Nella collana dei classici di repubblica non poteva mancare un pezzo da novanta come Enki Bilal, probabilmente non conosciutissimo dai lettori più giovani (anche per l’alto costo delle edizioni italiane dei suoi volumi), ma sicuramente apprezzato da chi ha qualche anno in più (come il sottoscritto) e che ha visto le sue pubblicazioni negli anni 80 sulle prestigiose e mitiche Totem e Corto Maltese. Complice l’uscita del suo ultimo film (sì, perché è anche regista cinematografico), Immortal ad vitam, arrivato all’inizio di quest’anno nelle sale italiane, l’artista serbo/francese gode oggi di ritrovata popolarità. E non è quindi un caso che in questa collana venga presentata la Trilogia di Nikopol, sua opera più conosciuta e rappresentativa, da cui infatti è stata tratta la pellicola di cui sopra.
A venticinque anni dalla sua prima pubblicazione in Francia La fiera degli immortali, primo capitolo della trilogia, stupisce come mantiene inalterata la bellezza di una trama funzionale e non scontata, di una visionarietà pura, ma molto ancorata ad aspetti del presente o della storia recente, ad un modo di intendere la fantascienza come chiave per capire e scardinare la realtà circostante. Una fantascienza sociale, distopica che mischia le carte dell’immaginario fantastico per tratteggiare figure indimenticabili e suggestive (il protagonista Nikopol e Orus, il Dio egizio/extraterreste impazzito), così come meraviglia è la presenza incombente ed altera della piramide egizia sopra una Parigi in pena decadenza economica, sociale e politica. Stessa visione e stessa chiave di lettura troviamo nei due capitoli seguenti, prodotti a distanza di qualche anno (La donna trappola, nel 1986 e Freddo equatore, nel 1992), che pero’ presentano alcune differenze sostanziali sia nella costruzione della tavola, sia per quanto riguarda la narrazione. C’é da dire che La fiera degli immortali risentiva parecchio in primis dell’influenza dello scrittore Pierre Christin (co-autore di diversi suoi libri come Battuta di caccia, Le Falangi dell’ordine nero e la trilogia de Le leggende d’oggi), nel cui stile gli elementi fantastici (o della storia recente) erano propedeutici all’analisi politico/sociale; in secondo luogo la struttura delle tavole di quest’opera era ancora ancorata ad una trazione fumettistica molto vicina a quella degli umanoidi associati e sentiva l’influenza del gusto e dell’estetica della scena fumettistica francese di fine anni 80. Con La donna trappola Bilal comincia ad affrancarsi da questi due elementi, mettendo in scena trame più ermetiche e simbolistiche, dove il non detto è più presente di ciò che viene enunciato e in cui l’elemento grafico si fonde alla parola in modo diverso, quasi a suggerire che spesso nella costruzione della tavola l’immagine, e la folgorazione meravigliosa che essa porta con sé, viene prima dell’elemento scritto. E chi ha visto la mostra a lui dedicata nel 1998 a Milano, Visioni di fine millennio, si ricorderà di un interessantissimo documentario in cui l’autore spiegava la genesi delle tavole de Il Sonno del Mostro (il quarto fumetto pubblicato in questa raccolta): in pratica dipingeva su alcuni cartoncini una miriade di pose e scene dei suoi personaggi e accostandone l’uno con l’altro cercava la “quadra” migliore, ai suoi occhi, per ogni singola pagina, alla quale, infine, aggiungeva il testo che adattava a ciò che a quel punto si trovava dinanzi. E se nel secondo e nel terzo capitolo della trilogia di Nikopol questo procedere s’intravede appena, esso esplode totalmente nelle sue opere successive.
Il sonno del mostro a mio avviso è la cosa migliore che l’autore di origine serba abbia prodotto. Di non facile lettura, come del resto gli altri suoi libri, qui Bilal raggiunge una profondità visiva e concettuale inaudita, complice probabilmente la vicinanza sentimentale e ideale alla tematica trattata e cioé l’eredità morale e politica che la disgregazione della ex Jugoslavia ha lasciato al nostro presente. Il Sonno del mostro è strutturato come un romanzo polifonico, a tre voci, incentrato sul significato e l’importanza della memoria, sia essa personale che condivisa. Nelle sue pagine è incredibile come alcune intuizioni, che l’autore abilmente inserisce nella vicenda, possano essere state così profetiche, basti pensare all’esercito/setta religiosa, L’ordine oscurantista, che causa guerra e terrore, così simile nei suoi proclami all’estremismo Islamico dei giorni nostri e all’oscurantismo cristiano statunitense odierno (il combattere il pensiero, la scienza e la cultura ricordano infatti certe posizioni del pensiero creazionista corrente). Insomma Enki Bilal in questo suo libro (e probabilmente in tutta la sua opera) usa la memoria personale e collettiva che trasfigura visionariamente per leggere e capire con più efficacia il presente e il futuro della società in cui viviamo. Come del resto ogni buon autore di fantascienza dovrebbe fare, anche se Bilal, fosse solo per la sua grandissima capacità d’illustratore, è molto di più che un semplice autore sci/fi. (Alberto Casiraghi)

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