Il diario della mia scomparsa: il malessere esistenziale di Hideo Azuma

Il diario della mia scomparsa: il malessere esistenziale di Hideo Azuma

J-Pop porta in Italia il volume autobiografico di Hideo Azuma, creatore di Pollon, nel quale l'autore racconta i problemi con l'alcol, il ritmo pressante del lavoro di mangaka e la sua vita da clochard.

Il diario della mia scomparsa, scritto e disegnato dal compianto Hideo Azuma, è un fumetto autobiografico, uscito originariamente in Giappone nel 2005, e riguarda un particolare periodo della vita dello stesso mangaka, già autore del famoso Pollon. Il volume ha vinto nel 2019 il premio Gran Guinigi di Lucca Comics & Games nella categoria “Riscoperta di un’opera“.

In questo fumetto i temi trattati, per quanto importanti ed emotivamente complicati da mettere su carta, vengono esposti in maniera molto chiara ed esplicita. L’autore non vuole infatti nascondere nulla al lettore, fin dal principio, mettendosi a nudo con sincerità fin dalle prime pagine.
Bisogna partire dicendo che Azuma adotta per la narrazione dell’intera vicenda un tono tragicomico, stemperando così volutamente le situazioni drammatiche in cui si viene a trovare. Inoltre si pone come narratore onnisciente e si affida a numerose didascalie, donando un taglio quasi documentaristico a certe sequenze.

Il lavoro da mangaka viene dissezionato e ne vengono messi in mostra i lati negativi (molti) e quelli positivi, l’importanza dell’editor, spesso dimenticata, e come il metodo di lavoro in quell’ambiente sia deleterio a causa di un sistema che porta l’artista a essere sommerso di consegne: utili sì per diventare più famosi, ma che non riesce poi a evadere a causa dell’elevato numero, trovandosi così a lottare tra paranoie e deadline. I lati negativi sono una delle cause principali di tutto il malessere esistenziale dell’autore, lo portano all’alcolismo e alla depressione, decretando infine la sua decisione di fuggire da tutto, per allentare pressioni lavorative e sociali.

Da qui comincia il viaggio da senzatetto, la lotta per la sopravvivenza tra freddo e fame e le riflessioni sulla condizione di vita da clochard, che si ampliano poi all’esistenza stessa. Azuma disvela un mondo, quello degli emarginati in Giappone, poco conosciuto in Occidente, a causa di una stereotipata visione che ha l’Europa riguardo al Sol Levante, visto come il paese perfetto dove tutto funziona e tutti sono completamente integrati nella società.
Interessante notare come l’autore, nonostante si disinteressi apertamente del parere della gente, tenti di mantenere un certo decoro personale, una sorta di senso dell’onore infuso anche nella figura dell’escluso per eccellenza, cercando di sembrare quanto più normale possibile passando di fianco alle ragazze per strada oppure evitando di mostrarsi in una tenda che esemplificherebbe troppo esplicitamente la sua condizione.

Mano a mano che la vicenda prosegue e il protagonista trova un ritmo e una quotidianità nel suo nuovo stato, torna l’insofferenza e la depressione, quel terribile male di vivere che ancora una volta non lo lascia respirare: in bilico tra il nichilismo e un pesante senso di inutilità, l’autore si ritrova a diventare un idraulico, cercando così uno scopo a una vita che sente vuota.
In queste sequenze si offre un altro spaccato che sfida alcuni stereotipi sul Giappone e sui giapponesi: le storture del lavoro vengono spiattellate in faccia al lettore, tra furti, colleghi violenti e interventi superficiali, mostrando come la supposta serietà e diligenza siano costrutti utopistici di una visione occidentale annebbiata.

La depressione torna comunque, insieme all’abuso di alcol, perché quella vita da idraulico lo sfianca fisicamente, non gli dà nessuna soddisfazione e soprattutto non gli fornisce il senso a cui tanto anelava.
Da quel punto comincia così l’ennesima caduta, che si trasforma poi nella riabilitazione all’interno di un ospedale, per curare la sua dipendenza, dando vita all’ultima parte del libro, che descrive la sua vita tra analisi, assurdi incontri per alcolizzati, rigidità del sistema e un senso di accettazione del proprio stato.

I disegni, dal tratto semplice, pulito e morbido, riassumono perfettamente perché Hideo Azuma sia considerato un maestro. Evitando un eccessivo realismo per garantire una visione positiva di tutto quanto narrato, come detto molto chiaramente dallo stesso autore a inizio volume, e illustrando in modo limpido la messa in pratica delle teorie di Scott McCloud (soprattutto quelle riguardanti la semplificazione del character design per favorire l’immedesimazione e l’uso dell’inchiostrazione come modo per mettere in evidenza i personaggi in determinate sequenze), il mangaka riesce ad assicurarsi attraverso il segno una grande empatia da parte del lettore, che anche se non si immedesima comprende la decisione di abbandonare tutto e tutti.

Il ritmo controllato, che evita drammatizzazioni ed estremi picchi emotivi, rinforza il taglio documentaristico impresso all’opera, in cui l’autore analizza se stesso con precisione chirurgia e dovizia di dettagli, usando anche vignette piccole per aumentare le informazioni e gli aneddoti distribuiti tra le pagine.

Risulta doveroso notare due particolari riguardanti la parte artistica. Il primo è la caratterizzazione fisica che Azuma dà a se stesso: il mangaka, infatti, si raffigura quasi come un kappa, essere folkloristico giapponese dalle dimensioni ridotte, disegnando la peculiare depressione in testa tra i corti e ispidi capelli (okappa atama), omettendo però l’acqua che di solito si portano dietro e che conferisce loro la forza. Questo può aprire stimolanti riflessioni: raffigurandosi così dimostrava di aver perso ogni tipo di combattività spirituale? È probabile, ma non ci è dato saperlo con certezza.
Il secondo particolare è la raffigurazione delle allucinazioni come yōkai, creature sovrannaturali giapponesi (delle quali il kappa fa parte), connotando così una visione causata dall’alcol con tratti autoctoni, infondendo un leggero ma efficace tocco di genialità e originalità a quanto gli accade.

Il diario della mia scomparsa è quindi un’opera imprescindibile, finalmente portata in Italia, che racconta una parte della vita di un autore che ha lasciato un segno nella storia del fumetto e dell’animazione giapponese.

Abbiamo parlato di:
Il diario della mia scomparsa
Hideo Azuma
Traduzione di Carlotta Spiga
J-Pop, 2019
212 pagine, brossurato, bianco e nero – 12,00 €
ISBN: 978883275652

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