Premessa doverosa: ho adorato Guy Delisle come autore, lo considero uno dei massimi esponenti del graphic journalism, ultima branca del prodotto culturale ed editoriale graphic novel, risultanza del tentativo di sdoganare il medium fumetto all’interno delle librerie di varia. Durante la recente Lucca Comics & Games ho seguito con piacere gli incontri, la mostra, le session di autografi dell’autore, fino a incontrarlo nel centro di Lucca, in inequivocabile atteggiamento da turista “interessato”. Se Delisle deciderà mai di raccontare del mondo fieristico del fumetto, non potrà esimersi dall’inserirmi in uno dei suoi sketch, come vero e proprio stalker.
Questa premessa è necessaria per far capire l’importanza di approcciarsi in modo completamente diverso a quest’opera dell’autore canadese, nella speranza che i giovani o meno giovani papà che si avvicinano all’autore per curiosità nei confronti del titolo, non tralascino la bibliografia precedente del fumettista.
Il Diario del cattivo papà è la prima opera di Guy Delisle a non essere un reportage: dopo averci fatto conoscere Pyongyang, Shenzen, la Birmania e la complicata e contraddittoria Gerusalemme, il fumettista canadese ci parla infatti dell’essere padre.
Una tematica, questa, già precedentemente affrontata nelle sue opere: soprattutto in Cronache birmane e nelle stesse Cronache di Gerusalemme, opere di graphic journalism legate all’esperienze che Delisle ha avuto in seguito agli incarichi ottenuti in questi paesi dalla moglie, funzionaria di Medici Senza Frontiere.
In queste situazioni Delisle sostituisce la moglie nel ruolo di casalingo, in particolar modo per quanto riguarda l’occuparsi dei figli.
Il tema della paternità, però, era trattato diversamente che in quest’ultima opera: i bambini erano quasi espedienti narrativi per crearsi libere uscite nel territorio circostante, alla ricerca di situazione da raccontare, di ricordi da tenere in mente, da appuntarsi, secondo il suo metodo di lavoro1, per poi rinarrarle, una volta tornato nel suo studio, tramite il suo io-personaggio, trasognato e molto più ingenuo del suo stesso narratore, smaliziato e forte conoscitore del medium.
In quest’opera invece, Delisle restringe il campo al semplice raccontare di piccole situazioni familiari, in poche tavole di rapida lettura nelle quali il suo comportamento alle volte incosciente e poco politically correct verso i suoi bambini può divertire il lettore: sicuramente alcuni padri potranno ritrovarsi in certe situazione e lettori non troppo avvezzi al medium, da colpire nelle librerie di varia, ultimo tempio profano dove salvare economicamente il fumetto, potranno affezionarsi al divertentissimo Guy e ai suoi poveri bambini, veri eroi del volume, ben più maturi del loro genitore.
Anche l’assenza della madre, scelta narrativa utile a mostrare esclusivamente il rapporto dei bimbi col padre, è strutturale per affezionarsi e nel contempo biasimare Guy, senza una presenza che avrebbe sicuramente stemperato cambiato i rapporti di forza all’interno della coppia e fra la coppia e la prole.
Il diario del cattivo papà è da leggere cercando di non dimenticare le opere precedenti e la loro profondità, alle volte celata altre volte facilmente visibile, ma contemporaneamente di godersi il puro divertissement che Delisle ci offre, senza ricercare tematiche importanti o la sottigliezza della narrazione vista nei suoi lavori passati.
Il tratto grafico spinge ancora più sul lato umoristico: anche le anatomie dei personaggi, soprattutto del volto di Guy,sono ricche di espressioni che mostrano irritazione, divertimento, preoccupazione, ilarità, sempre in un modo mutato dai cartoon e dall’animazione, mondo di provenienza dell’autore.
L’edizione Rizzoli – Lizard, un tascabile con alette, è molto elegante e si avvicina a uno stile “libresco”, che denota la precisa intenzione anche commerciale di trasformare l’opera in un best-seller, da regalare ai neo-papà di tutti il mondo, con la speranza che siano un po’ diversi da Guy.
Abbiamo parlato di:
Diario del cattivo papà
Guy Delisle
Traduzione di Giovanni Zucca
Rizzoli – Lizard, novembre 2013
192 pagine, brossurato, bianco e nero – 12,00€
ISBN: 9788817069663
come da lui spiegato all’incontro tenutosi durante Lucca Comics & Games 2013, Delisle sul posto prende solo appunti, idee, schizzi. Al suo ritorno, decide se il materiale da lui raccolto valga la pena o meno di essere raccontato, e solo in seguito si mette al lavoro. ↩
Andy
29 Novembre 2013 a 16:03
Recensione interessante…il tema è inusuale e curioso, gli daro’ un’occhiata in libreria per valutare meglio.
Certo che i padri moderni sono proprio un enigma(anche per loro stessi) persi tra le loro mancanze e i loro sensi di colpa!
Saluti
Marco Pellitteri
30 Novembre 2013 a 03:24
Vorrei segnalare che Guy Delisle non fa giornalismo a fumetti. I suoi fumetti sono *diari di viaggio* molto personali. Non hanno alcuna valenza giornalistica: sono solo narrazioni a fumetti delle esperienze e percezioni personali dell’autore. Il giornalismo a fumetti è *giornalismo* che si esprime con i fumetti. Guy Delisle non solo non è un giornalista, ma non produce reportage di alcun genere. Insomma i fumetti di Delisle si inscrivono nel genere della “letteratura di viaggio”, ma a fumetti. Il descrivere fatti realmente avvenuti non tramuta automaticamente un fumetto in un esempio di graphic journalism. I fumetti di Delisle non sono nemmeno graphic novel (romanzi a fumetti) perché non sono romanzi.
Con ciò voglio dire che un conto è tenere conto di quale sia la categoria merceologica nella quale un determinato libro a fumetti viene inserito da parte degli editori, dei distributori e dei librai, e un altro conto è definire in modo più analitico, dal punto di vista della critica letteraria e dello studio dell’editoria e dei media (e del fumetto come linguaggio), le opere a fumetti ascrivibili ai filoni del romanzo, del diario di viaggio, della biografia e dell’autobiografia, del rendiconto storico romanzato, della testimonianza, dell’intervista, del documentario, del mockumentary, del reportage, della ricostruzione di cronaca, del manuale tecnico ecc.
la redazione
2 Dicembre 2013 a 21:15
Ciao Marco,
Grazie del commento e dello spunto di riflessione, come tutti utile per fare sempre meglio quel che facciamo. Sottolineiamo che l’ambito della recensione non era certo disquisire sul Delisle dei precedenti fumetti, quindi non era a nostro avviso il contesto per approfondire il concetto.
Oseremmo dire che comunque sul termine di graphic journalism potremmo dilungarci sul cosa lo sia e cosa non lo sia, senza peraltro dimenticare che possiamo riconoscere a certi resoconti o reportage di viaggio (a fumetti e non) la valenza di giornalismo. Tra l’altro anche tu stesso ci sembra abbia cambiato idea, dopo aver letto la definizione da te scritta sul sito Treccani.it
http://www.treccani.it/enciclopedia/graphic-journalism_(Lessico-del-XXI-Secolo)
Cordiali saluti
Salvatore Cervasio
3 Dicembre 2013 a 18:10
Noto solo adesso i commenti, mi dispiace non essere intervenuto prima. Come al solito però, la redazione dimostra capacità analitiche e disquisitorie molto superiori alle mia :D
Nel ri-sottolineare il fatto che qui non si andava a giudicare le precedenti opere dell’autore, è per me comunque abbastanza difficile non ascrivere anche il Delisle negli autori-giornalisti: in un mondo sempre più all’asciutto di veri e propri reporter, i diari di viaggi del canadese mi paiono davvero colmare questa lacuna, sostituendosi a chi di dovere. E’ comunque molto interessante la tua sottolineatura e ti ringrazio per l’attenzione :)
Marco
6 Dicembre 2013 a 06:54
È vero. Nelle enciclopedie le definizioni sono un po’ più larghe e comprensive. Ed è vero che Delisle offre prospettive e punti di visfa avvicinabili al giornalismo “di testimonianza”. Il mio commento non toccava del resto la sostanza dell’articolo, su cui concordo, ma in questo periodo tutti stiamo riflettendo sulle definizioni dei generi e delle forme dei fumetti, e il tema salta fuori anche senza che uno se ne renda troppo conto!…
Marco Pellitteri
9 Dicembre 2013 a 02:03
Avevo già provato a rispondere ma il vostro sito si mangia i commenti. Dovete fare qualcosa per risolvere questo problema. Io sto scrivendo con un normalissimo iMac usando Safari. Quindi SO che la colpa non è mia, ma della piattaforma che usate per il vostro sito. Quindi adesso lo riscrivo in forma brevissima.
Ciò detto: potrei simpaticamente dire “touché”, visto che nel lemma in questione sulla Treccani ho incluso Delisle; è vero. Tuttavia nei lemmi enciclopedici le definizioni sono più lasche e le inclusioni più tolleranti. Ho dovuto, diciamo così, chiudere un occhio, tenendo presente che nella concezione che si è diffusa nei media generalisti autori come lui rientrano nella categoria di graphic journalist, anche se la cosa non è a mio avviso corretta in un’ottica “tassonomica” più tecnica e specialistica.