Oramai è chiaro e palese che ogni nuovo fumetto scaturito dal pennello di Gianni Pacinotti, in arte Gipi, va salutato con l’entusiasmo che si riserva ai grandi autori. In poco tempo, una volta che la Coconino Press ha saputo dargli fiducia e spazio per sviluppare la sua arte, Gipi ha dimostrato la sua levatura, affermandosi come uno dei maggiori fumettisti italiani e internazionali; ne è testimonianza anche l’accoglienza che hanno avuto le sue opere in Francia.
Alla luce di queste considerazioni, la sua presenza nella collana Ignatz rappresenta evidentemente una soluzione ottimale per lo sviluppo della sua poetica a fumetti. Ignatz è una collana particolare, sia nel nuovo formato, pregevole spillato con sovracopertina, ma soprattutto nell’impostazione; infatti le sue uscite saranno affidate a vari autori che al suo interno creeranno numero dopo numero una sorta di loro rivista personale, una collana nella collana.
“Utilizzero’ il formato Ignatz per costruire una storia che tratta di personaggi diversi,” – ci spiega Gipi, cha abbiamo raggiunto per sottoporgli qualche domanda – “le cui storie si intrecciano a volte e si sfiorano in altre. Personaggi che seguiremo di episodio in episodio, in differenti momenti della loro vita e inquadrandoli da differenti punti di vista.
Più passa il tempo e più mi appassiono ai caratteri dei personaggi. Mi piace immaginarne le reazioni alle situazioni e le mutazioni possibili nel corso degli anni. Mi piace che si comportino in modo congruo con la definizione della loro personalità, ma anche sorprendente, in modo inaspettato. Come fanno gli esseri umani “veri”, in sostanza. Questa idea della sorpresa è un buon spunto per inventare nuovi intrecci. Ritrovare un personaggio dopo anni e sorprenderci per quello che ha fatto ed è diventato, trovo che sia una buona cosa per una storia.
Il seguito de “Gli innocenti” vedrà i personaggi (più o meno) mutati nel tempo.
Credo che andro’ a trattare da protagonisti anche personaggi che possono essere apparsi “secondari”, come i due poliziotti della prima storia. Vorrei andare a vederli nella loro esistenza di tutti i giorni. Provare a inquadrarne le motivazioni. Non mi piace definire un personaggio soltanto malvagio. Voglio vederlo in altri contesti. Sadico con un personaggio, amorevole con un altro. Con la famiglia magari. Ora mi viene da immaginare i due poliziotti alle prese con le loro beghe, il mutuo da pagare, un figlio quattordicenne e ribelle che suona in una band heavy metal.
Io lavoro così. Prendo un personaggio e lo butto in mezzo a una situazione (stavo per scrivere:’..in mezzo ai leonì) e poi sto a vedere come se la cava. Cosa inventa. Come reagisce. È divertente.Comunque: ogni volta che nella vita reale ho subito delle angherie non sono riuscito (COMUNQUE) a sottrarmi dal considerare le ragioni dell’altro. Anche quando ‘l’altro’ era palesemente in torto nei miei confronti. È una specie di malattia che ho. Non ha niente a che vedere con l’essere buoni o il “porgere l’altra guancia” cristiano. È proprio una mania scientifica.
E il risultato scientifico è questo: ‘Ognuno di noi riesce a trovare buone ragioni per comportarsi male.’
Queste ragioni sono un ottimo componente per inventare storie. Mi attira l’idea di dare le parti di protagonisti a due personaggi spiacevoli come i due poliziotti. Mi piace anche non dare mai un appiglio sicuro ai lettori.
Niente eroi definiti. Niente buoni sempre. Niente cattivi sempre.“
Gipi è un narratore. Nei suoi fumetti luoghi, paesaggi, azioni, pensieri, dialoghi, sono calibrati ad arte, sostenuti da un segno spigoloso, denso di colori e di non-colori, di grigi profondi; un tratto personalissimo, riconoscibile, e capace di combinare ad un fascino evocativo già evidente al primo sguardo, una profonda comunicatività.
L’incedere cadenzato del suo narrare accompagna la storia senza ricercare il picco emozionale, il colpo di scena, senza valorizzare il singolo momento ma l’insieme del racconto, che scorre così quasi monotono nell’andamento e nel ritmo, eppure denso di significati e valori. Gli scenari urbani, così come i paesaggi senza confini sospesi sul mare, sono ambientazioni con cui l’autore si trova in sintonia, e attraverso i quali riesce a definire un’Italia inconfondibile, che ci appartiene; proprio come ci appartiene la sua storia, che in sottofondo condiziona la storia di una generazione tra le ultime ad aver vissuto momenti tanto drammatici e confusi. Lo sguardo sul quotidiano, e sui suoi aspetti che più silenziosamente sanno dimostrarsi eccezionali, sono un vero e proprio marchio di fabbrica dell’autore.
Personaggi veri, tridimensionali, tratteggiati dalla felice mano dell’autore. Innocenti, come l’adolescenza, quell’età in cui non sempre è facile rendersi conto del proprio posto nel mondo, del tempo che passa, del senso dello scorrere dei giorni e delle proprie azioni. Una linea di confine tra un’infanzia ancora radicata, e un’età adulta per cui non ci si sente ancora pronti.
Gli Innocenti non si accontenta di iniziare a pagina 3, ma comincia già dalla sovra-copertina esterna, che forma un’unico disegno con poche righe di commento, sul retro, offrendo già un piccolo quadro essenziale per collocare la vicenda. Allo stesso modo, aprendo l’albo, il risvolto in terza di copertina rappresenta ancora il ricordo di un episodio particolare, e di una foto perduta. Già da questi primissimi segni di stile si riconosce Gipi in maniera netta e inequivocabile.
“Igort mi ha insegnato a considerare il libro nel suo complesso.” – continua Gipi – “Dalle pagine della storia alla copertina, ai caratteri utilizzati per il titolo. Mi piace questa visione. Non sopporterei di avere la copertina fatta da un altro disegnatore (giusto per citare una pratica diffusa). In un volume di poche pagine come un Ignatz, credo sia importante sfruttare ogni spazio. La storia, per quanto mi riguarda, inizia già dalla copertina. Continua sulle bandelle interne, e finisce nell’ultima pagina a colori.“
Dove iniziano fisicamente le pagine del racconto, spariscono i colori acquarellati, sostituiti da tanti grigi che riempiono le vignette (forse meno valorizzati che in passato dall’edizione), che a loro volta cedono il passo, durante i flashback che riaffiorano dalla memoria di Giuliano, ad un bianco e nero quasi spoglio al confronto. Un contrasto sottolineato graficamente in maniera splendida, attraverso un segno che sembra voler richiamare all’innocenza dei ricordi, che perdendo le sfumature si stagliano più netti, eppure al contempo più eterei, confusi da linee che si sovrappongono, quasi instabili.
“Per quanto riguarda le scelte di tecnica (ma si può sostituire “tecnica” con “racconto”) , il cambio di tratto e pittura è una specie di fissazione.
È come se mi tenessi uno spazio dove, comunque, poter disegnare di getto. Fare casino, insomma. Una necessità mia di aprire alcune pagine, di potermi lasciar andare a un disegno istintivo.
L’idea del bianco come innocenza dei ricordi è suggestiva ma non voglio prendermi meriti che non ho. Io non ci ho pensato. Pero’ se questo è l’effetto che fa, ne sono contento.
Piuttosto, se devo trovare una motivazione, la trovo nella necessità di confusione. Il disegno confuso somiglia molto al mio modo di ricordare le cose. Sopratutto le esperienze fatte da ragazzo. Dai ricordi mi arriva una sensazione di essere stato sempre di corsa e non avere capito mai niente (esattamente come adesso, insomma).“
Gli innocenti è la storia del reincontro nel presente tra due ex “ragazzi di strada”, bulli della periferia cresciuti in un’Italia passata per la lotta contro il terrorismo e la paura. Giuliano ha pagato, lo si capisce senza che venga mai detto, ma ha riconcquistato un suo equilibrio. Valerio, vittima delle angherie di due poliziotti corrotti, ha perso invece per la strada molto più dell’uomo che avrebbe potuto essere.
Ad accompagnare Giuliano e i suoi ricordi, c’é il nipote, ragazzino acuto e vivace; il rapporto tra i due, con gli imbarazzi di uno zio che non sa come ci si comporta con un bambino, e l’innocente sfrontatezza di quest’ultimo, è costruito da momenti intimi che Gipi racconta in maniera semplice, lineare, e senza banalità.
“La storia de Gli innocenti è, come sempre, quasi vera.[…]” – leggiamo questa volta un’intervista all’autore tratta da www.libreriafenice.it/tuttofumetti.htm – “A diciotto anni mi sono ritrovato sul sedile posteriore di un’auto della digos. Avevo in tasca un coltello a scatto lungo così e i due poliziotti cattivi stavano parlando della mia fidanzatina (la mia prima immacolata fidanzatina) e di come se la sarebbero ingroppata davanti e di dietro. Non feci niente, se non soffrire un pochino e immaginare come ucciderli entrambi.Ma ora mi chiedo: se avessi perso il controllo? Se fossi stato più duro?“
Gipi parte quindi dalla sua esperienza personale, da un momento vissuto realmente, per costruire una storia realistica; attraverso pochi cambi, immaginandosi al cospetto di un diverso copione, sviluppa così una storia di finzione, altrettanto reale e plausibile. La figura di Valerio assume così una valenza nuova, un peso specifico più ampio. Pur occupando una parte minoritaria della storia, dolorosamente ai margini, dolorosamente segnato dalle scelte fatte, il suo occhio spiritato, il suo volto scarno e scavato, la sua rabbiosa disperazione, sono immagini importanti per la storia e per l’autore stesso. È in fondo un possibile “se stesso” che Gipi immagina nascosto nel suo passato, dietro a scelte non fatte, dietro casuali mosse del destino – o di qualunque cosa regoli la vita di un uomo. E se questi dubbi sono tanto personali per l’autore, non mancano di colpire anche il lettore. Il gioco dei tanti possibili “se”, delle stazioni e dei cambi di binario che determinano ciò che un individuo è, rappresentano materiale fertile per immaginare nuove storie. Terreno che Gipi conosce, coltiva, e del quale restituisce generosi frutti, sotto forma di storie.
Riferimenti:
Coconino Press – www.coconinopress.com
Gipi, Baci dalla provincia – www.bacidallaprovincia.com
Gipi, SantaMariaVideo – www.santamariavideo.tv