In una progressione qualitativa che è andata in crescendo, il ciclo 666 del Dylan Dog “post #400” di Roberto Recchioni si avvia verso la conclusione.
Da un paio di numeri l’autore romano ha abbandonato la bulimia citazionista di un approccio post moderno – fuori tempo massimo – che aveva caratterizzato gli albi iniziali per una più efficace narrazione costruita su silenzi e dialoghi essenziali, su sequenze oniriche d’impatto e un approfondimento psicologico più convinto sui vari personaggi.
Ne L’uccisore il Dylan di matrice recchioniana, dall’iniziale stampo cinico e iconoclasta che tanto lo avvicinava al John Costantine di Jamie Delano – per rimanere nel campo delle mimesi – si avvicina sempre di più a una sovrapposizione con il Dylan “classico” in un confronto che si materializza anche nella storia, iniziando a rendere chiaro il percorso intrapreso dallo sceneggiatore. Questo Dylan barbuto comincia ad acquistare un senso all’interno della mitologia del personaggio, anche se per un’analisi su questo punto è più giusto aspettare l’uscita del prossimo albo.
Da evidenziare il gioco di spiazzamenti rispetto al racconto originario: siamo immersi in un “universo specchio” in cui anche il titolo dell’albo trae in inganno.
Giorgio Pontrelli regala tavole dove una linea chiara molto originale fa risaltare il bianco, nelle quali per contrasto emerge il nero assoluto della barba e del cappotto del protagonista, riflesso di uno stato d’animo ancora irrisolto. Di una rara maestria artistica la resa dell’incontro tra Dylan e una vecchia conoscenza dei lettori.
Abbiamo parlato di:
Dylan Dog #405 – L’uccisore
Roberto Recchioni, Giorgio Pontrelli, Corrado Roi
Sergio Bonelli Editore, giugno 2020
96 pagine, brossurato, bianco e nero – 3,90 €
ISSN: 977112158004700405