellulare e mi viene suggerita l’emoticon del fuocherello sorrido.
Partiamo dall’elefante nella stanza: l’influenza e l’ispirazione di Zerocalcare per la tua prima opera. Non temi che questa tua metanarrazione personale e tragico-ironica possa essere vista come un semplice esercizio di stile ispirato alle sue opere? Quanto è importante avere dei riferimenti su cui costruire il proprio stile e quanto è difficile distanziarsi e liberarsene?
Potrei davvero temere che il mio modo di fare fumetto possa sembrare un “semplice esercizio di stile” ispirato alle opere di un altro autore, peraltro pubblicato dalla mia stessa casa editrice? Per quanto riguarda la seconda domanda, da architetta e ricercatrice in composizione architettonica (che è anche studio dei linguaggi creativi) conosco le dinamiche dello stile e non è una cosa che si costruisce, altrimenti esisterebbe una formula per trovarlo e chiunque abbia mai disegnato sa che non è così. Lo stile è quella cosa su cui non hai nessun controllo e che malgrado le tue intenzioni racconta di te e di tutto quello di cui ti sei nutrito. Esistono poi i riferimenti che hanno la funzione di delimitare un ambito di interesse dentro il quale condurre la propria ricerca artistica personale. Nel territorio che esploro io sicuramente Zerocalcare è uno di quei riferimenti così come lo sono molti altri autori e autrici come Marjane Satrapi, Silver con Lupo Alberto, Silvia Ziche e la sua Lucrezia, Grazia Nidasio con Valentina Melaverde e molti altri. Distanziarsi e liberarsi dei propri riferimenti non credo debba essere un cruccio, è inevitabile e naturale dal momento che la creatività ha una natura processuale e dunque ti impedisce di rimanere troppo tempo nello stesso punto.
Nella tua newsletter scrivi che fare fumetti fosse ciò che volevi fare da grande. Nodi è anche un modo per affermare che stai crescendo e maturando?
Nodi non è una crescita né una maturazione, Nodi è proprio una nascita. Da bambina disegnavo fumettini e non ho smesso fino all’adolescenza, quando invece ho posato la matita e non l’ho più ripresa in mano per 25 anni finché non sono arrivati Nodi e Bao. Nodi è stata la prima volta che ho parlato il linguaggio del fumetto in maniera più compiuta. All’interno del libro io questa cosa la rileggo. Ho scritto Nodi partendo dalla prima tavola e arrivando all’ultima e guardandolo adesso ci vedo tutto il processo di come si impara a fare un fumetto facendolo. Sono i miei primi vagiti in una lingua che non ho mai veramente parlato ma che sento mia come una madrelingua.
Nodi per me è un punto di partenza, non un punto di arrivo, per quanto pubblicare un libro solitamente sia il punto di arrivo di un lungo percorso fatto, per me non è stato così ma esattamente l’opposto.

Nella narrazione di Nodi emerge la gestione dello spazio: quello mentale e quello fisico intorno a noi, lo spazio a livello urbano, sociale, domestico e familiare. È una chiave di riflessione che hai dato alla storia oppure è una parte di te, un riflesso del tuo essere architetto? I tuoi studi di architettura, oltre a presentarsi nella tua panoramica di Roma a inizio del volume, credi ti abbiano dato anche un imprinting su altri aspetti del tuo far fumetti?
Sì, è assolutamente una parte di me. Io rivedo la mia natura di architetta e la mia formazione in tutto il mio modo di usare il linguaggio del fumetto. Dalla gestione dello spazio carta della tavola, all’organizzazione del tempo all’interno delle sequenze narrative fino alla composizione grafica delle singole vignette che sono poi di fatto delle architetture a tutti gli effetti. Architettura e fumetto hanno in comune una dimensione profonda, sono arti sequenziali fondate sull’organizzazione dello spazio e del tempo al fine di costruire, raccontare e far vivere un’esperienza. Non credo sia un caso che tantissimi fumettisti e fumettiste abbiano una formazione in architettura o fossero architetti.
Nella storia emerge anche la necessità del fare fumetti per trovare te stessa, o per fissare chi sei e non scappare da quello che sei. È più un’urgenza di raccontare un argomento che ti riguarda oppure una sorta di “sfogo terapeutico”?
Io non sono una narratrice in senso stretto, non sono nata col desiderio di raccontare storie e dunque per me non rappresenta un’urgenza in questo senso. Non ho cominciato come sfogo terapeutico ma direi che iniziare a fare fumetti ha proprio rappresentato per me la prova che ero finalmente “guarita”, che avevo finalmente trovato un linguaggio che mi permettesse di capire, analizzare e organizzare il mondo intorno a me. Finché non ho trovato il fumetto questa cosa sentivo di non riuscirla a fare fino in fondo. Poi ho iniziato a vedere che quello che facevo solo per me parlava anche agli altri e ho capito che era per me un modo tout court di comunicare.
Come è avvenuto l’incontro con Bao e come si è sviluppato il lavoro di pubblicazione di Nodi? Era già stato scritto e disegnato, c’è stato un lavoro di editing, è cambiato dalla tua versione a quella pubblicata, o ti è stata lasciata libertà in questo senso?
Ho incontrato Bao in occasione dell’iniziativa “Jobarf” dell’Arf Festival. Avevo mandato una proposta editoriale a Bao tramite il festival, consisteva di tre tavole complete e una sinossi. Tutto il lavoro del libro è stato fatto con Bao al mio fianco, non ci sarei riuscita altrimenti. Fare un fumetto di più di duecento tavole non avendone fatto mai uno prima è un lavoro quasi impossibile se non puoi contare su qualcuno che ti cammina accanto e ti sostiene. Nodi non ha mai avuto altre versioni, abbiamo lavorato alla storia in maniera progressiva insieme a Michele Foschini che dal primo giorno mi ha lasciato totale libertà espressiva sapendo esserci in tutti quei momenti in cui io e la storia avevamo bisogno di essere accompagnate per mano.

In certi punti mi sono trovato a pensare: “questo potrebbe essere materiale per un altro fumetto, qui rischia di esserci troppo!” Mi è sembrato di vedere un’urgenza di mettere quante più cose possibili nella tua prima opera pubblicata, a costo – personalmente parlando – di una minore coesione e sintesi. È un prezzo che eri disposta a pagare?
Nodi non è solo il mio primo fumetto pubblicato, è il mio primo fumetto in assoluto. Dunque, rappresenta un po’ anche la fondazione del mio mondo narrativo. Alla luce di questo, avevo bisogno che dentro ci fossero disseminati anche solo come tracce tutta una serie di elementi che descrivono questo mondo e fanno capire chi sono, proprio perché io sono dentro e fuori la storia facendo autofiction. Nodi è certamente un racconto autoconclusivo, ma ha in sé (guardandolo col senno di poi) alcuni aspetti della serie, è come fosse solo il primo capitolo di una storia molto più lunga. Infatti, continua nei fumetti che metto su Instagram che a loro volta saranno collegati ai libri che spero verranno in futuro. È un carattere tipico di chi scrive narrativa di autofiction quello di eccedere i confini del singolo prodotto editoriale dal momento che i personaggi e i contesti sono ricorrenti, non è infrequente che ci siano input e rimandi in una storia che vengono poi sviluppati altrove. La sintesi non è mai stata il mio forte comunque, esco ora da quindici anni di analisi ????
Il tema della gravità del lockdown sulla vita e sulla mente di tante persone è un piccolo tabù di cui si è certo parlato molto, anche in fiction, ma forse non abbastanza. Perché secondo te?
Io penso che forse siamo ancora troppo vicini all’esperienza della pandemia per poter avere un pensiero prospettico su quello che è accaduto. Per certi versi la serie di sconcertanti eventi che hanno investito in maniera serrata il mondo dal Covid in poi, hanno allungato la percezione di vivere in uno stato di emergenza globale e per parlare approfonditamente di qualcosa credo ci sia bisogno di farlo a “bocce ferme” e qua invece sta ancora rotolando tutto.

I social durante il lockdown (e il post-lockdown) sono stati strumenti e luoghi dai molteplici aspetti: a volte rifugio, a volte prigione. Come li hai vissuti e li vivi?
Ho aperto un account Instagram durante il secondo lockdown, proprio per riversarci sopra i disegnetti che avevo iniziato a fare. In quel momento per me sono stati uno spazio di liberazione dalla clausura imposta dalla pandemia, un modo per uscire di casa almeno con la testa e coi miei disegni. I social sono uno strumento potentissimo e in quanto tale vanno maneggiati con cura, sono la forma di autofiction più praticata al mondo su base quotidiana e l’autofiction è una cosa da gestire con cautela, perché lavorando sullo sfumare e confondere ciò che è vero da ciò che non lo è rischia facilmente di diventare uno dei modi in cui si arriva a mentire persino a se stessi.
Anche la depressione, ma più in generale il bisogno di supporto psicologico, fatica a liberarsi da certe stimmate. Scrivere di questi argomenti non è più solo un fatto personale ma un atto sociale e politico, volenti o nolenti. È un aspetto che è emerso con i tuoi lettori?
Sì tantissimo! Sia nelle presentazioni dal vivo e ai firmacopie, sia con messaggi privati sui social che per mail, il confronto e lo scambio su questo tema è stato quello che emerso di più con i lettori e le lettrici. La depressione e il disagio psicologico sono un tema cardine della nostra contemporaneità. Fortunatamente, se ne riesce a parlare sempre più apertamente al livello della società civile, ma vedo ancora che questa questione fatica a trovare spazio in qualsiasi agenda politica, ma non mi stupisce. Il disagio mentale spinge a mettere in discussione e ripensare i sistemi che governano e organizzano le nostre vite all’interno delle società ed è una cosa che la politica non fa mai con gran piacere, per usare un eufemismo.
Qual è il momento che preferisci: visualizzare un’idea come fosse una tavola, il momento della mano che stringe la matita, la rifinitura della china sulla matita, la collocazione di ogni vignetta e tavola una dopo l’altra, o altro ancora?
Amo tantissimo il momento in cui il fumetto mi arriva nella testa. Spesso tutto insieme, come un’intuizione. Poi la parte in cui tutto deve precipitare concretamente sulla tavola per me è molto faticoso, ma terribilmente affascinante, fare i fumetti è davvero un’esperienza pazzesca!
Chiudiamo con una domanda di rito: sei a lavoro su altri fumetti, hai qualche anticipazione?
Sì! Già mentre disegnavo Nodi, altre idee avevano cominciato a frullarmi in testa. Ora stiamo lavorando a quelle idee affinché possano diventare il punto di partenza di una nuova storia.
Intervista condotta via mail a ottobre 2025.

Fiamma
Fiamma è architetta, dottore di ricerca, fumettista. Comincia a disegnare nel 2021 durante la pandemia, un anno dopo inizia a fare i suoi primi fumetti riscrivendo in forma illustrata la sua tesi di dottorato sul dispositivo dei campi profughi e nel 2023 incontra BAO Publishing. Nodi è il suo primo graphic novel.
