Viaggiano di giorno e di notte i briganti del Regno d’Italia, quell’accozzaglia di terreni espropriati, conquistati, barattati e di uomini che nemmeno centocinquanta anni dopo riescono ad identificarsi con una nazione.
E proprio nei prodromi di vita di questo vecchio “nuovo popolo”, gli improvvisati partigiani del centro Italia sono i protagonisti, per una volta, dopo che la storiografia ufficiale li relega a mere spalle o, addirittura, ad antagonisti.
Il Brigante Grossi e la sua miserabile banda parla della guerra civile italiana, l’unica, quella in cui gli stessi contadini che avevano combattuto per unire l’Italia ora si ritrovavano snobbati dall’Italia stessa. E Michele Petrucci, l’autore di questa “cronaca”, parla del passato della sua terra, che ha visto nascere e morire la banda del brigante Grossi. Perché, non crediate: gli eroi sono eterni, ma gli uomini muoiono.
“Una cronaca disegnata” è il sottotitolo di quest’opera. E non è più ne meno della verità: Michele si fa cronista di una piccola storia. Piccola. Triste. Una storia bastarda. Con i “salti”, le pause, le tempistiche, il taglio fotografico di una Domenica del Corriere marcia e corrotta.
Ti colpisce al cuore con crudeltà chirurgica catarticamente credibile, dove il fucile uccide, né più né meno. E il brigante diviene eroe e torna brigante nel breve lasso d’un volo di vespa. Grossi, Mengon, Cacabasso, Pajno… nomi che fino ad oggi non ci hanno detto nulla, persi nelle pieghe di questi centocinquantanni di storia che dal 2011 celebreremo… e che probabilmente l’anno dopo ci dimenticheremo. Almeno che qualcosa non ci dica che sono troppo importanti per lasciar che vengan riperduti. E scopriamo se quel “qualcosa” ce lo può comunicare proprio Michele Petrucci.
LA TERRA E IL BRIGANTE
Michele, partiamo dalla terra. Partiamo dall’essenza della tua storia. Cos’è la terra per Michele Petrucci e cosa è la terra per il brigante Grossi?
Il mio è un forte rapporto con la terra, tanto intesa come “terreno” quanto come “territorio”. Vivo in provincia: la provincia crea un legame forte con le persone, più della città. Con tutti i limiti del caso, ma l’eradicamento nel territorio è alla base di noi stessi. Non so se è una questione entro la piccola realtà o se è insito nel fatto che mi sento profondamente italiano. A questo unisci la passione per la storia, il passato della mia terra e intrecci che, curiosamente, si legavano alla mia vita privata… In Metauro, ad esempio, il luogo della battaglia è lo stesso dove giocavo da bambino… Per Il Brigante Grossi, invece, ho visitato io stesso le zone che ho descritto, grazie ad alcuni percorsi tematici organizzati dalla Provincia Marche, in cui venivo accompagnato da uno scrittore locale. Sentendo raccontare di queste vicende, ho rafforzato il legame con questo piccolo mondo e ho iniziato ad intravedere il potenziale narrativo di un’eventuale storia… Storia che poi è diventata Il Brigante Grossi e la sua miserabile banda…
La caratteristica de Il Brigante Grossi, che spezza con il concept di Metauro che tu hai richiamato, è la provincialità della vicenda. Dove vai a colpire con la forma lirica che questa volta usi?
In effetti, la parte che mi ha incuriosito di più nel poter raccontare Metauro è stata proprio l’epicità della battaglia. Grossi è una storia più intima. Più piccola. Una storia quasi personale. Ho raccontato le vicende di un gruppo sociale, i “casanolanti”, che erano i lavoratori a nolo nei momenti più importanti dell’anno agricolo. Nemmeno mezzadri: ancora più in basso… salariati saltuari dei contadini. Racconta della guerra civile che questi lavoratori saltuari hanno messo in piedi, traditi da chi gli aveva promesso un nuovo inizio. Racconta di un cambiamento che che si trovano costretti a riprendersi con la forza.
LA MEMORIA DEL PASSATO
C’è forse epicità in questo. Mentre parlo con Michele, dopo averlo incontrato dal vivo durante Cesena Comics & Stories 2 e averci scambiato chiacchiere forse troppo indirettamente, limitandomi più a complementare certi interventi che Matteo Casali faceva nel presentarlo ad un parco pubblico, ne ho riscontrato un’insita timidezza, vinta nel momento in cui lui stesso decideva di mettersi in gioco. La natura duale dell’autore, cronista e protagonista della vicenda sporca e miserabile che racconta, mi spinge, ora che ho io il coltello dalla parte del manico, a forzare di più la mano per provocarlo. E qui Petrucci fa capire perché è essenziale leggere quest’opera per comprenderlo come autore.
Più leggo Grossi, Michele, e più mi accorgo d’aver perso la memoria del passato. Ma la colpa è tua che mi proponi qualcosa di dimenticato, di inutile, oppure la colpa è mia che ho dimenticato chi ero?
La colpa è nostra. Io sono parte di questa storia, quindi mi identifico nei perdenti di cui scrivo. Nei falliti di cui Grossi, Pajno e gli altri fanno parte. Abbiamo parlato a Cesena dell’importanza del momento storico che racconto e del velo di “incoscienza” che lo avvolge. Ma ho colto il momento giusto per raccontare del mio brigante, perché il 150° dell’Unità d’Italia ci “costringe” ad un faccia a faccia con il passato. Per capire nuovamente da dove veniamo e chi siamo.
O sei tu, Michele, che devi capire da dove vieni e chi sei e vuoi che ci facciamo la stessa domanda. Mi spiego: l’eredità, lo spirito di Innocent Victim cui ti sei unito nel ’99, lo riversi in FactorY. Il Brigante Grossi è la tua maturità artistica, dal soggetto all’uso del colore. Tu dici di essere in una fase di cambiamento: non è forse che non sai più chi sei? O, forse, sai benissimo chi stai diventando e aspetti ad accettarlo? Quale Michele Petrucci è Michele Petrucci?
Arriviamo al punto. Non è semplice passare dal “è un periodo di cambiamento” al “è finito il cambiamento, come sono cambiato?”. Forse è ancora presto per dare una risposta alla domanda che mi fai. Sento più l’esigenza di raccontare storie più intime e confrontarmi con la letteratura di genere, ma è anche vero che le storie continuano a cercarmi. E io a cercarle. E, alla fine, le une accettano l’altro e viceversa. Ho sempre cercato uno stile narrativo, un tipo di disegno… “autorale”… ma nell’approccio, non nella presunzione. Semplicemente, più va avanti il tempo, e più sento che le mie due anime si stiano fondendo. E lo sto accettando, perché è la direzione che mi prefiggevo di prendere”.
Eppure, io vedo un grosso limite nella tua opera, che però acquista in questo limite la potenza che mancava in Metauro. Perché da questo limite nasce il suo vero pregio. Dimmi il limite di Grossi e io dirò il pregio.
Ci sono alcuni passaggi della storia… (Michele si ferma e ci pensa molto bene – ndi)
Ho peccato di poco equilibrio a livello narrativo. E si vede. Si vede troppo. Ho preteso di lasciare poco spazio al lettore, in alcuni passaggi tecnici. Pajno viene ucciso: alla fine della storia c’è una tavola dove una pastorella trova un cadavere che non è riconoscibile. Sai che potrebbe essere Pajno, ma io non te lo faccio capire. E non era una cosa voluta. Ho dato per scontate alcune cose, ingabbiando il lettore nella mia visione. L’equilibrio deve essere fondamentale in un racconto… e, sì, non sempre lo mantengo. Ma doveva essere così, in fin dei conti, perché l’idea di cronaca è poi quella. In Metauro ho lavorato troppo con le didascalie, riempiendo le vignette di parole per cercare di essere sempre presente per il lettore, di non abbandonarlo mai. Qui, invece, ho probabilmente dato per scontati alcuni momenti.
ISTINTIVITA’ DELLA NARRAZIONE
E qui sono io ad aprirmi con lui. E faccio a lui lo stesso discorso che ora faccio a voi che mi leggete: i colori de Il Brigante Grossi e la sua miserabile banda sono oscuri. Troppo pesanti. Michele mostra limiti nel loro utilizzo, e si nota una crescita nella tecnica dalla prima all’utima tavola lenta ma costante. La carta usata è forse poco ideale a raccoglierne il gradiente e anche l’edizione mostra limiti nella maneggiabilità. Nella storia ci sono alcune pause che forse si potevano evitare. La visione è troppo poco distaccata in alcuni punti, e in altri è troppo lontana.
Ad una prima lettura.
Poi lo rileggi.
Una. Due. Tre volte.
E nessuno ti ha obbligato a farlo.
E stai per leggerlo la quarta volta.
Perché ti rendi conto che anche se non si parla di amore, di sentimenti, Michele Petrucci nel momento in cui scrive Grossi, ne prova. Michele ama. E te ne accorgi. Te ne accorgi proprio in questa istintività nella narrazione. Per queste lunghe pause in cui esiste un respiro tra vignetta e vignetta che non dovrebbe esserci, ma che Michele riempie al termine della concatenazione con un viscerale, quasi morboso amore per le sue creature. Ed è nella carezza che Zinzin, uno dei miserabili di Grossi, fa ad un pomodoro, in un campo coltivato, ricordandosi di come si coltivava la terra una volta, che scopri quello di cui Michele Petrucci sta parlando: il suo amore per il mondo. E ne riscopri, per un istante, il valore.
Abbiamo parlato di:
Il Brigante Grossi e la sua Miserabile banda: una cronaca disegnata
Michele Petrucci
Tunué, 2010 – “Prospero’s Books” n. 29
112 pagine, brossurato, colori – 14,50€
ISBN 978-88-89613-31-3
Riferimenti:
Tunué Editore: www.tunue.com
Michele Petrucci, il blog: michelepetrucci.blogspot.com