Il 12 luglio, a Firenze, hai realizzato una performance nella quale hai disegnato rinchiuso in prigione. Puoi spiegarci meglio com’è stata pensata l’iniziativa e con quali finalità?
Sono stato invitato dalla rivista FFF Firenze Fast Forward e dall’Assessorato alla Cultura di Firenze a pensare a un’azione performativa all’interno del nuovo centro Le Murate che si prefigge di diventare uno dei poli dell’Arte contemporanea della città.
Nel 1808 il convento Santissima Annunziata venne ristrutturato e trasformato in un carcere. Durante la Seconda Guerra mondiale il carcere diventò famoso perché ci venivano torturati i prigionieri politici dai Nazifascisti.
Ho intitolato l’evento Ho sentito le vostre voci. È stato un momento intimo e delicato, una ricomposizione di una sfida mentale, ovvero il regime carcerario che da anni studio in miei vari lavori.
Ho disegnato in diretta da dentro una cella, chiuso dietro le sbarre e non visibile direttamente dal pubblico se non mediante una telecamera che riprendeva le mani e i fogli per proiettarli su un grande schermo esterno. Ciò che accade all’interno di una cella non può essere difatti visto se non attraverso la mediazione. Anche se l’azione è innocua, come il disegno. All’esterno era presente anche un’installazione sonora fatta di voci e testimonianze di prigionieri di guerra.
Hai realizzato singole illustrazioni o una storia a fumetti?
Una sorta di racconto ricomposto, fatto di voci e disegno, la sostanza del fumetto. Ho eseguito 11 disegni che per quanto mi riguarda compongono un racconto, un racconto del male che l’uomo può procurare all’altro.
Perché disegnare dal vivo? In che modo pensi possa essere interessante una pratica che, normalmente, avviene in privato, al tavolo da disegno del proprio studio?
Penso che vedere una mano e una penna che dal nulla creano solo con la linea delle immagini possa essere affascinante per le persone che guardano. Anche vedere l’autore che crea nel suo studio è qualcosa di misterioso e penso che sia molto interessante: vedere come muove le mani e quali strumenti usa.
Quindi, nella performance erano visibili solo le tue mani e i fogli da disegno. Qual è il senso di questa invisibilità? E più in generale, il fumettista non è comunque un attore invisibile al lettore?
E’ proprio il senso del prigioniero, molti prigionieri scrivono lettere oppure testi quando sono imprigionati, nessuno li vede. Molti disegnano incidendo il muro della cella con qualsiasi cosa possa scavare. Sono soli e vogliono in qualche modo comunicare oppure lasciare dietro la loro vita una memoria.
Si, il fumettista è un attore invisibile che chi guarda vede solo attraverso la sua opera.
C’è una sorta di preparazione personale che fai per questo tipo di performance? Hai un tema già definito? Ti sei documentato in qualche modo, sul piano iconografico e topografico (per citare uno dei temi cari al progetto G.I.U.D.A.)?
Questa è la mia prima improvvisazione artistica, mi sono preparato leggendo delle cose e soprattutto facendo una ricerca visiva di foto e poster sul tema della detenzione. Si va dalle torture di Guantanamo a quelle dei campi di concentramento nazisti, sempre molto simili purtroppo.
La geografia di un carcere, il modo in cui sono costruite le carceri, è sempre molto interessante. In questo caso era importante anche la poca differenza strutturale tra il carcere e il convento che fu in precedenza. Anche la posizione di una struttura carceraria all’interno della città richiederebbe molta attenzione.
Come si inserisce la performance di Firenze all’interno del progetto G.I.U.D.A.?
G.I.U.D.A. indaga la vita delle persone e la loro storia. Un carcere è composto da molte celle ognuna con le sue storie, ogni cella una vignetta. Il carcere è un fumetto che racconta la sofferenza inutile della prigionia forzata. Il progetto G.I.U.D.A. si muove nelle geografie delle città e degli edifici dove hanno vissuto le persone, rendendo il tutto con il disegno.
La performance è stata filmata e proiettata. Hai già in mente di utilizzare questo materiale in altre forme?
Certo, molto è stato filmato e ci sono i disegni realizzati. Questi potranno essere usati in qualche modo, ancora non ci ho pensato, però.
Che tipo di risultato artistico ti aspettavi da questa performance? Pensavi che il materiale prodotto avrebbe avuto senso, sarebbe stato efficace anche al di fuori di quello specifico contesto?
Avrà sicuramente una vita sua, un suo senso. Anche solo un disegno alla volta.
Quando ho letto la comunicazione della tua performance, mi ha subito colpito l’idea di utilizzare il fumetto come materia viva di comunicazione diretta con la gente. È un tipo di esposizione piuttosto rara per questo mezzo di comunicazione. Ricordo che quando ideammo la prima 24 Hour Italy Comics a Milano, uno degli ingredienti per noi fondamentali ed eccitanti era la possibilità che il pubblico camminasse tra i tavoli per osservare gli autori che stavano disegnando. Pensi che questo tipo di avvicinamento possa essere un tramite per dare maggior visibilità culturale e sociale al fumetto?
Credo che ogni espressione artistica sia affascinante da vedere durante la sua creazione per chi non la fa, oppure vuole imparare a farla. Sicuramente può avvicinare altre persone, come chi ama il disegno e magari non il fumetto in particolare. Non credo però che possa essere un avvicinamento al mezzo di comunicazione fumetto; soprattutto non credo che il fumetto abbia questa necessità di farsi conoscere. Quando un fumetto è forte e interessante quasi sempre raggiunge il grande pubblico e lo stesso vale per un fumetto di ricerca: se un fumetto di ricerca è veramente interessante raggiunge chi deve raggiungere. Per quanto riguarda il progetto G.I.U.D.A. sono molto lusingato dal seguito che si sta creando, ma è dato alla sua multi-faccia, perché l’operazione può essere avvicinata all’Arte Contemporanea come alla Geografia oppure alla ricerca storica, ecc. Questo avvicina molte professionalità e interessi e fa si che ci sia un ampio numero di persone interessate.
Quando il fumetto è solo di avventura, solo per fare un esempio, si ferma a quel pubblico.
Nella tua biografia artistica, il fumetto è da sempre strettamente collegato con l’attualità, con la denuncia, e con le ambiguità della nostra epoca. Perché il fumetto? Quali aspetti lo rendono efficace nel rappresentare questi aspetti della nostra vita?
Il fumetto è un’arte inesplorata: ogni giorno ci possiamo inventare un suo nuovo utilizzo. Il gioco della parola con il disegno può essere infinito ed estremamente contemporaneo. Si può fare di tutto e siamo solo all’inizio. E’ uno strumento fortemente emotivo. Posso raccontare l’attualità in pochi minuti talmente è veloce la sua esecuzione. Alle persone un disegno con poche parole si imprime nel cervello.
Aggiungo che è un percorso piuttosto atipico nello scenario italiano, che sembra riuscire a parlare di attualità solo attraverso le vignette satiriche. Il tuo lavoro ha senza dubbio una vocazione e un respiro internazionale. A quali movimenti o autori guardi come riferimenti?
Le vignette satiriche sono vecchie e soprattutto i politici e i potenti del mondo fanno molto più ridere delle loro caricature. Il disegno può spiegare e illustrare il mondo in altri modi. Io spero di averne inventato uno da quando nel 2004 inaugurai i miei Political Comics.
La tua seconda domanda mi mette sempre molto in imbarazzo perché non so mai cosa rispondere. Comunque direi che i miei riferimenti sono le persone che mi accompagnano in questo lavoro, gli altri disegnatori che seguono una certa ricerca visiva, quelli che poi diventarono gli amici.
Hai già in programma iniziative future di questo tipo?
Per ora niente. In base a come è stata accolta questa iniziativa vedremo se ci sarà un seguito.
Riferimenti:
Il sito di Costantini: www.gianlucacostantini.com
Il sito delle Murate: www.allemurate.it