Il grande vuoto: un’intervista a Léa Murawiec

Il grande vuoto: un’intervista a Léa Murawiec

Abbiamo parlato con l'autrice de "Il Grande Vuoto" (Comicon Edizioni), vincitore del premio del pubblico "France Télévision" al Festival di Angoulême 2022.

Il grande vuotoche dà il titolo al fumetto di  Lea Murawiec è un luogo fisico fuori dalla città, ma è anche un luogo mentale: se la città rappresenta la grande compressione di cose e pensieri prensente nella vità delle persone, esso è la liberazione dal pensare, dalla frenesia, dal qualificarsi come induviduo solo in quanto presente nei pensieri degli altri. Nel mondo ideato dall’autrice, l’unica strada per la sopravvivenza è la presenza all’interno dei pensieri delle altre persone. Per questo i personaggi più popolari del mondo dello spettacolo sono a tutti gli effetti immortali, mentre le persone comuni hanno la necessità di stimolare in continuazione le proprie relazioni per guadagnare abbastanza presenza. Il grande vuoto fuori dalle mura può essere una fuga da questo intrico relazionale? Abbiamo chiesto all’autrice di darci la sua versione della storia, la sua interpretazione della presenza e del grande vuoto.

Léa Murawiec
Léa Murawiec a Lucca Comics & Games 2022

Ciao Léa e grazie per il tuo tempo. Inizio andando direttamente al cuore del fumetto: ne Il grande vuoto ci racconti che la presenza è qualcosa di indispensabile per la vita delle persone, senza di essa si muore. E’ praticamente immediato il paragone tra realta’ fisica e tutto ciò che comprende la vita digitale delle persone. Come vivi tu questo aspetto nella tua vita, cioè la presenza sui social in rapporto a quella che è la vita reale (anche se poi oggi siamo tutti consapevoli del fatto che anche la vita digitale sia nei fatti reale)?
La vita digitale o la presenza sui social non sono stati strettamente il punto di partenza della riflessione che mi ha portata a scrivere Il grande vuotoL’opera parte soprattutto dall’idea che per essere artista e autrice di fumetti, bisogna anche mostrare il proprio lavoro, il processo creativo. Essere artista oggi significa anche gestire la propria immagine, la propria comunicazione, bisogna sdoppiarsi e non sempre si è preparati per dare un’immagine di sé che sia anche professionale. Quindi avevo voglia di parlare di questo obbligo di mostrare allo stesso tempo il proprio lavoro e dare un’immagine pubblica di sé che è anche un po’ inventata per il lavoro. Volevo parlare della differenza tra l’immagine che diamo sui social e l’immagine privata che teniamo per i nostri cari. Ad ogni modo, il mostrarsi in modo diverso sul lavoro o con amici e famiglia era qualcosa che c’era anche prima dell’arrivo dei social. Ho degli amici che sono super estroversi appena conosciuti, ma se poi vai un po’ più a fondo ti rendi conto che sono molto riservati. E questa riflessione e’ anche un modo per domandarsi se vogliamo davvero dare tutto per degli sconosciuti, piuttosto che preservare una parte di se’ solo per i propri cari. Poi con i social è venuto anche il fatto che si possa quantificare la propria presenza e contare il numero di amici o di persone che hanno un legame con noi e che sono accessibili. Il grande vuoto nasce da tutte queste riflessioni, ed è vero che ora mi ritrovo molto più vicina a quanto ho scritto nel libro, perché nel frattempo sono diventata un’autrice professionista e le persone si rivolgono a me come se fossi qualcuna di diversa da me stessa perché c’è lo schermo di questa opera: intendo dire che le persone che sono state molto toccate da questo libro mi parlano come se mi conoscessero, ma la verità è che non mi conoscono veramente.
E nel fumetto, anche tutto il sistema dei nomi che vengono scelti rappresenta il bisogno che abbiamo di essere riconosciuti nella società: c’e’ una pressione sociale che ci spinge a vedere gente, uscire, vedere la famiglia, andare a delle feste anche se non ne abbiamo voglia, e tutto questo per la paura di non esistere più, di sparire dai pensieri delle persone. Il tema dell’ansia sociale e dell’angoscia che ne deriva è presente, e anche l’idea che alla fine della nostra vita, quando moriamo, restano comunque delle tracce di noi, della nostra vita, del nostro nome. In occidente lasciamo proprio il nostro nome su una lapide, e adesso succede che quando camminiamo in un cimitero sembra quasi di visitare l’interfaccia di un social. Abbiamo paura di sparire completamente dopo la morte e quindi vogliamo lasciare una traccia lì, ma anche attraverso ad esempio dei libri che abbiamo scritto durante la nostra vita e che ci sopravvivono. Christian Boltanski (Parigi, 1944-2021) diceva che moriamo due volte: la prima volta fisicamente quando muore il nostro corpo, e la seconda volta quando l’ultima persona che ci può riconoscere su una fotografia muore a sua volta.

Il grande vuotoMa quindi che cosa è il grande vuoto?
Il grande vuoto è un mix di un sacco di cose: è una sorta di grande vuoto interiore, ma è anche l’idea che corriamo dietro a qualcosa per pressione sociale o perché pensiamo che sia un bene per noi, per sentirsi riconosciuti. Probabilmente non ci diamo il tempo di chiederci chi siamo, che cosa vogliamo fare veramente e che cosa conta di più per noi.
Nel fumetto, il grande vuoto è anche un luogo che non è produttivo, fuori dalla città: il titolo del libro parla di uno spazio dove non c’è nessuno, e quindi non c’è possibilità di sopravvivenza, dato che per farlo in questo universo occorre che le persone si ricordino di noi e pensino a noi. Ma se costruiamo una comunità in uno spazio più piccolo e contenuto possiamo comunque conoscerci e vivere bene insieme.
Il grande vuoto è infine un fantasma: la mia eroina sogna di raggiungerlo per fuggire dai suoi problemi piuttosto che trovare soluzioni nel luogo in cui si trova, perche’ anche se ha degli amici nel luogo in cui vive questo non è sufficiente per lei per vivere.

Ha anche una famiglia, ma alla fine si dimentica di loro…
Infatti, è talmente concentrata su ciò che lei pensa essere buono e vitale per lei, che si scorda che vitali sono anche i propri cari e la famiglia. In fondo, quando lavoriamo molto e siamo occupati per inseguire un riconoscimento professionale ci dimentichiamo delle persone che abbiamo più vicine. Anche la celebrità contribuisce a questo processo. Alla fine ci dobbiamo circondare di persone che hanno la nostra stessa vita, perché siamo troppo sconnessi da tutto. E’ un po’ ciò che succede agli immortali nel fumetto, sono delle persone che hanno così tanta presenza e ricevono talmente tanta attenzione da dimenticare che coloro che li hanno accompagnati dall’inizio della loro vita sono persone care e importanti.

Ad ogni modo non è chiaro se la protagonista alla fine era felice di essere arrivata nel grande vuoto…
Volevo una conclusione piuttosto ambigua, con un finale aperto. Io sapevo fin dall’inizio che lei alla fine sarebbe arrivata al grande vuoto, anche se è stata un’avventura arrivarci. All’inizio sogna di partire e fuggire da tutto, ma alla fine trova delle ragioni sbagliate per restare, che però sono per lei più rassicuranti perché socialmente più accettabili. E nonostante questo, una volta raggiunto il suo obbiettivo, va comunque in crisi perché non è davvero pronta a ricominciare da capo. Anche noi, una volta che realizziamo i nostri sogni, siamo davvero pronti e pronte ad accettarne le conseguenze? Che cosa riusciamo a costruire partendo da lì? So che molta gente intorno a me, e forse anche io, in qualche modo vorrebbero andarsene dalla città per costruirsi una vita più “naturale”, ma anche questo è un fantasma, perché andremmo a ricostruire anche in quel posto ciò che già conosciamo.
La protagonista, una volta coronato il suo sogno, non sa cosa fare, non sa se è pronta a incontrare nuove persone dopo aver rovinato amicizie.

Il grande vuotoQuando la protagonista è arrivata nel grande vuoto, io ho tirato un sospiro di sollievo per lei, ho percepito come se finalmente lei potesse ricominciare a vivere senza la pressione della presenza e in modo più tranquillo, anche se si percepisce la sua paura.
Lei esita e ha comunque paura di lanciarsi veramente nel grande vuoto, perché deve ricominciare da capo. Gli esseri umani sono nati per vivere in società, non possiamo stare da soli e non possiamo contare sempre solo su noi stessi. Lei esita all’inizio e non ha bisogno degli altri per sopravvivere perché è ancora immortale , ma ad un certo punto ne avrà bisogno, perché la presenza è necessaria ovunque in questo universo. E’ vero che nel villaggio in cui lei arriva sono in pochi e vivono come in una comunità e quindi tutti si conoscono e nella testa di ognuno c’è molto spazio per tutte le altre persone.

Parlando invece della parte più artistica e grafica, ho notato influenze che arrivano un po’ da ovunque: c’è molto underground americano ed europeo, c’è molto manga che si ritrova in particolare nel cinetismo di molte tavole. Volevo quindi chiederti un po’ quali sono state le maggiori influenze sul tuo lavoro?
Mi hanno posto e mi pongono spesso questa domanda, ma la verità è che io non funziono molto su grandi referenze o ispirazioni a maestri. Però leggo moltissimo fumetto, tranne i comics americani. Leggo soprattutto manga e bande dessinée occidentale, quindi logicamente questo si è riversato in qualche modo nel mio libro. Inoltre io faccio e leggo fumetti da quando ero bambina, e tutte le letture hanno influenzato e influenzano il mio lavoro. Ho iniziato leggendo BD franco-belga, come Asterix e Tintin, poi sono passata ai manga (che leggo ancora oggi) e ho fatto tantissimi fumetti copiando i manga. Ho adorato Tezuka e lo leggevo quando ero adolescente, e penso che questo un po’ si veda. Poi guardavo anche tantissimi cartoni animati, tipo quelli di Tex Avery (1908-1980). E poi, solo per citarne alcuni, ammiro molto il lavoro di Jerome Dubois, Bérénice Motais de Narbonne, che è anche lei influenzata dal manga, Michael DeForge, che lavora soprattutto negli Stati Uniti.

Comunque per essere un fumetto francese, tu distruggi tantissimo la griglia nelle tavole…
Ho cercato di comporre le mie tavole dicendomi che non volevo annoiarmi nel crearle e non volevo nemmeno annoiare il lettore, percio’ ho deciso di cambiare ogni volta qualcosa. Ho sempre paura di ripetere troppo spesso  tavole con sei o otto vignette, quindi ho messo delle tavole a tutta pagina o delle splash page se volevo dare un focus su un certo dettaglio o su un momento particolarmente drammatico. Oppure ho ristretto moltissimo le vignette in occasione di un procedere più incalzante e serrato. Chris Ware è una grande influenza da questo punto di vista: se hai una sola immagine ci passi sopra più tempo, che quindi di fatto rallenta. Ho fatto anche fumettsperimentali, e sono molto consapevole di come fare un fumetto, del suo linguaggio ed è qualcosa con cui amo molto giocare. Io ho cercato di lavorare soprattutto sulle emozioni dei personaggi, cercando di modificare il tratto in funzione di quello che il personaggio voleva esprimere. Da manga derivano le figure che escono dalle vignette così come le sonorità di onomatopee che prendono molto spazio nella pagina, chiara ispirazione a Yuichi Yokoyama, che è un grande riferimento per la mia generazione. Come toni, invece, mi sono rifatta ad esempio a Full Metal Alchemist di Hiromu Arakawa, in cui i personaggi passano agevolmente dal drammatico al comico, che si rinforzano l’un l’altro. In Francia l’impressione è che se fai qualcosa di serio, può essere solo serio. Io invece ho voglia di ridere e anche di piangere, esattamente come succede nella vita. Questa e’ una cosa che amo nei fumetti. Un esempio perfetto è Carnet de santé poireuse di Pozla: si può alleggerire anche il tragico con dell’umorismo, oppure si può anche accentuare il tragico con l’umorismo quando questo è molto cinico.

Chris Ware ha affermato di trovare bizzarro come gli esseri umani tendano a costruire cose geometricamente angolate e squadrate, quando questo tipo di forme in natura non esistono. Tu accentui molto questo aspetto negli edifici che sono nella città e questo tratto si pone in contrasto con le forme arrotondate e morbide, quasi elastiche, delle figure umane.
Ora vorrei chiederti qualcosa di più rispetto alla tua esperienza come residente a Angouleme. Come è stato vivere là e portare avanti il progetto di Il grande vuoto in seno a quell’esperienza?

E’ stato meraviglioso. Io ho studiato a Angouleme, e quando io mi sono diplomata, in quell’anno, la mia scuola ha iniziato questo rapporto tra la scuola e la residenza, chiedendo di creare un posto speciale per uno studente o una studentessa che stava finendo la scuola. Quindi questa esperienza è stata creata per la prima volta nell’anno in cui io sono uscita dalla scuola. Io ho proposto il mio progetto di Il grande vuoto ed ero in competizione con tutte le altre persone della mia classe per un solo posto. Alla fine ho ottenuto quel posto e sono riuscita ad entrare.
E’ stato un anno di laboratorio presso la Maison des Auteurs con una borsa per portare avanti il mio progetto e un appartamento assegnato gratuitamente. Per me è stato incredibile cominciare a fare fumetto in questo modo, perché il primo libro è sempre il più problematico: non ci sono soldi di libri precedenti che possono finanziarti, non sei nessuno e parti da zero senza sapere cosa potrà poi succedere in futuro. In più devi imparare tutto: io sapevo fare fumetto, ma non sapevo farne uno da 200 pagine! Ciò che ha reso la cosa ancora più grandiosa è che alla Maison des Auteurs ci sono circa quindici/venti autori e autrici di fumetto tutti insieme che vengono da ovunque nel mondo, quindi io sono cresciuta moltissimo lì, e ho trovato colleghi che ora sono cari amici e che mi hanno aiutata tantissimo. Anche l’età era un po’ più alta della mia, direi che la media è sui 30/35 anni, quindi loro avevano già esperienza, ed è stato incredibile per me poter beneficiare di tutto questo. Ho guadagnato anche tempo, incontrando persone che avevano già sperimentato molto. E’ molto bello perché è un ambiente misto, nel senso che ci sono lo stesso numero di autrici e autori, il che è anche molto importante. Io mi sono sentita molto sostenuta e ben accolta, e questo mi ha aiutato molto nella stesura di questo libro, mi sono sentita legittimata a parlare con la mia voce d’autrice e mi sono sentita che avevo il diritto di scrivere e disegnare il mio fumetto.
Io sono rimasta alla residenza più a lungo rispetto a quanto avevo inizialmente richiesto, circa un anno e sette mesi, che è il tempo che mi ci è voluto per finire il fumetto. Onestamente, non so come sarebbe andata se non fossi stata là.

L’esperienza residenziale è stata durante il Covid se non sbaglio…
In effetti sì. Ho visto il prima, il durante e il dopo. Ora sta tornando tutto alla normalità. In quel momento però è stato davvero complicato. C’era una sacco di gente che doveva tornare a casa propria, mentre io ero confinata nel mio appartamento della residenza.Alla fine e’ stato un bene essere li’ e avere quei legami, altrimenti sarei stata davvero molto sola. E alla fine adesso, ovunque vada, in qualsiasi paese, conosco già qualcuno che ci è stato, ho creato legami molto forti, in pratica  una comunità dentro la comunità.

E per esempio in Italia chi conosci?
Conosco alcune autrici che sono passate dalla residenza, Giorgia Cassetti e Giorgia Marras.
Poi conosco degli autori italiani, non personalmente, ma grazie alle mie letture come Manuele Fior e Zarocalcare. E poi quando ero piccola leggevo il magazine delle Witch. Mi piacevano tantissimo, le copiavo e riempivo quaderni interi disegnandole.

Il grande vuotoStai lavorando su un nuovo fumetto?
Al momento no, mi sto apprestando a buttare giù le prime idee. In effetti in Francia Il grande vuoto ha avuto un successo enorme, che mi ha anche sorpreso, e non ho avuto il tempo di fare nient’altro quest’anno se non la promozione del fumetto. E tutte le volte che mi propongono di andare da qualche parte vado, perché mi piace incontrare le persone. Solo che non ho avuto tempo per me. Io ero abituata a fare moltissimi fumetti e non ho fatto quasi niente quest’anno, è stato piuttosto strano. Quindi sto cercando di ritrovare il tempo, ma mi rendo conto che per farlo devo veramente essere chiusa a chiave a casa.

Comunque hai delle idee?
Sì, ma penso che ci sarà bisogno di ancora molto tempo per realizzarle. Credo che dovrò lavorare ancora due o tre anni. Mi piace comunque creare delle storie dentro universi immaginari, e quindi è necessario prendersi il tempo per la creazione di questo mondo prima di iniziare a scrivere la storia. Ogni volta che voglio scriverne una, penso prima di tutto al mondo dove si sta svolgendo e ho bisogno di conoscerlo a fondo prima di iniziare a raccontare una storia. Anche se in Il grande vuoto i personaggi sono venuto prima di tutto, prima che dell’universo nel quale vivono, ho comunque avuto bisogno di sapere come vivono le persone in quel luogo, come comprano il pane, se ci sono i soldi e che forma hanno, come interagiscono le persone tra loro. Inoltre decido sempre prima cosa rivelare di quell’universo e anche questo prende molto tempo. Comunque posso almeno dire che per il momento non mi sento di aver bisogno di scrivere il secondo volume di Il grande vuoto.

Non ti ho ancora chiesto nulla sulla scelta della palette di colori del fumetto…
Come dicevo prima, ho due influenze: da una parte il fumetto indipendente, dall’altra il manga. Quindi sono abituata a disegnare in bianco e nero percio’ ho seguito un po’ quello stile. 
Io ho anche una piccola casa editrice indipendente che si chiama Flutiste, nella quale sono editrice e autrice, siamo un collettivo. E’ lì che ho iniziato a pubblicare effettivamente. Ormai sono 10 anni che pubblico e questo mi ha aiutato moltissimo, mi ha permesso di testare parecchie cose e anche di commettere errori. Il Grande vuoto è il mio primo fumetto, ma in realtà non è proprio il mio primo fumetto, è il primo pubblicato da un editore più grande e che ha avuto molto più pubblico. Questo per dire che so che fare un fumetto in bianco e nero è molto più economico e accessibile. C’è pero’ da considerare che in Francia nessuno (o comunque pochissimi) fa fumetti in bianco e nero; il colore e’ molto importante e molte persone quando vedono che un fumetto è in bianco e e nero non lo leggono. Al tempo stesso, un fumetto come Persepolis di Marjane Satrapi ha funzionato, inoltre non hanno problemi a leggere i manga che sono anch’essi senza colori. E’ molto frustrante perché sembra che se sei francese non puoi permetterti di farlo. Comunque avevo già avuto delle esperienze con la bi e la tricromia con Flutiste e quindi mi sono lanciata. Anche perché non mi andava per il primo libro di imparare a fare qualcosa per me di completamente nuovo.
Quindi ho deciso che sarebbe stato per lo più in bianco e nero con dei colori solo su alcune parti che sono significative per la storia. In generale quando si inizia a lavorare a colori è molto difficile tornare indietro, perché si ha come l’impressione che poi non ci sia una vera completezza. quindi ho voluto mantenere per la maggior parte il mio stile. Poi con l’editore abbiamo deciso che avremmo scelto tre pantoni per le parti “colorate”, che solo in alcune vignette specifiche possono anche mischiarsi per creare delle nuances intermedie. La scelta dei colori pantone è stata dettata dal volerli rendere molto vivi, come se uscissero dallo schermo. Io ho potuto vederli solo dal mio pc. I colori sono l’unica cosa che ho inserito in digitale, tutto il fumetto è stato eseguito in china su foglio di carta.

Ah, quindi tu non lavori in digitale…
No, non sono abituata e ho deciso che non avrei imparato a fare tutto in digitale per questo fumetto. Se dovessi fare una graphic novel tutta in digitale dovrei reimparare un po’ a disegnare perché non lo so fare. In effetti prima di usare china e pennino usavo i pennarelli. Passando alla china ho dovuto cambiare un po’ il mio modo di disegnare perché dovendo utilizzare uno strumento diverso, ho dovuto adattare il mio modo di lavorare. Quindi se ora iniziassi con il digitale sarebbe la stessa cosa. Inoltre preferisco anche utilizzare la carta perché posso lavorare sullo stesso formato A4 della stampa e penso che questo mi preservi dagli errori, e mi permette anche di avere sempre una visione di come si vedrà esattamente. E lo preferisco perché altrimenti mi perderei nel disegnare dei piccolissimi dettagli perché posso zoomare all’infinito. Quindi ho lavorato su foglio con china e pennino e poi ho passato il disegno su Photoshop chiedendo di convertire tutto il nero in viola, e qui ho aggiunto il colore.

Grazie mille, Léa, per aver condiviso con noi tanti dettagli sul tuo fumetto Il grande vuoto, e per il racconto delle tue esperienze come autrice.

Intervista condotta dal vivo a il 29 ottobre 2022 a Lucca Comics & Games

Léa Murawiec

Léa Murawiec
Léa Murawiec a Lucca Comics and Games 2022

Nata nel 1994 in Francia, ha frequentato l’Ecole européenne supérieur de l’image à Angouleme con un’esperienza Erasmus a Shanghai. Come lavoro di fine studi ha realizzato un fumetto a scelte multiple dal nome Endurance. Nel 2013 fonda insieme ad altri artisti il collettivo Flutiste, una realtà di autoproduzione che ben presto diventa una piccola casa editrice di cui Muriawec diventa editrice.
Nel 2021 pubblica Il grande vuoto con édition 2024 che ottienne numerosi premi, tra cui Miglior fumetto 2021per la redazione di ActuaBD, il Fauve du Public France Télévisions, e ottiene una menzione d’onore alla Bologna Children’s Book Fair nella categoria Comics-young adult.

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