Fumetto e follia: The Killing Joke di Moore e Bolland

Fumetto e follia: The Killing Joke di Moore e Bolland

The Killing Joke di Alan Moore e Brian Bolland è considerata una delle migliori storie di Batman di tutti i tempi. Ma il Joker è il vero protagonista.

Pubblicato per la prima volta nel 1988 e stampato in Italia nel gennaio del 19901, The Killing Joke è l'opera che rivisita il disturbato rapporto tra le due icone di Gotham City: il Cavaliere Oscuro e Joker.

L'idea, proposta dall'illustratore all'allora editor DC , era quella di scrivere una storia incentrata sulla nemesi del Crociato Incappucciato. Detto fatto: , magister egregius del fumetto, viene chiamato a collaborare all'opera di Bolland e, ripescando una storia del 19512, decide di integrare la sua idea con la narrazione mai avvenuta delle origini del Pagliaccio del Crimine.

Scappato ancora una volta dal manicomio Arkham, attacca il commissario Gordon e sua figlia Barbara, compra un vecchio circo e riunisce il suo esercito di freak per scatenare la sua follia contro Batman. Perché?
Vuole dimostrare che le persone sane siano separate dall'abisso della follia da una singola, assurda, pessima giornata: Moore ci vuole fare rivisitare il trauma all'origine della psicosi del Joker, il suo rapporto col Cappuccio Rosso e il primo atto criminale che lo condannerà per sempre. Abbiamo quindi un Batman e un che, messi a confronto con le rispettive storie, si scoprono fin troppo simili.

Salutato come uno dei migliori fumetti del XX secolo (James Donnelly, Pop Syndicate) e come il masterpiece di un Moore al meglio delle sue capacità (B. L. Woldridge, Batman in Comics), The Killing Joke viene però rinnegato dallo stesso Moore3 e da Bolland4. Insomma, un vero e proprio Adelchi fumettistico, osannato dai più ma condannato dagli stessi autori.

Allora, ci sono due matti in manicomio

All'apparenza il Joker è matto. Concordiamo. All'apparenza, l'uomo che si nasconde dietro il sorriso (Jack Napier?) in un dato momento della vita supera il proprio punto di rottura, frantumandosi, rinascendo come il Pagliaccio del Crimine. La morte del primo, la nascita del secondo. Il tredicesimo Arcano Maggiore, la Morte, caro a tutti gli occultisti e ad alcuni psichiatri, ha infatti il significato primevo di cambiamento, di evoluzione.

Ora, vorrei sottolineare che la seguente analisi, pur riferendosi a una pluralità di archi narrativi, si concentra prevalentemente sull'impronta caratteriale che Moore tratteggia nel suo Joker. Essendo il personaggio – come ovvio nella tradizione fumettistica seriale – affidato a più autori, risulterebbe impossibile, all'opposto, fornirne un'analisi di livello globale.

Basandoci sul criterio DSM – IV5 potremmo classificare il Joker come uno schizofrenico paranoide: egli soffre di deliri, di allucinazioni (sarà poi vero?), di disorganizzazioni verbali (il tentativo di comunicazione attraverso barzellette, più accentuato però negli indovinelli di Edward Nygma), di una grave disorganizzazione comportamentale a cui va aggiunta una situazione di ambivalenza affettiva nei confronti della propria nemesi, Batman6. Σχίζω, divido, e φρενός, mente. Schizofrenia: una mente divisa. Sebbene questa etichetta possa essere facilmente affibbiata a Due Facce, non altrettanto facilmente essa può riferirsi al Joker.

Da sottolineare, innanzitutto, che schizofrenia risulta un termine piuttosto generico, indicante non una singola patologia ma un'intera classe di disturbi7. Grande rompicapo psicologico: schizofrenia è il classico termine che può indicare tutto e niente, e che perciò, da un punto di vista epistemologico e speculativo, può benissimo non esistere.
Ma tralasciando certe sottigliezze filologiche (basterebbe cambiare il termine schizofrenico con il più colloquiale matto), il problema – l'eventuale follia del Joker – non ne risulta affatto semplificato. La psicologia moderna, in particolare da Freud in poi, rifiuta la netta divisone tra sano e patologico, rigettando il termine stesso di normale.

Che cosa significa normale? E' solo la media delle credenze metafisiche (morali, teologiche, ecc.) e comportamentali della maggior parte delle persone. Nessuno, e sottolineo nessuno, rientra appieno in questa definizione. Siamo tutti dei matti; certo: è più facile etichettare il diverso come schizzato, scemo, disturbato, piuttosto che misurarsi con lui in un serio confronto8 e mettere così in forse le proprie convinzioni.

Joker risulta perciò non essere più l'unico pazzo in un paese di sani. Come possiamo definirlo?
Come sottolineato prima, Joker, nella visione di Moore, subisce una magnifica evoluzione. Non nasce folle. Vero che la schizofrenia tende (a volte) a manifestarsi in periodi di stress, ma in Joker intravediamo qualcosa di più.

Nell'antichità, prima dell'avvento del cristianesimo, il folle era considerato veicolo degli déi: egli proclamava a gran voce le loro verità e doveva perciò essere ascoltato.
Possiamo ipotizzare quindi che il matto non sia realmente malato, solo depositario di una qualche nascosta rivelazione ottenuta naturalmente durante la famosa giornata storta. Quale? E' lo stesso Pagliaccio a rivelarcela, confidando a Batman:

“E' tutto uno scherzo (…) Le cose importanti, ciò per cui la gente combatte… E' tutto una mostruosa, delirante barzelletta”. 9

Il Joker si è evoluto, è arrivato ad accettare quella vocina che, in tutti noi, ripete continuamente: Non c'è un senso. Immaginiamocelo: un mediocre cabarettista che ad un tratto si ritrova a tu per tu con l'insensatezza delle proprie azioni, da un punto di vista tanto umano quanto universale. In una città, in un mondo da cui Dio sembra essere scappato, quale può essere la motivazione escatologica della nostra razza?

Questa visione rende la pazzia non soltanto giustificata, ma addirittura necessaria: essa è il coraggio di fuggire la falsa sicurezza della sanità mentale. E' proprio qui che sta la normalità del Joker: ogni altra reazione sarebbe pazzia.
E' folle solo nel senso che non condivide la visione ortodossa dell'esistenza umana
.

La tesi non è nuova, essendo già stata esposta di sfuggita da Grant Morrison in Arkham Asylum.

“Non sappiamo neanche se [Joker] si possa definire pazzo. […] E' plausibile che [la sua] sia una forma di super-sanità mentale.10 Una brillante modifica alla percezione umana, adattata alla vita urbana di fine ventesimo secolo”.11

Perché quindi il Joker uccide? A causa dell'assoluta mancanza di senso che scorge nella vita umana: un'esistenza circoscritta nel tempo che trae la propria importanza solo da sé stessa. Che una persona sia viva o morta, qual è la differenza?
Joker è altresì convinto (e forse sta proprio in questo la sua ambivalenza) che Batman abbia raggiunto la sua stessa conclusione. Senza dubbio l'analisi psicologica di Joker trova un parallelo quasi speculare nella sua nemesi. Ma qual è allora la differenza tra i due?

Ancora una volta affidiamoci alle dichiarazioni di Moore: quando il Pagliaccio chiede a Batman perché egli non rida alla mostruosa barzelletta che è l'esistenza umana, quello gli risponde, con una semplicità spiazzante: “Perché l'ho già sentita. E non mi ha fatto ridere neanche la prima volta”.

Joker ha quindi ragione: entrambi conoscono la stessa, terribile verità: entrambi sono folli, entrambi, evidentemente, si relazionano con gli altri in maniera non convenzionale. Però, l'uno accetta passivamente la realtà che lo circonda, l'altro tenta di inserire a forza nella propria vita una motivazione, vuole costringerla ad avere un senso.
Qui la domanda è d'obbligo, e formularla risulta quasi un pro forma: quale tra le due pazzie risulta essere la più razionale?

Qua la mano

Per concludere, un paio di brevi considerazioni su eventi di The Killing Joke non direttamente coinvolti nell'analisi principale.
Joker rivela la fluidità dei propri ricordi e la loro intrinseca mutevolezza: le sue stesse origini gli risultano sconosciute.12 Ciò ci viene mostrato attraverso i vari flashback che fanno da contrappunto a tutta la storia. Vale la pena ricollegarci ad una famosa teoria freudiana per la quale, facendo rivivere ai pazienti gli avvenimenti che li spinsero alla malattia, si poteva sperare di curarli.13

In secondo luogo, è d'obbligo citare la famosa stretta di mano finale. Mille le ipotesi sulle scene non inquadrate14 , dalla morte del Joker o di Batman (irrealistiche: la storia è inserita in continuity)15 a quella che io spero sia, ovvero l'abbraccio del Crociato e la tesa mano del Pagliaccio: due nemici in tregua che riconoscono il rispettivo valore.

La sequenza degna di interesse è però un'altra: nella barzelletta raccontata dal Joker, un matto deve arrivare fino a un edificio camminando sul fascio di luce proiettato da un secondo matto. Analogamente, nella pozzanghera delle ultime tre vignette, la macchina della polizia proietta un fascio di luce tra Batman e Joker.
Nell'ultima vignetta però la luce si spegne: il fragile ponte tra i due infine scompare.
Per sempre.

Abbiamo parlato di:
Batman: The Killing Joke
Alan Moore, Brian Bolland
RW Lion
64 pagine, cartonato, colori – 9,95€
ISBN: 9788893511698


  1. Come allegato a # 76, Rizzoli 

  2. The Mystery of the Red Hood, Detective Comics # 168 

  3. Che denuncia la mancanza di spessore umano nei due personaggi 

  4. Scontento della rivelazione delle origini del Joker, le considererà solo una delle possibili versioni (Postfazione all'edizione deluxe del 2008 

  5. Diagnostic and Statistical Manual of mental disorders, trad. Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, strumento diagnostico tra i più diffusi al mondo 

  6. Ambivalenza che sembra corrisposta, basti notare con quanta facilità i due arcinemici passano dal combattimento al cameratismo 

  7. Un tempo conosciuta come Dementia Precox (Emil Kraepelin), assume la sua odierna denominazione solo nel 1908, ad opera dello psichiatra Eugen Bleuer 

  8. Nel caso particolare del Joker, dobbiamo ammettere che la follia omicida tende a facilitare questo compito 

  9. Tesi espressa anche dal Comico, nel capolavoro (1986, di Alan Moore e ) 

  10. Quindi contrapposta a una sanità mentale inferiore – o pazzia – del resto del mondo 

  11. Curioso il riferimento alla sindrome di Tourette, indicante i più prosaici tic nervosi. Che Morrison abbia inteso gli omicidi, o più in generale i vaneggiamenti, come dei tic? No, piuttosto si riferisce alla rapidità e alla non-consequenzialità con cui sembrano essere elaborate le informazioni da pazienti affetti da questa sindrome o gli stati di iperattività e i comportamenti ossessivo-compulsivi che a volte l'accompagnano 

  12. Non so più cosa. A volte ricordo in un modo, a volte in un altro” 

  13. Anche se, ora sappiamo, solo temporaneamte 

  14. Lo stesso Bolland ci scherza 

  15. In particolare per i fatti riguardanti la paralisi di Barbara Gordon, prima Batgirl e futura Oracolo. The Killing Joke verrà inoltre ampiamente citato nelle storie Pushback (Gotham Knights # 50 – 55, ristampata in Hush Returns # 66, cancellata dalla continuity durante Crisi Infinita), No Joke (, Booster Golds) e Ladies' Night (J.Michael Straczynski e , The Brave and the Bold), ancora in continuity 

3 Commenti

3 Comments

  1. duckwing

    18 Agosto 2010 a 23:13

    Complimenti per quest’ottima analisi di un grande capolavoro! Ho sempre trovato che la cosa più sorprendente di The Killing Joke è come riesce a ribaltare le nostre prospettive: il pazzo in un mondo di “sani” è l’unico davvero onesto, perché ha capito che di fronte all’assurdità della vita l’unica risposta sensata è la follia. Resta da capire se la “scelta” di impazzire del Joker sia un atto di coraggio o di codardia, ma anche in questo è simile a Batman, che nel suo divenire un giustiziere non si sa bene se compie un atto di coraggio per cercare di cambiare le cose o cerca un rifugio, una giustificazione per dare un senso alla morte insensata dei suoi genitori. Entrambi, ciascuno a modo loro, sono degli eroi e dei codardi nella grandezza delle loro scelte, ciascuno è lo specchio dell’altro ed è proprio questo che rende questa storia così straordinaria.

  2. Bruce

    30 Marzo 2014 a 21:42

    Bellissimo Articolo. Davvero.

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