“E chiamale, se vuoi, graphic novel”: la battaglia degli spazi bianchi

“E chiamale, se vuoi, graphic novel”: la battaglia degli spazi bianchi

Boris Battaglia scrive per ComicOut “E chiamale, se vuoi, graphic novel. Manuale per nuovi critici di fumetto”, un pamphlet sulla sua polemica visione della critica del fumetto tramite la disamina di dieci graphic novel.

Nel suo nuovo saggio E chiamale, se vuoi, graphic novel. Manuale per nuovi critici di fumetto, Boris Battaglia offre con la consueta verve pugnace la propria visione della critica a fumetti.

L’autore parte dalla definizione di “critica”, che in una prima parte esplicita come attività inevitabilmente polemica: la sua posizione al proposito è del resto evidente fin dal suo nom de plume e si riverbera, coerentemente, sui suoi scritti d’argomento fumettistico.

Curiosamente, nella prestigiosa copertina di Filippo Scòzzari appare un libro di Soren Kierkegaard, che non compare invece nell’opera: viceversa, ampio spazio è dato alla Critica del giudizio di Immanuel Kant, che in effetti opera la rivoluzione copernicana dell’estetica contemporanea, di cui anche la critica del fumetto non può non tener conto. Scòzzari, invece, viene citato anche in seguito per il suo Primo Carnera, la cui “gara di squisitezza” con la Lempicka viene letta come una complessa metafora che esplicita le teorie del’autore sulla natura della fruizione fumettistica.

Battaglia dedica quindi una seconda tranche dell’opera a definire il concetto di “fumetto”: qui egli pone come centrale la dimensione del guardare e non quella del leggere. Ne consegue, tra il resto, la proposta di superare la sequenzialità di Will Eisner in favore della ricorsività come specifico del fumetto, in quanto l’apparente “sequenza” può essere in verità ripercorsa più volte, e in più direzioni dello sguardo, rendendo con due dimensioni l’illusione di quattro – o più – dimensioni (Battaglia a questo proposito cita Bonvi e una sua storia a tema multidimensionale, dove introduce seezza e quasità). Il concetto viene ribadito in altri esempi pratici: uno su tutti, quello dei fumetti shakespeariani di Gianni De Luca, irriducibili in effetti a una “sequenza” in molte delle loro poliedriche tavole.

Nel capitolo La questione degli spazi (bianchi) si ridiscute di conseguenza anche il concetto di closure di Scott McCloud,  prendendo ad esempio la Valentina di Crepax in cui – pur essendo presente un’architettura di vignette – queste non costituiscono una sequenza univoca.

Le teorie dell’autore sono verificate nella terza parte dell’opera su dieci graphic novel come introduzione al fumetto, pur rifiutando una struttura tradizionalmente cronologica in favore di una lettura più obliqua del corpus fumettistico, ritornando su alcuni temi per ampliarli, e introducendone altri.
Si precisa così anche il rifiuto dell’idea di un possibile canone – conseguente, del resto, al rifiuto della cronistoria. Battaglia obietta anche all’idea di fumetto come linguaggio, e infine la stessa distinzione tra graphic novel e fumetto – come evidente fin dal titolo – viene posta come fallace e irrilevante.

Un saggio, dunque, breve e denso al tempo stesso, scritto in uno stile colloquiale e, come del resto esplicitamente rivendicato, spesso sarcasticamente polemico. Insomma, uno stimolo di riflessione su molti snodi della comprensione del medium, anche come punto di partenza per ulteriori approfondimenti sulla base dei testi citati.

Abbiamo parlato di:
E chiamale, se vuoi, graphic novel. Manuale per nuovi critici di fumetto
Boris Battaglia
ComicOut, 2018
120 pagine,  brossurato – 10,00 €
ISBN: 978-8897926559

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